di Mariano Sabatini
Non sempre, per quanto possa
sembrare incredibile, il giornalismo si coniuga alla cultura, intesa come
proprietà di nozioni e capacità di veicolarle. La professione è affollata di
mestieranti, in lotta con la grammatica, la sintassi e le conoscenze minime di
storia, letteratura, arte e simili. Se c’è un giornalista colto, senza mai
apparire supponente o scostante, quello è Francesco Specchia – già responsabile
della Cultura del quotidiano Libero, e in questa veste titolare di una sapida
rubrica di critica televisiva, poi autorevole notista politico – che ora dà
alle stampe un libro interessante e divertente per i contenuti, appagante per
quanto riguarda lo stile: Complimenti per
la trasmissione. Un impavido telebestiario della tv italiana
(Baldini+Castoldi editore) con la prefazione del dolcissimo, amatissimo
Vincenzo Mollica, per decenni volto del Tg1, in qualità di telecronista di
Spettacoli. Riferendosi a una preoccupazione che gli aveva confessato Federico
Fellini, secondo Mollica Specchia ci rende meno ciechi e sordi di fronte alla
quotidiana aggressione del piccolo schermo. Che spesso meriterebbe solo il
tasto con il tondino dello spegnimento. Uno che guardi la televisione come
impegno quotidiano deve essere considerato un martire che si consegni alla
causa del buon gusto e della moralizzazione dei cattivi maestri.
Specchia tratta personaggi
(divisi tra mostri di bravura, mostri di comunicazione o di trash) e format con
tutti i tributi, in ordine ad arguzia e ironia, che non meritano, considerando
l’orrida e inarrestabile deriva presa; e in questo si evidenzia la sua
generosità.
Allievo, per quanto riguarda
il giornalismo scritto, del mostro sacro Indro Montanelli e di quell’orco
dissacrante che è Vittorio Feltri, si capisce che Specchia ama da matti metterci
la faccia; per cui lo vediamo spesso e volentieri (non c’è da invidiarlo) come
commentatore nei vari talk show
politici, dove si distingue per aplomb,
misura, onestà intellettuale. Per quanto si possa essere in disaccordo con lui
si finisce per ammirarlo. E accade lo stesso leggendo il suo libro, composto
perlopiù dei pezzi per Libero e TgCom, con sussulti continui di sorpresa e gioia
dinanzi alle sue trovate, i suoi riferimenti dotti, le intuizioni, le
definizioni geniali. Tanto per esempio: <<Fabio Fazio è un mostro di
bravura. Ha costruito la sua piccola leggenda sulla capacità di onorare la RAI
quanto il suo partito di riferimento; e di fare ascolto e di fare soldi. In
questo è la reincarnazione di Maurizio Costanzo in salsa Veltroni boys>>.
E poi: <<Funari più che un pezzo di storia della TV è stato un
sincretismo di populismi. È stato appunto Masaniello e Napoleone, Giannini
dell'uomo qualunque e Larry King, Conan il Barbaro e Asterix>>. Come non
applaudirlo.
Ogni volta leggere Specchia è
un’esperienza mirabolante: capace allo stesso tempo com’è di affermare il suo
punto di vista senza infingimenti o ipocrisie, coniugandolo alla lealtà di
palesare l’appartenenza ideologica o politica; mai negando i meriti o i
demeriti di una o dell’altra fazione.
L’abilità di Specchia nel
muoversi nelle asperità della lingua italiana, mantenendo alta la temperatura
del pezzo, rimanda a quel genio che fu Sergio Saviane, critico televisivo
dell’Espresso. In tarda età perseguitato dalle querele, tipo quella di Irene
Pivetti, all’epoca in corsa su e giù per il Transatlantico con la croce della
Vandea al collo e da lui ribattezzata “gobbeta soppressada”.
A volte poi ci sono anche i
personaggi televisivi che, come i politici, rinunciando purtroppo all’utile
intermediazione giornalistica, si mettono a scrivere libri. Tanto perché fa
figo.
È il caso di Giancarlo
Magalli, il più urticante dei presentatori della vecchia scuola, battutista
naturale, la lingua biforcuta più veloce di tutta la Rai. Il che lo ha messo sovente
nei guai, ad esempio con Raffaella Carrà e poi – si peggiora sempre con l’età,
persino nello scegliersi i nemici – con Adriana Volpe che lo ha trascinato in
tribunale. Per Sperling & Kupfer ha dato alle stampe Fantastici. Ricordi, amicizie, incontri con la fuggevole prefazione
di Pippo Baudo.
Magalli in televisione, anche
come autore, ha fatto cose pregevoli e avremmo apprezzato un libro meglio strutturato
sul suo percorso artistico. Questo è invece un’infilata di ritratti, abbastanza
epidermici e poco illuminanti, sui personaggi incontrati, sfiorati, ammirati…
Da Massimo Troisi a Paolo Villaggio, da Enrico Montesano a Fabrizio Frizzi,
tanto per dire. Peccato che, sia in relazione a Bandiera gialla (di cui inventò il titolo e che quasi impose al
maestro Razzi, direttore di Radio Rai) o a La
Corrida (che suggerì a Corrado), Magalli abbia avuto un grave buco di
memoria su Luciano Rispoli, che pure – Magalli lo ha raccontato qualche volta in
altri contesti – fu uno dei primi a dirgli quanto fosse bravo, avendolo
intravisto su una emittente televisiva romana. Niente, nel libro manco una
citazione per l’autore, il dirigente, il popolare conduttore di Parola mia e Tappeto volante. A volte il furor autocelebrativo ha la meglio sul
merito e la riconoscenza.