di Giusy Pellegrino
La Sicilia, isola nota per la sua ricca storia e diversità culturale, ha dato i natali ad una delle prime femministe d’Italia: Mariannina Coffa Caruso.
Questa straordinaria donna
dell’Ottocento ha saputo infrangere le barriere del tempo, dedicando la sua
vita alla lotta per i diritti e l’istruzione alle donne, sradicando in tal modo
l’idea dominante di donna-madre. Attraverso la sua poesia e il suo attivismo
rappresentò un baluardo di libertà dalle avversità del sistema patriarcale,
sfidando le convenzioni sociali e promuovendo il cambiamento: basi solide su si
fondava il nascente movimento
femminista in Sicilia.
Ma chi fu Mariannina Coffa?
Nata nel 1841 a Noto, dopo una sommaria
istruzione elementare, fu iscritta al Peratoner
di Siracusa dove, sotto la guida di Francesco Serra Caracciolo, compose
le sue prime “improvvisate”. Nel 1852 fu affidata dal padre Salvatore ad un noto
avvocato liberale impegnato nelle vicende politiche del Regno di Napoli negli
anni 1848- 1860 per poi venir posta sotto la tutela del sacerdote Corrado Sbano, personalità autorevole nel campo
letterario siracusano, al fine di orientarla verso letture consone alla sua
formazione cattolica e perfezionarla nell’arte del versificare. In queste
letture venne affascinata da autori come Byron,
Shakespeare e Dumas che unì
agl’insegnamenti del suo maestro.
Fin da giovane dimostrò una
particolare inclinazione per la letteratura e la poesia, scrivendo versi che
riflettevano profondamente i suoi pensieri e sentimenti su tematiche sociali.
Nel tessuto socio-culturale
dell’Italia dell’Ottocento, Mariannina Coffa emerse come una stella di
prima grandezza: la sua formazione giocò un ruolo cruciale nello sviluppo delle
idee femministe sostenendo con forza che l’istruzione fosse fondamentale per
l’emancipazione delle donne in un’epoca in cui il concetto stesso di equità di
genere era agli albori.
Il contributo più significativo al femminismo siciliano lo diede utilizzando
la poesia come mezzo per esprimere le proprie idee politiche e per denunciare le ingiustizie e le
disuguaglianze di genere, sottolineando l’importanza dell’autonomia della donna dal sistema patriarcale e del diritto
all’istruzione come strumento di liberazione, toccando direttamente l’animo del
lettore.
Nella produzione giovanile di Mariannina notiamo,
come riporta Rosa Maria Monastra, un
linguaggio poetico “infarcito di
reminiscenze dantesche, foscoliane, leopardiane e al contempo svagante verso
una evasività di marca tipicamente tardoromantica” coniugando il
classicismo cattolico di Sbano col suo malessere interiore che possiamo
ritrovare in Eco d’un’anima e Poesie.
Mariannina si distinse
per essere stata una delle
prime voci a rivendicare un ruolo attivo
della donna nella società
siciliana dell’epoca e il suo talento la portò, nel 1857, ad essere ammessa
all’Accademia dei Trasformati di
Noto unita in gemellaggio con l’Arcadia
Romana, accademia letteraria fondata nel 1690 da Giovanni Vincenzo Gravina e da Giovanni
Mario Crescimbeni.
Nel 1858 entrò a far parte dell’Accademia Dafnica e degli Zelanti
di Catania dove, l’anno successivo, pubblicherà i Nuovi Canti che portarono la sua fama fino a Torino.
Ancora
adolescente conobbe colui che sarà il suo tormentato amore, Ascenso Mauceri, maestro di pianoforte politicamente vicino al ministro Matteo Reali,
estensore della Legge sulle Guarentigie.
Nel 1860
la vita di Mariannina cambierà radicalmente: costretta a sposare Giorgio
Morana, ricco possidente terriero,
abbandonerà Noto per trasferirsi a Ragusa e, insieme alla sua amata
città anche tutti i suoi
sogni di diventare una poetessa affermata.
