di Mariano Sabatini
C’è
stato un periodo non lontano in cui chi si occupa di libri per mestiere o piacere
non parlava che di Ferrovie del Messico,
romanzo poi candidato allo Strega. Di quel romanzo fluviale era ed è autore
Gian Marco Griffi, ma quel che più ci interessa oggi è che l’editore era ed è Laurana.
Un marchio che evoca l’alloro, il suo profumo, il suo simbolismo associato alla
sapienza e al gusto letterario e della cultura. Di questo marchio,
effervescente e viene da dire seducente, che ha appena raggiunto i 15 anni di
vita è ideatore e patron Lillo Garlisi, nativo di Racalmuto (paese di Leonardo
Sciascia, guarda caso) ma operativo a Milano, anche con gli altri suoi marchi
Melampo, Zolfo e Novecento. L’ho contattato per rivolgergli qualche domanda,
per capire questo anniversario in che periodo cade della vita di Laurana. “Una cosa è sicura: quindici anni non sono pochi. E voltandosi
indietro di tempo ne è passato e di cose ne sono accadute. Un marchio
editoriale è un organismo che cambia e si evolve nel tempo, per nuove scelte,
per seguire nuove intuizioni, per perseguire nuovi obiettivi” esordisce Garlisi.
Oggi Laurana è un
marchio molto articolato.
Sì,
ha collane con circa 200 titoli in catalogo. Un marchio che, con controllata
irrequietezza, si è sempre evoluto. Di me che posso dire? Solo che in questi 15
anni ho continuato a imparare, senza rinunciare all’irrequietezza.
Quando iniziò, se l’immaginava
di arrivare a questi risultati?
La
prima sfida che deve affrontare un nuovo editore che si affaccia sul mercato è
quella della sopravvivenza. Le statistiche dicono che la maggior parte dei
nuovi marchi lanciati sul mercato crolla dopo i primi tre o quattro anni. Il
fatto di esserci ancora è già un non trascurabile risultato.
Sono
passati quindici anni e Laurana è ancora qua, in profonda crescita e in
continuo mutamento. Un marchio che ha una sua presenza, un suo posizionamento, lettori
che lo seguono con interesse. E non è poco.
Fare l’editore rimane
è un mestiere da spericolati?
Sicuramente
è un mestiere molto meno tranquillo di quanto si immagini. Ci si muove in un
settore iper competitivo, caratterizzato da una domanda tendenzialmente
constante, se non in flessione… e da un eccesso di offerta, che crea non poco
disorientamento nel lettore. Un settore che strutturalmente produce poca
marginalità, che costringe quindi continuamente ad affinare il tiro. Mestiere
da spericolati forse no; di certo un mestiere in cui bisogna far coesistere la
passione e la razionalità, che non sempre vanno d’accordo.
Quali furono le
intuizioni degli inizi e come ha modificato il tiro?
Rispetto
all’esordio, debbo dire che immaginavamo di rimanere concentrati sui buoni
romanzi italiani; il tempo invece ci ha convinti che era utile articolare la nostra
presenza con collane di genere. E dunque, accanto alla collana fondativa di
narrativa, Rimmel, sono nate altre collane, a partire da Calibro 9, che propone
gialli e noir. E via via le altre. Fino all’ultima nata, Fremen, che è curata
da Giulio Mozzi e propone narrativa “non conforme”. L’articolare il catalogo in
collane è sicuramente un approccio non innovativo, anzi: decisamente
tradizionale; ma a mio avviso ha un innegabile vantaggio: è un servizio per il
lettore, collocare in contenitori chiari, riconoscibili e identificabili i
singoli titoli.
Diciamo qualcosa degli altri suoi marchi?
Un
marchio di cui vado orgoglioso è Zolfo editore, un marchio di saggistica,
terreno che rappresenta l’altro mio personale emisfero. Un nuovo marchio,
fondato nel 2019, ma che ha solide basi in un’altra sigla, Melampo, che per lunghi anni ho contribuito a
portare avanti. Zolfo in pochissimo tempo è riuscito a diventare un punto di
riferimento chiaro e nitido nel suo settore: grandi inchieste, reportage,
analisi; insomma libri di “storie” per chi vuole sapere, per chi vuole capire.
