“Viaggio spesso, non torno sempre” (frase scritta su un muro di Roma): questa intestazione, in epigrafe al libro “Il taccuino dell'ospite” di Michele Zacchia (Rplibri, 2024 pp. 64 € 12.00) anticipa il contenuto e il significato del viaggio poetico dell'autore lungo le incrinature nascoste dei luoghi, la visione simbolica che restituisce agli occhi e all'anima il sentimento dello spazio, i meandri di un linguaggio metaforico, nella densità espressiva delle parole.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
TESTI TRATTI
Sfere opache tramortite dal silenzio, in un andirivieni
di spazio e oltre misura riconoscenti
un contrordine deciso per destabilizzare
e la trama di questa lirica sonnecchia
in un cuculo beato tiepido
disperso.
Roma, luogo sconosciuto
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Qui si beve vernaccia, dolce rugiada bianca.
Dell’edificio dirimpettaio non resta che una pietra,
una speranza.
Tra i buoi del campo che arano la terra salmastra,
un raggio fu luce. La luna mattiniera ancora in su,
ridimensiona la penombra e svanisce, scortata dal
bianco pallido del cotone.
Il saluto dei galli è musica incerta lungo la strada,
tutti ancora raccolti nella notte. Ecco il sole,
come ci si sente a esser mattina.
dalla finestra della mia stanza, Roma
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Era già previsto che scoppiasse
questa guerra nel mio corpo, nel
momento in cui era tutto vederti
da lontano. Avrei preferito prevedere
l’imprevisto, nella vita tutta insieme
che passa in un bacio di nascosto.
Nel racconto non so dire di
aver amato, brucia il tempo dei
guasti funzionali, tecnici apparati
in disuso: tutto il mio corpo in questa
condizione, spaventa essere vivi,
la guerra non il corpo.
di ritorno da Torino
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L’azzurro si pronuncia inefficace, fossilizza
il cuore diventa buio. Il possesso è nella
contrazione dell’occhio, si traduce per
ripararsi dal freddo.
Si estingue il passo nella strada ripetuta
fare ricorso al sonno per non riconoscere
più il colpo della luce, presto diventare il
suono che ricomincia il giorno.
agosto, in traghetto per Ischia
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Di alberi e frutteti come il librare
delle ali, fruscio e scorta di malessere.
Intemperie orizzontali e coltre
di nubi accovate al mistero
e di fulgidi fasci di grano.
Così t’aspettavo,
contemplando quella linea apparente
tra cielo e terra
che era l’orizzonte.
in
campagna da Gino
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Nel giorno più isolato dell’estate, è l’ombra del
vulcano spento a sentire la mancanza delle rive. La mitologia
matura nelle brame dei tuoi desideri. Il celeste cielo celeste
è sfigurato nelle braccia.
L’immaginario della consolazione, sotto la sfera del disfare,
non si definisce il mare, sconfinato nelle bestie delle onde,
e il travalico del selvaggio rende obliquo tutto il dentro
del mio petto.
camera tua