di Giovanni Zambito - Nel cuore sfavillante del Festival del Cinema di Venezia, dove il glamour si mescola all’ambizione e l’apparenza regna sovrana, prende forma un romanzo che scava sotto la superficie patinata dell’élite culturale e mediatica. Cultrash. Tappeto Rosso Sangue di Vincenzo Sacco (Spazio Cultura Edizioni) è un thriller feroce e visionario, un’opera che fonde pulp, satira e riflessione sociale in una narrazione che non concede tregua.
Al centro della storia, Claudio Modica, un protagonista ambiguo e disturbante che – sotto la maschera di “Pestilenza”, uno dei cavalieri dell’Apocalisse – si muove tra vendetta personale e smascheramento collettivo, incarnando le tensioni di una società dove cultura alta e trash spettacolare si fondono in modo esplosivo.
In questa intervista concessa a Fattitaliani, Vincenzo Sacco ci accompagna tra i retroscena del romanzo, rivelando come l’esperienza personale nel mondo del cinema e della comunicazione abbia alimentato una narrazione tanto visiva quanto provocatoria. Cultrash è un atto d’accusa e una messa in scena, un grido anarchico che sfida il potere, la finzione e il politicamente corretto. Un viaggio disturbante, ma necessario, nel lato oscuro dello spettacolo.
Il
titolo “Cultrash. Tappeto Rosso Sangue” colpisce immediatamente per il suo tono
provocatorio. È una dichiarazione di poetica o un avvertimento per il lettore?
Il romanzo racconta la
storia di Claudio Modica, un ragazzo che, prendendo l’identità di un’altra
persona, riesce a “infiltrarsi” come fotografo ufficiale sul red carpet del
Festival di Venezia. Se ha deciso di trovarsi lì è perché sta cercando una
persona di cui vuole vendicarsi, un giovane giornalista di nome Eugene, anche
se tutti lo chiamano Re Sole. Già dal primo giorno Claudio conosce, quasi per
caso, Madeleine Pellicano, una star del piccolo schermo che lo “investe” di una
strana missione. In questo contesto Claudio assume l’identità di Pestilenza,
una sorta di giustiziere che si chiama come uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse.
Vuole fare del bene ma compie del male. L’unione di questa contraddizione è
quella che definisco Cultrash, un ombrello sotto il quale possiamo far
convergere tutti i binomi dell’attualità, che insieme si attraggono e si
respingono: cultura alta e cultura bassa, fascismo e comunismo, hot or not.
Del resto, se ci pensiamo bene, dopo che nasciamo la nostra crescita è una corsa
frenetica verso la nostra fine, l’evoluzione è devoluzione, l’alfa e l’omega
che si vengono incontro. Per definizione, Cultrash.
Ha scelto di
ambientare il romanzo durante il Festival del Cinema di Venezia, simbolo
internazionale di eleganza e cultura. Come nasce l’idea di far esplodere una
vendetta così brutale proprio in un contesto tanto raffinato?
Quello di Venezia è uno
dei Festival più importanti del mondo, e insieme al grande cinema si trova
anche il top dello showbiz. Se vogliamo, è questo un altro esempio di Cultrash.
Quale posto migliore allora per scatenare la “fine del mondo”?
Le fiabe oscure sono
sempre piaciute perché, proprio nella loro zona d’ombra, contengono
quell’elemento di opposizione allo status quo. Qualcosa che la società non può
permettersi, perché significherebbe il suo stesso collasso: per questo motivo
le fiabe “devono” avere un lieto fine. Se non ce l’avessero sarebbe come armare
la mano dei rivoluzionari. La crociata di Pestilenza al Festival di Venezia è
proprio un atto di ribellione contro il potere costituito. Lungo il suo cammino
incontrerà personaggi come una giovane diva del cinema e il suo produttore
americano che lo porteranno però a dubitare della sua missione: e se ha potuto
ribellarsi solo perché è stato il potere stesso a volerlo? In fondo le persone
al potere, come i dittatori o i censori, fanno proprio questo: se non possono
ucciderti, ti trasformano a loro immagine e somiglianza. Non voglio essere
cinico, ma una forma di potere deve rimanere sempre, e il potere non è mai una
cosa buona.
