In che cosa "Conto alla rovescia" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
“Conto alla rovescia” è il primo testo di un certo impegno, sia per estensione, sia per contenuto, che ho scritto interamente. Lavori di più ampio respiro li ho sempre scritti in collaborazione con il mio mentore, Roberto D’Alessandro, autore, attore e regista, mentre altri primi tentativi di scrittura erano più ingenui, spensierati. Sia chiaro, quando parlo di contenuti “impegnati” si tratta semplicemente di riflessioni personali su come le persone siano portate ad agire nei loro legami, non arrivo a toccare temi di importanza esistenziale o civile, per il momento non ne avrei nessuna competenza. Si tratta di situazioni e temi che in qualche modo mi hanno personalmente toccato e io mi limito a scrivere di quel che so.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti?
Ciononostante anche nei lavori più spensierati, di cui parlavo prima, mi preme sempre inserire qualche elemento di riflessione, certo si può trattare di una rapida occhiata ad un qualcosa di particolarmente ironico tra le assurdità della vita. Il primissimo testo che ho portato in scena con i miei colleghi, “Tutta colpa di noi”, mostrava come talvolta ciò che più fa funzionare i rapporti di coppia sia esattamente il fatto che non funzionino e come trasciniamo il resto del mondo nella nostra disfunzione per poter essere sereni (una considerazione del genere c’era pure in un particolare episodio del film di Woody Allen “Harry a pezzi”).
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
Ci sono varie storie del mio incontro col teatro: Da piccolissimo spettatore rimasi incantato da un “Arlecchino servo di due padroni”, recitato dall’inestimabile Soleri e mi innamorai immediatamente del Teatro e della Commedia dell’Arte. Mi ricordo che mi presentai a scuola, il giorno di Carnevale, vestito da Pantalone. Mi scambiarono tutti per Babbo Natale. Il primo approccio come attore fu sempre, credo, a sei/sette anni. Stavo guardando tra il pubblico un attore che metteva in scena il “Mago di Oz”. Ad un certo punto si mise a chiamare sul palco un volontario per recitare la parte del “dorotino”. Mi scapicollai sul palco e, nonostante il pover’uomo cercasse di darmi indicazioni, iniziai a improvvisare in preda all’entusiasmo, come non ho mai più fatto in tutta la mia vita. Inutile dire che fui rimpiazzato rapidamente, altrimenti lo spettacolo non sarebbe più andato avanti con i miei sproloqui. Per farla breve ho ripreso Teatro, molto dopo, al liceo, per tre quattro anni, dove ho anche iniziato a scrivere per la scena, poi all’Università, infine l’Accademia Internazionale di Teatro a Roma e poi il resto…
Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi? In questo caso, ha pensato subito a sé stesso per il ruolo che interpreta?
Il testo, come ho detto, prende molto spunto da eventi
che mi sono capitati, sentimenti che ho provato e provo tuttora, riflessioni,
esami di coscienza. Inevitabilmente il personaggio che interpreto ha molto a
che vedere con me. Ciononostante per me si è rivelato fin da subito
estremamente difficile da interpretare e tuttora mi provoca non poche crisi.
C’è sempre una vita del personaggio che sfugge sia al suo interprete che alla
stessa persona che l’ha scritto.
È curioso un altro caso: nello scrivere gli altri personaggi mi sono ispirato a un insieme di persone che ho conosciuto nella mia vita, spesso mescolando in uno solo più caratteri di più persone, nonostante ciò, spesso mi è stato fatto notare, da conoscenti, come questi personaggi in alcuni casi si siano adattati perfettamente all’interprete. Fatto che certamente attribuisco alla bravura dei miei colleghi, che stimo profondamente, ma in parte anche a questa strana mistica dei personaggi di cui parlavo. È chiaro che adesso, dovendo affrontare un palco più importante, stiamo facendo un tipo di lavoro che più volte ci ha dimostrato che il processo di immedesimazione è ancora lungo. Tuttavia non riesco a non pensare a questa coincidenza.
