“Non si smette di creare perché si invecchia. Si invecchia quando si smette di creare.”- Italo Nostromo
In un tempo in cui tutto spinge verso la velocità, la novità e l'idea che la creatività sia figlia esclusiva della giovinezza, ci sono due uomini che sembrano vivere in controtendenza. Clint Eastwood e Ridley Scott. Due registi che, anziché rallentare, accelerano. Anziché ritirarsi, rilanciano. Anziché spegnersi, continuano ad accendersi.
Eastwood ha 94 anni. Ridley Scott ne ha 87. Ma nessuno dei due sembra avere intenzione di fermarsi. Anzi, la loro produzione sembra aumentare, come se il tempo, invece di consumarli, li spingesse a creare ancora di più, ancora meglio. C’è qualcosa di profondamente umano e poetico in questo loro andare avanti, ostinato, silenzioso, ma determinato. Non è solo un atto artistico, è un atto esistenziale.
Per loro, il cinema non è solo un mestiere: è la forma stessa con cui hanno imparato a pensare, a respirare, a guardare il mondo. È il loro linguaggio naturale. E quando questo linguaggio diventa parte di te, non lo metti via per l’età. Lo affini. Lo scolpisci. Lo liberi.
Con l’età, si perde l’ansia di piacere, ma si guadagna libertà. Non si ha più bisogno di dimostrare nulla: si ha solo bisogno di dire la verità. E forse è proprio per questo che molti registi danno il meglio nei loro ultimi anni.
Manoel de Oliveira, regista portoghese, ha girato film fino a 106 anni. Il suo cinema lento e contemplativo è stato una lunga conversazione con la morte, con Dio, con la memoria. Una vera anomalia: un artista che ha attraversato quasi tutto il Novecento cinematografico e parte del XXI secolo.
Ingmar Bergman, a 85 anni, tornò con Saraband per chiudere il discorso aperto 30 anni prima con Scene da un matrimonio. Una riflessione tesa e spietata sull’amore, il corpo, la vecchiaia.
Sidney Lumet, a 83 anni, girò Before the Devil Knows You're Dead, un noir potente, crudele, senza un briciolo di nostalgia. Uno dei suoi film più moderni.
Robert Altman se ne andò a 81 anni, lasciandoci Radio America, malinconica elegia del tempo che passa. Un addio pieno di vita.
Agnès Varda, pioniera della Nouvelle Vague, ha continuato a sperimentare fino agli ultimi anni. A 89 anni ha firmato Varda par Agnès, un film-saggio in cui si racconta con ironia, grazia e una libertà invidiabile.
Lina Wertmüller, prima donna candidata all’Oscar per la regia, è rimasta attiva e lucida fino alla fine, continuando a scrivere, parlare, influenzare.
Anche attrici come Judi Dench, Maggie Smith, Charlotte Rampling, Jane Fonda, Helen Mirren stanno riscrivendo le regole dell’età nel cinema, interpretando ruoli complessi, centrali, rifiutando lo stereotipo della donna “finita” dopo una certa età.
Megapolis non è solo un film, è una dichiarazione di intenti. Con oltre ottant’anni, Coppola non ha ceduto alla tentazione di riposarsi sui suoi allori. Al contrario, ha affrontato il progetto con un rinnovato spirito di sperimentazione, cercando di riscrivere, come solo lui sa fare, i confini del cinema contemporaneo. La sua visione di un futuro distopico, che affronta il potere, la tecnologia e la politica, non è solo una riflessione sul presente, ma una sfida al futuro stesso.
Questa sua audacia non è una novità per un regista che ha sempre avuto il coraggio di rischiare, di affrontare temi complessi e di non accontentarsi delle soluzioni facili. In un mondo dove la maggior parte dei registi si accontenta di ripetere il passato, Coppola ha scelto di creare qualcosa di nuovo, di diverso, nonostante la sua età avanzata. Il suo è un esempio di come, con il coraggio, l’arte possa trasformarsi in un atto di continua reinvenzione.
E Clint Eastwood? È sul set con Giurato n. 2, un legal thriller che potrebbe essere la sua ultima regia, o forse no. Ha superato i novanta, ma continua a lavorare come se avesse ancora qualcosa da raccontare. Lo stesso vale per Ridley Scott, che, dopo il successo di Napoleon, è già pronto a lanciarsi in nuovi progetti come Il Gladiatore 2 e altre avventure cinematografiche.
Quando un artista invecchia, le sue esperienze, i suoi pensieri e le sue riflessioni vengono messe a nudo nei suoi lavori. Questo processo di introspezione si riflette nei film e nei progetti che vengono realizzati negli anni avanzati, che diventano il suo vero testamento artistico. I temi trattati diventano universali e riflettono una visione più profonda e spesso più dolorosa della vita, della morte, dell’amore e della solitudine.
Il cinema, come l'arte in generale, non ha età. A volte, l'età non è un limite, ma un potenziamento. Quando l’artista arriva all’apice della sua esperienza, il suo lavoro assume una profondità che solo la lunga carriera, i fallimenti, i successi e le riflessioni personali possono conferire. Il loro lavoro diventa un’eredità, un lascito che non solo ci intrattiene, ma ci fa pensare, riflettere, commuovere.
In un mondo che corre veloce e tende a dimenticare, queste figure ci ricordano che il vero valore di un artista non sta nella velocità con cui produce, ma nella qualità, nella riflessione e nell'autenticità delle sue opere. Eastwood, Scott, Morricone, Coppola, Bergman, Kurosawa, Varda e tanti altri hanno dimostrato che, anche quando il corpo invecchia, la mente e lo spirito possono rimanere giovani, vitali e pronti a lasciare il loro segno indelebile.
Quando l’età avanza, molti chiudono le tende. Eastwood, Scott, Morricone, Coppola, invece, alzano il sipario. Il tempo non li frena, li affina. Perché i grandi narratori non vanno mai davvero in pensione. Continuano a parlare finché c’è qualcuno disposto ad ascoltarli. E finché ci sarà cinema e musica, ci sarà sempre una voce come la loro pronta a illuminarci — anche nell’ultima inquadratura.
Carlo Di Stanislao