Il protagonista,
Claudio Modica, conduce una doppia vita: fotografo ufficiale della stampa di
giorno, giustiziere mascherato di notte. Che tipo di giustizia incarna? È un
antieroe o qualcosa di più?
Claudio Modica è
decisamente il cattivo di questa storia. Come tutti i migliori cattivi, vedi
Tony Soprano o Walter White, ha le sue motivazioni. Niente che possa
giustificare i suoi “crimini”, chiaro, ma abbastanza per creare quella
vicinanza necessaria perché il lettore empatizzi con lui. Ultimamente
nell’industria dell’intrattenimento c’è questa tendenza a “scusare” le azioni
indifendibili di cattivi tradizionali, come Crudelia De Mon, Malefica o Joker,
io però non volevo “ripulire” la malvagità di Claudio né far provare pietà per
lui. Lui è un villain a tutto tondo, ma allo stesso tempo è un essere umano
come noi. In fase di scrittura ho sempre pensato a lui proprio come a un
cattivo Disney, ma con una grande differenza: non c’è nulla di divertente in
quello che fa o che gli succede. Questo perché il contesto in cui si muove è
realistico: e il nostro mondo è più pericoloso di qualsiasi cattivo di
finzione.
Eugene, detto il Re
Sole, è il bersaglio dell’ira di Claudio. È un personaggio reale travestito da
finzione o rappresenta una figura simbolica?
Come dicevo, questa è una
storia raccontata dal punto di vista del “cattivo”. Se rovesciassimo la
prospettiva, dall’altro lato della barricata troveremmo proprio Eugene: un
aspirante giornalista che viene accusato da Claudio Modica di essere la causa
di tutti i suoi mali. Nei fumetti ogni supercattivo è intrinsecamente legato al
supereroe, come Joker con Batman o Magneto con il Professor X: così Claudio
Modica, alias Pestilenza, trova in Eugene, detto Re Sole, la sua nemesi. L’uno non
potrebbe esistere senza l’altro. Claudio è un solitario e vede nella popolarità
del Re Sole un modo con cui la società corrotta prova a mascherarsi; Eugene
vede nella vocazione di Pestilenza alla distruzione, ma anche al martirio, una
minaccia populista. Ognuno, dalla propria parte, pensa di fare del bene.
All’interno della
redazione Fame Hungry si muovono figure ambigue e compromesse. Qual è, secondo
Lei, lo stato attuale del giornalismo di spettacolo? Sta raccontando il mondo o
contribuendo a deformarlo?
Alla Fame Hungry, che è
l’agenzia per la quale lavora Claudio, se ne vedono di ogni: l’informazione
sacrificata sull’altare dell’intrattenimento, l’ipocrisia di certi addetti
stampa, le piccole vendette e gli scambi di favori, l’etica calpestata in nome dello
spettacolo, il tutto fra una risata e un brindisi. Sebbene non venga
specificato con esattezza il periodo, ho voluto ambientare la storia qualche
anno addietro rispetto al nostro presente. Sicuramente nel pre-Covid. Da allora
molte cose sono cambiate nel mondo dei media, ma molte sono rimaste uguali: le
immagini a volte ridicole dei notiziari e quelle spesso violente dei social, da
una parte abbiamo il politically correct e dall’altra la tendenza a esagerare
ogni cosa. Vorremmo girare la testa e spostare il nostro sguardo altrove, ma
allo stesso tempo siamo ipnotizzati, storditi da questo bombardamento quasi
pornografico di tutto quello che si può mostrare. Non sarebbe sbagliato
affermare che anche il nostro tempo sia… Cultrash!
Il romanzo è
fortemente visivo, quasi cinematografico. Quanto il suo background nel mondo
del cinema ha influenzato la narrazione?