È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Un buon autore deve saper sempre sfruttare quello che gli capita come materiale da cui attingere, se vuole parlare di qualcosa di reale, anche solo nell’emotività del pubblico, e spesso eventi e considerazioni esterne inaspettate possono rivelare dei nuovi spunti di riflessione, che prima mancavano. Parlando con una mia amica, mi è capitato di ideare parte di uno dei discorsi che uno dei personaggi tiene alla fine dello spettacolo.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Che il regista non comprenda lo spirito del testo, lo
stile, l’intento, che lo tratti come un pezzo di carta straccia da manipolare
senza alcun riguardo, trasformando l’opera in tutt’altro da quello che era in
principio, mettendo poi a rischio non solo il suo nome, ma anche,
ingiustamente, quello dell’autore. Se poi il testo non è decisamente
all’altezza della scena, mi sembra che la scelta sia molto più semplice e meno
gravosa pure per il regista: scegliere un altro testo o scriverlo di proprio
pugno, il che è decisamente più sensato e rispettoso, anche per un autore
mediocre, verso cui sarebbe molto crudele sbattere in faccia la sua
inettitudine così. Tanto la vita trova sempre un modo per schiacciare
ugualmente tutti, talentuosi e incapaci. Non serve rincarare la dose.
Fortunatamente non si è trattato di questo caso. Gianluca Delle Fontane, nostro regista, ha sempre avuto molto rispetto e comprensione verso il testo e ha cercato di venire incontro alle esigenze del nuovo pubblico con estrema correttezza e bisogna riconoscere che è stato un compito per niente facile.
D'accordo con la seguente affermazione: “Mi piace il teatro, bella copia della vita.” di Franca Valeri?
Ovviamente non posso che essere d’accordo, tant’è che ho sempre creduto anche ad un’affermazione simile che fece Eduardo De Filippo: “Il Teatro significa vivere sul serio quello che nella vita gli altri recitano male.” E a mio avviso queste considerazioni non si fermano alla vita quotidiana, al districare quel copione imbrogliato (come diceva sempre Eduardo) per ritrovarne le parole esatte e autentiche, ma riconoscono anche quelle forze, quelle idee, quelle energie, quei motori che soggiacciono nelle storie del quotidiano e che quando vengono sprigionate vanno a sfondare pure nel magico, nell’assurdo, nel surreale e sono sempre tra le parti più pure della vita. Per questo il Teatro quando parla appunto di Assurdo (Beckett, Ionesco ecc..) o di Magia, Astrologia, Cosmologia (molto presente nello stesso Shakespeare) parla sempre e deve parlare sempre della vita.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Direi che il succitato Eduardo sia un candidato validissimo: “Il Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri nella vita recitano male.”
L'ultimo spettacolo visto a teatro ?
Uno dei miei colleghi, Giuseppe Coppola, con cui sarò
in scena, ha recitato in un lavoro di Roberto D’Alessandro, “Terroni”, e sono andato a vederlo.
Lo spettacolo ha una grandissima potenza emotiva, parla di tematiche molto cruciali nella storia politica del nostro paese e del divario ingiustamente indotto tra sud e nord, su cui pone delle riflessioni e delle provocazioni lucide e disarmanti. La rabbia, la passione, la commozione travalicano il confine del palco e investono con tutta la loro forza lo spettatore. Una missione che solo una grande regia, un grande testo e un grande attore possono compiere.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Mi sono mostrato tronfio finora, mi riservo un po’ di umiltà per questa risposta. Non dubito che avrei voluto conoscere personalmente, lavorare e apprendere da un sacco di attori del passato, la cui lista è infinita: Proietti, Manfredi, Gassmann, Tognazzi, Sordi, Mastroianni, Eduardo, Peppino, Totò, Troisi, Fabrizi, Anna Magnani, Titina, Franca Valeri, Anna Marchesini, Regina Bianchi, Mariangela Melato, eccetera, eccetera, eccetera, fino a Petrolini e Chaplin… Ma non avrei mai, per nessun motivo, avuto l’ardire di farli recitare in un mio spettacolo. Ci sarebbero stati troppo stretti, giganti strangolati in un abito striminzito e logoro. I più di loro, temo poi, avrebbero avuto l’onestà di dirmi che il mio lavoro li disgusta e io non ne sarei uscito vivo da una notizia del genere. È una questione di mutamento del valore, come la valuta. Non ha senso mettere a confronto colossi simili con una commedia di basso conio di oggi. Magari questa col tempo, in futuro, diventerà di più, varrà di più e potrà essere usata da nuovi giganti (forse!). Lasciamo che queste tre monete facciano il loro corso e acquistino valore col tempo, se avranno fortuna, ci sarà tanto di guadagnato, ma non lanciamo i centesimi ai grandi del passato.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Questa è una domanda a cui faccio fatica a rispondere.
