Papa Leone XIV, il pastore silenzioso che inquieta i signori del potere



"La verità vi farà liberi." – Vangelo secondo Giovanni, 8:32

Nel giro di poche ore dalla sua elezione, Papa Leone XIV si è trovato al centro di una campagna diffamatoria orchestrata con precisione: avrebbe coperto preti pedofili negli Stati Uniti, sarebbe vicino all’estrema destra americana, e infine un uomo troppo "grigio" per succedere a un Papa mediaticamente esplosivo come Francesco. Accuse fragili, spesso maliziosamente infondate, eppure già diffuse capillarmente da certi ambienti ecclesiastici e politici. Ma chi è davvero Robert Francis Prevost, il nuovo vescovo di Roma?

Classe 1955, originario di Chicago, Robert Prevost è cresciuto in una famiglia cattolica di origini franco-canadesi. Entra negli Agostiniani da giovane, affascinato da una spiritualità che coniuga comunità, studio e servizio. Dopo il dottorato in diritto canonico a Roma, nel 1985 si trasferisce in Perù: lì resta per più di vent’anni, diventando prima superiore della missione, poi vescovo di Chiclayo. Un pastore tra la gente, che ha conosciuto da vicino la povertà materiale e quella spirituale, in una delle regioni più difficili del continente.

È proprio in terra andina che Prevost si trova a fronteggiare uno dei casi più oscuri della Chiesa latinoamericana: lo scandalo del Sodalicio de Vida Cristiana. L’organizzazione, fondata da un laico peruviano, si rivela un nido di abusi sessuali, manipolazioni psicologiche e relazioni opache con il potere politico. Mentre molti scelgono la prudenza del silenzio, Prevost agisce: collabora con le autorità civili, ascolta le vittime, rimuove i responsabili. Il giornalista Pedro Salinas, tra i primi a denunciare gli abusi, ha riconosciuto apertamente il ruolo decisivo di Prevost, definendolo “uno dei pochi che ha rotto l’omertà”.

Risulta dunque paradossale – se non sospetto – che si voglia oggi dipingerlo come un “copritore”. È invece una figura di rottura proprio per chi nella Chiesa ha sempre cercato di anestetizzare la verità, più interessato a difendere l’istituzione che a purificarla. La sua determinazione nel contrasto agli abusi è in realtà una delle ragioni principali per cui è stato scelto da Francesco come Prefetto del Dicastero per i Vescovi, uno dei ruoli più strategici della Curia romana.

L’altra accusa – quella di essere vicino a Donald Trump – crolla sotto il peso delle stesse fonti da cui proviene. Steve Bannon, ex consigliere del tycoon e volto dell’alt-right americana, ha espresso pubblicamente forte disappunto per la sua elezione, definendolo “uno dei più progressisti cardinali americani”, in linea con la “Chiesa globalista e sinodale” voluta da Bergoglio. Un’uscita che smaschera la propaganda di chi lo etichetta come "trumpiano": i poteri forti, quelli veri, lo temono.

La cifra teologica di Leone XIV affonda le radici nell’agostinismo: centralità della grazia, introspezione, fiducia nella forza del Vangelo più che nelle strutture. Non è un innovatore da copertina, ma un restauratore di essenzialità. La sua ecclesiologia rifugge gli estremismi: né Chiesa autoreferenziale chiusa nei dogmi, né comunità fluida e svuotata di verità. Vuole una Chiesa sinodale, ma ancorata; accogliente, ma non indifferente alla verità.

La sua cultura teologica e umanistica non è da sottovalutare. Paolo Mieli, voce laica tra le più lucide del panorama italiano, lo ha definito in un recente articolo “di gran lunga superiore a Papa Francesco sotto il profilo culturale e pastorale”. Un giudizio netto, che fotografa bene l’equilibrio del nuovo Papa: sobrio ma colto, profondo ma comunicativo, spirituale senza essere ingenuo.

Il suo primo messaggio da Pontefice, pronunciato con voce ferma dalla loggia di San Pietro, è stato: “Non abbiate paura del mondo, ma di perdere il sapore del Vangelo”. Non uno slogan, ma una visione. In quelle parole si riconosce la linea del suo pontificato: ricentrato sul Vangelo, alieno da protagonismi, vicino ai dolori del mondo ma saldo nella dottrina.

Papa Leone XIV non è un uomo dei salotti, non ha clientele curiali, non è prigioniero di ideologie. È un pastore vero, e proprio per questo – in un tempo in cui la Chiesa è spesso ridotta a campo di battaglia tra opposti fondamentalismi – rappresenta una minaccia per i professionisti della divisione. E forse è proprio questo che lo rende il Papa di cui oggi c’è più bisogno. 

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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