Provare a immaginare
titoli di film immaginari di e con attori veri è un gioco che tutti i cinefili
hanno fatto prima o poi: io mi sono potuto sbizzarrire, da A est di Pasadena
diretto da George Clooney, a Fifites con la colonna sonora di Lady Gaga,
solo per fare un paio di esempi. Cultrash trasuda cinema non solo
nell’ambientazione e nella trama, ma nella struttura stessa dell’intreccio. Il
romanzo infatti inizia con un delitto sul tappeto rosso durante l’anteprima
mondiale di un grande film, quindi parte il flashback che ci porta indietro di
qualche giorno per spiegarci come è potuto succedere. Non è il solo meccanismo
cinematografico che ho adottato, sono tante le tecniche che i film ci offrono
per inchiodare alla storia, soprattutto quando si parla di thriller.
Cultrash non ha però la forma di un film, mi viene
difficile pensare a un adattamento per il grande schermo. Sono davvero
tantissime le cose che succedono, una per pagina, c’è poco tempo per riprendere
fiato, e poi la prospettiva del racconto è unicamente quella del protagonista,
gli stiamo addosso dall’inizio alla fine. In questo modo volevo replicare con
la scrittura proprio l’ossessione della nostra società di cui parlavo prima,
ovvero quella volontà di sottoporci a un fiume in piena di informazioni e
visioni da cui non riusciamo a sottrarci. Ricordi Alex in Arancia Meccanica
quando viene costretto a guardare le immagini sullo schermo? Ecco, i social media
sono diventati la nostra “cura Ludovico”.
Lei ha spaziato dal
romanzo storico al thriller, dal saggio all’avventura. Dove si colloca Cultrash
nel Suo percorso letterario? È una svolta o una tappa naturale?
Il Malombra, che è
come Zorro nel Regno delle Due Sicilie, mi permette di esplorare l’avventura di
matrice storica, anche con un tocco soprannaturale. Le indagini dei Sigonella
Files mi consentono di percorrere le strade del thriller e dello sci-fi. Se
c’è qualcosa che li accomuna è proprio quella tendenza dei miei personaggi a
voler superare certi “rituali” della società, di voler andare contro corrente e
scoprire cosa c’è dietro la bella facciata. Pure il mio saggio Screens Wide
Shut sui rapporti tra cinema e massoneria andava nella stessa direzione. Cultrash
è forse il romanzo con i piedi più piantati a terra, ma nel fare spazio a
un personaggio sfaccettato e anticonformista come Claudio Modica, pur nelle sue
storture, è estremista ma allo stesso tempo egualitario. Finché è finzione
tutto è permesso. Anche sposare il punto di vista di un super-cattivo, a costo
di offendere qualche ben pensante, anzi proprio per il gusto di infrangere quei
tanti, troppi, limiti imposti da un sistema sempre più totalitaristico. Se non
possiamo andare contro il buonsenso almeno nella scrittura, che altra
possibilità ci rimane?
In qualità di
direttore del Sicilia Film Fest e professionista nella distribuzione
cinematografica, quanto ha attinto dalla Sua esperienza diretta per costruire
l’ambientazione del libro?
Per qualche anno ho lavorato anche io come fotografo, giornalista e videomaker al Festival di Venezia. Sicuramente ho un’esperienza diretta sul campo, conosco i posti, conosco le dinamiche. Alcune cose ho potuto comprenderle appieno però solo con il passare degli anni. A differenza mia, Claudio Modica ha goduto di questo approfondimento sin da subito. A differenza sua, io non sono Pestilenza.
L’AUTORE
Vincenzo Sacco è autore dei romanzi Pornozeus (Novantecento, 2012), Il ragazzo che non voleva morire (Spazio Cultura, 2018), delle avventure storiche La leggenda del Malombra (Edizioni Spartaco, 2021) e Il ritorno del Malombra (Edizioni Spartaco, 2024), degli spy-thriller Sigonella Files (Bibliotheka Edizioni, 2019) e Sigonella Secrets (Bibliotheka Edizioni, 2022), e il saggio Screens Wide Shut. Cinema e massoneria (Rogas, 2018), il primo, unico e definitivo studio sul rapporto tra cinema e massoneria.
È il direttore della divisione distribuzione di Altre Storie. Dal 2019 è direttore artistico del Sicilia Film Fest. Fondatore del blog pop nerd Librisengaloria.com, autore del podcast Shazaam. I film che non hai mai visto, ha condotto format web dedicati al mondo televisivo.