Ho letto di testi e tra quelli non saprei scegliere e ce ne sono ancora
tantissimi che vorrei leggere. Ho un amore spassionato per Neil Simon ed
Eduardo. Ma devo ammettere che di Simon conosco più i suoi adattamenti
cinematografici che gli originali teatrali, mentre di Eduardo ho letto e visto
dal vivo molte commedie.
Se dovessi fare una selezione tra i due, così solamente per restringere il campo, (ma si tratta comunque di un’ingiustizia verso tanta letteratura teatrale di enorme valore) rispettivamente direi: “Prigioniero della seconda strada” di Simon e “La grande magia” di Eduardo.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Vi è una parte superstiziosa in me che si rifiuta di farne parola, per paura, poi, di farsi dei pronostici troppo positivi che fallirebbero miseramente. Quando un giorno (forse!) riceverò la migliore critica che possano mai farmi, la incornicerò, così se in futuro mi capitasse di nuovo tale domanda, mi basterebbe indicare e dire “quella là!”
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Per quanto nutra anch’io una profonda antipatia verso i lavori che non si capiscono, preferirei di gran lunga uno spettatore che ha trovato lo spettacolo incomprensibile, ad uno che l’ha trovato banale, scontato. Non è una questione di originalità, ma preferisco comunque dire qualcosa di astruso piuttosto che qualcosa di totalmente inutile o stupido.
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Sicuramente vorrei che fosse divertito, visto che si tratta, in fin dei conti, di una commedia, ma mi riterrei insoddisfatto se non rimanesse nient’altro che il divertimento. Ogni personaggio porta con sé una visione del mondo, che sia giusta o sbagliata è ininfluente, e difatti il finale (almeno questo posso rivelarlo) non porta soluzione al confronto tra tutte. Io vorrei che il pubblico si portasse dietro questo scontro, questa riflessione, che giudicasse i pro e i contro di queste visioni, che magari lo portassero ad una sua personale. Confesso che ero molto divertito, nelle messe in scena precedenti, di come alcuni spettatori parteggiassero o si riconoscessero nelle visioni di alcuni personaggi piuttosto che altri.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "Conto alla rovescia"?
Difficile estrapolare una scena senza rovinare
l’aspettativa. Essendo comunque una commedia basata sulle situazioni, sarebbe
arduo sintetizzarne una senza portarsi dietro tutte le altre concatenate.
Posso giusto portarvi la considerazione che il mio
personaggio fa all’inizio.
Certe feste e celebrazioni non fanno che mettere in luce una sorta di affettato altruismo di cui ci compiaciamo a vicenda e nascondono malamente degli interessi puramente egoistici. Per fare un esempio concreto: il mio personaggio ha tutta intenzione di passare il capodanno da solo, nell’appartamento in cui sta in affitto, per ragioni che verranno poi rivelate e si ritrova invece letteralmente circondato da persone, piombate in casa sua per festeggiare il nuovo anno. Non solo, ma nessuna di queste persone ha veramente interesse a passare il tempo con gli altri, ma ognuno ha i propri motivi per desiderare che quasi tutti se ne vadano. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
La commedia, vincitrice del Comic Off 2023, ci catapulta in un insolito Capodanno. È l’ultimo dell’anno in un normale appartamento dove poco di significativo è accaduto per mesi, ma proprio qui, in questo giorno, succederà di tutto. La rigida proprietaria con il suo solerte aiutante, un portiere bonaccione e cordiale, lo trasforma in un bizzarro castello di scatoloni da trasloco, decisa a cacciarne fuori il malinconico e insolvente inquilino. Ma questi ha un folle piano. Un piano, però, a cui tutti sono destinati a finire tra le scatole. Un amico evanescente riapparso dal passato, una giovane coppia apparentemente idilliaca... Tutti, con tanto di irreprensibile padrona e portiere, piombano in questo luogo, riuniti in un’improbabilissima cena di capodanno a cui nessuno vorrebbe o dovrebbe trovarsi. L’atmosfera carica di non detti, incomprensioni, timori e rancori è come un fuoco d’artificio pronto ad esplodere, aspetta solo il conto alla rovescia. Bilancio per il nuovo anno? Risate assicurate.
Il Collettivo Tapullo
presenta
CONTO ALLA ROVESCIA
UN INSOLITO CAPODANNO
di Federico Valdi
regia di Gianluca Delle Fontane
con Giuseppe Coppola, Francesca Cordioli, Giacomo Cremaschi, Sara Todisco, Federico Valdi, Massimo Viola
DAL 1 AL 13 OTTOBRE
TEATRO DE’ SERVI-ROMA