di Mariano Sabatini
Chi segue il lavoro di Sebastiano
Martini - non ancora cinquantenne, di Parma –
ne apprezza la scrittura tersa, delicata, sorretta da uno stile netto,
molto personale. Inconfondibile nella sua quasi impalpabile eleganza. Difficile
dire molto altro perché dei suoi romanzi diventa difficile argomentare: si
leggono con lo stupore che si riserva alla contemplazione di certe opere
pittoriche. Cosa vuoi dire della Gioconda di Leonardo? Che vuoi aggiungere
mentre osservi la Cappella Sistina? E non è meglio tacere ammirando il
Fanciullo con canestro di frutta di Caravaggio? Ecco, anche leggendo il nuovo
romanzo di Martini, Il desiderio
imperfetto edito da Arkadia (avevo molto apprezzato anche il precedente Il mare delle illusioni) sono stato
colto dallo stesso riflesso di stupore che suscita,a dispetto dello stesso
titolo, la perfezione. Perché storie come quelle che racconta Martini, nella
loro eccentricità fuori da ogni moda ed etichetta, non potranno mai avere
diversi andamenti o esiti. E in tal senso appaiono elaborati che rasentano la
perfezione dell’inesorabile. Con un’avvertenza dello stesso autore: "
Allora per lei la letteratura è una via di fuga più che uno spettro di
decrittazione della vita reale.
La
letteratura non può prescindere dall’invenzione, dall’intento creativo, dalla
finzione. Periodicamente scrittori di fama imbracciano la polemica di
un’eccessiva mania dell’editoria per la realtà, che si declina spesso nelle
autobiografie o al massimo nelle autofiction. L’ultimo a farlo è stato Paolo Di
Paolo. Condivido le sue parole, ma la cosa triste è che la polemica provenga
sempre da personalità che, invero, sono ben integrate nel mondo dell’editoria.
Mi chiedo quindi se non possano fare qualcosa di più di qualche intervista,
visto che spesso ricoprono incarichi di direttori editoriali e insegnano nelle
scuole di scrittura creativa. L’autoreferenzialità è forse il male dei nostri giorni.
Fabrizio ed Enrico nel suo ultimo romanzo sono migliori amici, come si
dice, cresciuti nella natura. Che sentimento è per lei l’amicizia?
L’amicizia è
importantissima, un sentimento troppo sottovalutato. La vita è fatta di
coincidenze e senza l’amicizia le coincidenze favorevoli non si avverano quasi
mai. Ho sempre dato molta importanza agli amici leali e ne sono stato ogni
volta ripagato. Fabrizio ed Enrico sono diversi, nel carattere, nelle
ambizioni, ma combattono con gli stessi demoni. L’amicizia è un’alleanza contro
le storture del mondo.
Fabrizio vive nel sogno bruciante della scrittura. Un esemplare umano
diffuso?
Un maschio che legge oggi è
una rarità, un essere misterioso. Conosco pochissimi uomini che leggono
davvero, soprattutto romanzi. Lo stesso vale per la scrittura. Quelli che lo
fanno, forse, sono accomunati da un certo disagio nel vivere il proprio tempo,
come il sottoscritto
Enrico sembra incarnare il successo che aderisce ai dettami di un mondo
consumistico e di compromessi, in apparenza meno problematico.
Alla fine
anche Enrico è un velleitario, un po’ come tutti i personaggi della storia.
Forse, a differenza di Fabrizio, che sogna di diventare scrittore, lui prova ad
accettare la via del compromesso e cerca di inserirsi negli ingranaggi del
mondo dell’arte, sa che deve farsi parte attiva. Penso che chiunque voglia
affacciarsi alla creatività, come primo passo debba conoscere bene le dinamiche
della realtà nella quale vuole immergersi. I dettagli fanno sempre la
differenza. E il mondo dell’arte, come della letteratura, da vicino è un’altra
cosa.
Una figura carismatica e misteriosa come quella del suo Vincenzo De Petri, il famoso scrittore che trascorre le sue estati a Montemarcello, può esistere solo in un bel romanzo o è ancora possibile che si possa provare fascinazione per un personaggio simile?
Io ho sempre
subito la fascinazione dei grandi vecchi e continuo ad averne. Ho sempre
sperato di imbattermi in qualcuno che mi potesse indicare la strada, un
mentore, ma ancora non mi è capitato. Il personaggio di De Petri si ispira a un
vero abitante di Montemarcello che ora non c’è più ma che in passato ha
contribuito a farne la fortuna. Non vi dico di chi si tratta, vediamo chi ci
arriva. Solo un indizio: il borgo era chiamato “il paese dei giornalisti”.
Il grande Indro Montanelli. A tal proposito… E la figura della giornalista
un po’ intrallazzatrice su chi è ricalcata?
Nel fisico
avevo in mente Gertrude Stein, ma non nella personalità. Non ricalca nessuno di
realmente esistente o esistito ma rispecchia uno stereotipo molto presente
nell’editoria italiana e non è il genere a fare la differenza. Mi riferisco a
chi è disposto a tutto, o quasi, pur di mettersi al centro della scena.
Velleitari, ancora una volta.
Quella di Fabrizio è un’esistenza segnata dal sacro fuoco della scrittura
che per continuare ad ardere necessita, in un’intuizione paradossale, di non
essere alla fine soffocato dall’appagamento.
L’ho imparato
dalla vita e da tutti i grandi scrittori che ho letto. L’appagamento, benché
effimero, fa svanire l’afflato creativo. Potrei fare molti esempi. Bisogna
sempre inseguire qualcosa, la Grande Occasione come la chiamava il mio amato
Raffaele La Capria. Bisogna sempre cercare la balena, come invece suggerisce un
archetipo che ho usato nel romanzo.
Anche In Costa Azzurra con Fitzgerald (edito da Giulio Perrone) in buona
sostanza lei ripercorre le tappe geosentimentali del sogno letterario di un
grande scrittore. Quanto si è dovuto documentare per scrivere quel libro?
Scott
Fitzgerald è una mia grande passione, come lo è Hemingway. Mi sono documentato
tantissimo, ho letto e talvolta riletto tutte le sue opere e tutto ciò che è
stato scritto su di lui. E’ stata la parte più divertente quella della ricerca,
anche perché, essendo un romanziere, non mi ci ero mai cimentato. Me lo sognavo
pure di notte, che mi parlava con una coppetta di Martini in mano.
E lei, Martini, come si colloca nel nostro panorama editoriale?
A differenza
del personaggio del mio romanzo, Fabrizio, mi reputo abbastanza fortunato. Non
ho mai faticato granché a trovare un editore disposto a pubblicare il mio
lavoro. Nonostante questo, non posso dirmi soddisfatto, non può bastare. Un
romanziere ha solo un desiderio, forse imperfetto, ed è quello di far arrivare
le sue parole a più persone possibili. Per com’è oggi, l’editoria è un’impresa
sempre più difficile. Gli editori con cui ho collaborato finora sono
coraggiosissimi sognatori che credono ancora nella narrativa pura, ma il
mainstream va da tutt’altra parte.