A chi sentirebbe di
dire grazie per questo percorso?
Fare
libri è mestiere corale. Da soli non si va da nessuna parte. A ripercorrere il
cammino di Laurana, mi sentirei di ringraziare le decine e decine di persone
(sarebbe più corretto dire: centinaia!) che hanno portato e portano un piccolo
o grande tassello che costituisce il mosaico che alla fin fine è un catalogo e
una esperienza stratificata di una casa editrice. E tutte queste persone, una a
una, sono state fondamentali, nel loro apporto, alla crescita e allo sviluppo
del marchio.
Giulio Mozzi cosa ha
rappresentato per Laurana?
Ho
incontrato Giulio Mozzi per la prima volta nel giugno del 2010, alla vigilia
del lancio dei primi romanzi di Laurana. Lui, autorevole esponente del mondo
delle lettere, e io, praticamente un debuttante nel settore, visto che fino ad
allora mi ero occupato di altri ambiti editoriali. Sin dagli esordi è stato
vicino a Laurana, sia pubblicando dei libri con il nostro marchio, sia non
facendoci mancare “utili consigli", com’è ancora scritto nel colophon dei
nostri libri di narrativa. Fu lui a presentarmi Gabriele Dadati, all’epoca
giovanissimo talento, che nei primi cinque anni di vita di Laurana ha avuto un
ruolo fondamentale nella costruzione del catalogo e del posizionamento del
marchio. E già solo un anno dopo, nel 2011, quando pensammo, con Gabriele
Dadati e Massimo Cassani, di far nascere – per gemmazione da Laurana – una
scuola di scrittura, non avemmo dubbi sul fatto che Giulio Mozzi fosse la
persona più adatta per dirigerla. Oggi la Bottega di narrazione è una solida e
consolidata realtà e ha una sua marcata autonomia. La più recente creazione realizzata
insieme a Giulio è la collana Fremen, che dopo il successo straordinario di Ferrovie del Messico è oramai
transitata nella leggenda.
Quali sono i criteri
che vi fanno dire: questo può essere un nostro libro?
Il
primo requisito naturalmente è che ci sia una buona storia e che sia scritta
bene. Ma sarebbe troppo facile, no? In realtà bisogna considerare che ogni
libro è un pezzo della costruzione di un catalogo. Un editore non è quello che
dichiara di essere ma quello che pubblica. Quindi bisogna sempre fare molta
attenzione a ciò che si sceglie. Ogni libro è un tassello che si aggiunge a un
mosaico esistente, confermando o mutando lievemente il disegno di fondo, o
magari solo quello percepito. Credo personalmente che un criterio vada sempre
valorizzato: un libro al lettore deve lasciare qualcosa. Se un libro – dopo la
lettura – non ti ha cambiato, almeno un po’, forse non ha fatto fino in fondo
il suo mestiere.
Citava il successo di
Ferrovie del Messico di Griffi a cosa fu dovuto (non solo la qualità),
ed era prevedibile?
Su
Ferrovie del Messico c’è oramai ampia letteratura. Tanto si è detto e
tanto si è scritto. Anche le ricostruzioni del perché del successo del romanzo
abbondano. Io posso dire che è tutto molto semplice: il libro all’uscita, nel maggio
2022, fu accolto dall’indifferenza che di norma accompagna la quasi totalità
dei romanzi che si affacciano sul mercato. Tant’è che il lancio fu di sole 168
copie su tutto il territorio nazionale. A fronte di questo deludente risultato cominciammo
a spedire copie a selezionati lettori “veri”. E nei mesi successivi cominciarono
ad arrivare anche alcune importanti recensioni. Si è attivato un meccanismo che
non esito a definire magico e misterioso: il passaparola. Soprattutto
attraverso i social, da parte di chi il libro aveva cominciato a leggerlo e
riteneva di dovere segnalare che stava confrontandosi con qualcosa di inusuale.
