di Carlo Di Stanislao - Viviamo in un’epoca segnata da insicurezza esistenziale diffusa. Le persone, poste di fronte a crisi multiple e simultanee - ambientale, climatica, economica, pandemica, migratoria, identitaria - cercano risposte semplici a problemi complessi. Ma quando la complessità viene rimossa, non abbiamo solo un impoverimento del dibattito: abbiamo un ritorno regressivo a forme arcaiche di risposta emotiva, biologicamente inscritte nel nostro cervello.
Questo è il vero punto della discussione aperta (e subito derisa) sul cosiddetto “cervello rettiliano” in politica. Una provocazione giornalistica? Sì. Ma anche una constatazione scientificamente legittima, che merita attenzione.
Cervello rettiliano: un concetto controverso, ma utile
Il termine cervello rettiliano fu coniato dal neuroscienziato Paul D. MacLean, che nella sua teoria del “cervello trino” (MacLean, 1990) ipotizzava l’esistenza di tre livelli funzionali nel cervello umano:
- Cervello rettiliano: la parte più antica (tronco encefalico e gangli della base), associata a comportamenti istintivi, territorialità, sopravvivenza e rituali sociali primitivi
- Sistema limbico: sede delle emozioni, dell’empatia e della memoria affettiva
- Neocorteccia: coinvolta nella razionalità, nel pensiero astratto, nel linguaggio e nella pianificazione
Sebbene oggi questa tripartizione sia considerata una semplificazione eccessiva dalla neuroscienza moderna (Pessoa, 2013; Barrett, 2017), il modello resta utile dal punto di vista funzionale e comunicativo: illustra bene come la mente umana sia il risultato di stratificazioni evolutive. In condizioni di stress o paura, tendiamo ad attivare le parti più primitive del cervello, perché ci sembrano le più rapide ed efficaci.
Politica della paura: come si attiva il cervello rettiliano
Nel contesto politico attuale, la comunicazione basata su emozioni forti - soprattutto paura, rabbia e appartenenza identitaria - è diventata centrale. I leader populisti, in particolare, hanno affinato tecniche retoriche e simboliche in grado di stimolare queste aree cerebrali arcaiche.
Giorgia Meloni incarna perfettamente questa strategia. La sua comunicazione è costruita su binari emozionali, raramente razionali. Usa parole come:
- "Invasione" per descrivere l’immigrazione
- "Difesa della famiglia" contro i diritti LGBTQ+
- "Padroni a casa nostra" come richiamo identitario
- "Traditori della patria" per delegittimare l’opposizione
Questi concetti non informano, ma condizionano. Parlano al nostro sistema limbico e al cervello rettiliano. Non sollecitano pensiero critico, ma reattività.
Uno studio del 2020 pubblicato su Political Psychology (Petersen et al.) ha mostrato che gli elettori esposti a comunicazione politica ansiogena attivano con più intensità le strutture neurali legate all’auto-protezione, come amigdala, setto e corteccia prefrontale ventromediale. Più forte è la minaccia percepita, più il pensiero razionale si ritira.
Meloni: politica tribale in abiti istituzionali
Quando Meloni irride l’idea che il suo successo si basi su meccanismi emotivi primitivi, in realtà ne conferma l’esistenza. Ride, ma non risponde. Ironizza, ma non spiega. Perché non può permettersi di ammettere che la sua leadership si fonda proprio sulla mobilitazione continua della paura, dell’identità e dell’istinto.
In tal senso, la sua leadership non è “diversa” da quella di altri leader populisti. È perfettamente allineata a una tradizione contemporanea che include Donald Trump, Jair Bolsonaro, Viktor Orbán e Marine Le Pen. Tutti accomunati dalla capacità di:
- Seminare insicurezza
- Costruire un nemico
- Offrire una figura forte e protettiva
Nel caso di Meloni, questa retorica assume un tono ancora più insidioso perché mascherata da maternage nazionale. Non è solo la “leader forte”, è la madre della patria, colei che si prende cura dei “suoi figli” italiani, purché obbedienti e omogenei.
Democrazia e cervello: una questione evolutiva
Il problema non è solo etico. È evolutivo.
La democrazia — con la sua richiesta di pensiero critico, confronto, pluralismo, compromesso — presuppone un coinvolgimento attivo della neocorteccia, cioè della parte più evoluta del nostro cervello. Come sottolinea Antonio Damasio (Descartes' Error, 1994), il pensiero razionale non è mai del tutto separato dalle emozioni, ma per essere efficace deve poterle regolare, non solo subirle.
Quando la politica abdica a questa funzione regolativa e si appiattisce sull’istinto, stiamo assistendo a una regressione neurocognitiva collettiva. Le società democratiche non regrediscono solo per ignoranza, ma per saturazione emotiva, per incapacità di elaborare la complessità.
Una sfida culturale, non solo politica
Le neuroscienze non sono ideologia. Sono strumenti per capire. Negarle o ridicolizzarle è una forma di anti-intellettualismo pericoloso, che fa il gioco proprio di chi vuole mantenere la popolazione in uno stato di allerta emozionale costante, dove è più facile manipolare che convincere.
Conclusione: il vero allarme democratico
Chi liquida la critica al “cervello rettiliano” come una boutade da “sinistra radical chic” mostra di non cogliere la profondità della crisi. Il problema non è Meloni in sé. Il problema è che un’intera cultura politica si sta adattando a parlare sempre di più alle aree primitive del nostro cervello. E se la politica parla all’istinto, è l’intelligenza democratica ad arretrare.
La domanda allora diventa: vogliamo continuare a reagire come rettili o vogliamo tornare a pensare come esseri umani completi?
La scelta è nostra. Ma il tempo per farla si sta esaurendo.
Fonti accademiche e scientifiche
- MacLean, P. D. (1990). The Triune Brain in Evolution: Role in Paleocerebral Functions. Plenum Press
- Damasio, A. R. (1994). Descartes' Error: Emotion, Reason, and the Human Brain. Putnam
- Petersen, M. B., et al. (2020). “A Biopsychosocial Perspective on Political Ideology.” Political Psychology, vol. 41, no. S1
- Barrett, L. F. (2017). How Emotions Are Made: The Secret Life of the Brain. Houghton Mifflin Harcourt
- Pessoa, L. (2013). The Cognitive-Emotional Brain: From Interactions to Integration. MIT Press
- Westen, D. (2007). The Political Brain: The Role of Emotion in Deciding the Fate of the Nation. PublicAffairs