Recensione di Kintsugi. Riparare la vita di Anna Cantagallo

Nel panorama della narrativa italiana contemporanea, Kintsugi. Riparare la vita di Anna Cantagallo — edito da Castelvecchi — rappresenta il terzo capitolo di un’affascinante saga familiare, capace di coniugare il registro intimistico con la dimensione corale. L’autrice vi distilla una riflessione profonda sull’infrangibilità e sulla possibilità di rinascere dalle proprie ferite, senza mai rinunciare a un rigore stilistico venato di intensa liricità.

Una protagonista emblematica: Marigiò Pennisi

Al centro del romanzo spicca la figura di Marigiò Pennisi, tratteggiata con una sensibilità che ne valorizza tanto le sfumature psicologiche quanto il portato simbolico. Segnata dall’assenza del marito Fabrizio e dal riemergere di segreti familiari, Marigiò si erge a prisma narrativo attraverso cui l’autrice investiga temi cruciali quali la perdita, la memoria e la resilienza. La sua vicenda personale, ricca di chiaroscuri, funge da specchio per una complessa rete di relazioni, in cui i legami di sangue costituiscono sia fonte di consolazione sia motivo di conflitto.

La metafora del Kintsugi

Il titolo Kintsugi. Riparare la vita richiama la raffinata arte giapponese di riparare le ceramiche rotte mediante l’impiego di preziose lacche dorate. Anna Cantagallo elegge questa pratica a metafora unificante del romanzo: ogni frattura esistenziale — che si tratti della sindrome di Tako-Tsubo, nota come “sindrome del cuore infranto”, o dei dissapori familiari — viene sublimata nella prospettiva di una rinascita arricchita dalla consapevolezza del proprio dolore. Come i frammenti di un vaso riparato, così i protagonisti riscoprono la propria unicità proprio nelle linee d’oro che ne segnano le cicatrici interiori.

I diversi contesti geografici Roma, Salento e Stati Uniti, si fanno così specchio dell’interiorità dei personaggi, celebrando la necessità di ridefinirsi a contatto con territori sconosciuti o, viceversa, intrisi di ricordi.

Architettura narrativa e stile

Lo stile di Anna Cantagallo si rivela accurato e levigato, con un’eleganza espressiva che accompagna il lettore attraverso flashback e rimandi poetici. L’uso sapiente dei salti temporali offre una visione sfaccettata del passato e del presente, consentendo di cogliere la complessità del tessuto familiare. L’ampio ricorso a immagini e simboli — non ultimo lo stesso Kintsugi — infonde nella prosa una dimensione quasi meditativa, dove l’evocazione si affianca all’azione.

Legame con le opere precedenti

In quanto terzo volume, Kintsugi. Riparare la vita si collega idealmente a romanzi come Arazzo familiare, in cui il contesto storico — dalla Prima e Seconda guerra mondiale sino ai movimenti del ’68 e all’emancipazione femminile — già delineava la tela su cui tessere le complesse genealogie familiari. La scelta di inquadrare i destini dei personaggi in uno scenario più ampio sottolinea l’attenzione dell’autrice alle vicende collettive che influenzano i percorsi individuali, trasformando la saga in una sorta di specchio in cui si riflette l’evoluzione di intere generazioni.

Un libro per tutti, ma principalmente, un libro per le donne.


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