Dall’amico di università al critico letterario, dal libraio di quartiere a
Jovanotti, dalla studentessa a Lino Guanciale, per dirne alcuni.
E c’è stato un punto
di svolta.
La
consacrazione è arrivata con la vittoria del Premio Mastercard e del Fahrenheit,
l’uno dietro l’altro a Roma, nel dicembre 2022. Da lì un’onda mediatica
impetuosa, un crescendo continuo. Il passaparola è aumentato in maniera
gigantesca fino a creare fenomeni da tifoseria. Credo si attivò anche un meccanismo
di “simpatia” verso il romanzo di un autore non appartenete alla schiera dei
soliti noti e pubblicato da una piccola casa editrice. Un fenomeno da Davide contro
Golia, insomma. Per certi versi in quella fase noi e Ferrovie fummo
identificati quasi come la rivincita contro il main stream e i grandi gruppi. Naturalmente
è una ricostruzione a posteriori. Non credo che un fenomeno del genere – e di queste
dimensioni, con circa 60mila copie vendute a oggi – sia replicabile
costruendolo a tavolino. Forse ilfascino dell’editoria risiede anche in questo:
rimangono dei margini di imprevedibilità che riescono sempre a stupire. Alla
fine, è quello che amo di questo lavoro.
Di quali autori del
suo catalogo va più fiero?
Naturalmente
non farò alcun nome! Quello che posso dire è che prediligo personalmente gli
autori che fanno grandi cose, che scrivono buoni libri, ma che mantengono un
certo spirito di leggerezza personale. Ripeto spesso che il “capolavoro” lo
riconosciamo dopo decenni dalla pubblicazione. Quello che si cerca di fare nel presente
è un onesto libro, niente di più.
Qual è il male
attuale dell’editoria?
Sono
fermamente convinto che il male principale dell’editoria di oggi sia la sovrapproduzione.
Il sovraffollamento di novità (più di 80mila nuovi titoli all’anno) crea a
cascata tutta una serie di criticità. Immaginate lo stesso principio
distruttivo del fast fashion, ma applicato alla filiera editoriale: difficoltà
distributive, competizione aspra, e non sempre garbata, per l’accesso in libreria,
lo stesso per lo spazio nella comunicazione, eccetera. Pensiamo poi alla
difficoltà che fa il lettore per orientarsi nella giungla delle comunicazioni continuamente
al rialzo, quali il “romanzo dell’anno” o le“tre ristampe in due giorni”. Si producesse
meno sarebbe un bene per tutta la filiera.
Tutti fanno il peana delle
librerie e dei librai ma si fa fatica a trovare certi libri nelle grandi catene
e i librari indipendenti sono sempre meno. Come la mettiamo?
Per
certi versi è una delle conseguenze naturali del sovraffollamento. Gli scaffali
fisici delle librerie hanno un limite spaziale. E’ di tutta evidenza: tutto non
può entrare in libreria. In ogni negozio, comunque si scelgano gli
assortimenti, saranno sempre più i libri assenti che quelli presenti. E questo
– non è un paradosso – ha portato alla crescita delle librerie virtuali che non
hanno il limite della capienza degli scaffali. Le librerie fisiche, sia di
catena che indipendenti, se vogliono ritrovare centralità, dovranno
maggiormente concentrarsi sull’identificare la loro tipologia di cliente:
quello a cui vogliono vendere i prodotti che poi finiranno sui loro scaffali.
Cosa servirebbe a
Laurana per renderla totalmente soddisfatto?
Nella mia irrequietezza, io guardo sempre il bicchiere mezzo pieno. Mi rende soddisfatto sapere che ci sono migliaia di lettori che apprezzano il nostro lavoro e che ci seguono con affetto e interesse. Per il futuro lontano mi piacerebbe che uno, almeno uno delle centinaia di titoli prodotti negli anni, rimanga impresso nella mente dei lettori come un ricordo piacevole o per una sola riga ricordata a memoria, qualcosa a cui ispirarsi. Oggi mi basta, semplicemente, il riconoscimento di un lavoro pensato, lavorato, limato e proposto. Sempre con studiata irrequietezza.