Il suocero
la recluderà in casa e le proibirà
di scrivere perché
(a suo dire) tale attività
“rende le donne disoneste”
e per questo non diede l’opportunità alle figlie di apprenderla.
La “capinera di Noto” non si lasciò vincere dai soprusi della famiglia
Morana e la sera, quando il marito, a quel tempo sindaco di Ragusa si trovava
impegnato in riunioni notturne, scriveva al lume di una candela le sue poesie e
le lettere per l’amato e mai dimenticato Ascenso.
Sono lettere cariche di dolore e amore a cui seguono
i rimpianti per non essere stata padrona delle proprie scelte di vita e
cercando invano di riprendersi ciò che aveva perduto per sempre: Ascenso, non
si presentò all’incontro che Mariannina gli aveva proposto provocando in lei un
dolore senza fine che acuì i suoi malesseri fisici dovuti ai fibromi uterini.
Intrattenne rapporti epistolari con le più importanti personalità politiche e culturali del tempo, come Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio
Costanzo, Giuseppe Macherione e, tramite la sua malattia, conobbe il medico
omeopata catanese Giuseppe Migneco, famoso per le efficaci cure prestate
durante l’epidemia di colera: insieme all’allievo Lucio Bonfanti introdusse
Mariannina nella fantomatica Loggia
Elorina che la portò a una poesia misteriosofica in cui predominano
riferimenti simbolici al “gran concetto” e alla “protesta metafisica”.
Come Verlaine e Rimbaud venne definita poetessa maledetta divenendo “un esponente unico e singolare di un
maledettismo tutto siciliano che senza
ombra di dubbio si ricollega
per sentimenti e tematiche ai colleghi francesi”.
La malattia le darà il coraggio di
prendere quella decisione tanto riflettuta: andò via dalla casa del marito, da
cui chiedeva a gran voce di
separarsi, per ritornare a Noto dai genitori che la
cacciarono per paura che il disonore ricadesse su di loro, scegliendo di
abbandonarla tra fame, stenti e alle cure del
Migneco. L’ultimo dolore
che le diedero fu quello di rifiutarsi di pagare l’intervento che avrebbe potuto salvarle la vita.
Con le ultime forze rimaste chiese
a Dio di darle la possibilità di gridare tutto l’odio verso quei genitori che
le avevano rovinato l’esistenza e di denunciare le violenze e le umiliazioni subite
dal marito.
Nonostante la reputazione negativa di poetessa maledetta, Noto mostrò verso alla sua capinera un grande amore: il Comune
alla sua morte,
avvenuta il 6 gennaio
1878, proclamò il lutto cittadino
e ai funerali si palesarono in
pompa magna le insegne della misterica Loggia Elorina.
Nella storia di Mariannina sono
racchiuse le infinite storie di donne vittime di una vita imposta da altri,
fatta di violenza e di angherie ma anche di riscatto e di libertà.
La sua figura e le sue
opere continuarono ad essere fonte
d’ispirazione per le nuove generazioni e
la sua eredità intellettuale non solo si riflesse nei suoi scritti ma anche nel riconoscimento postumo che la resero il simbolo dell’impegno per i diritti
delle donne e dell’avanzamento della causa femminista nel contesto isolano e
oltre ed emergendo come figura imprescindibile nella storia del femminismo
italiano.
Sebbene contemporanea di Giovanni
Verga e Luigi Capuana, con cui talvolta condivise scambi
intellettuali, il suo approccio alla letteratura e al sociale si distinse per
un marcato femminismo e un patriottismo appassionato. Questa istintività non la
isolò, bensì la rese punto di riferimento per molte donne e intellettuali
dell’epoca che iniziarono un dialogo fecondo tra differenti correnti di
pensiero.
Il coraggio che manifestò
nell’affrontare le convenzioni sociali della Sicilia ottocentesca e la sua
passione nell’uso della
poesia come strumento
di cambiamento sociale permangono come simbolo di
resistenza culturale e di emancipazione il cui ricordo incarna lo spirito
indomito tipicamente isolano e l’aspirazione universale alla libertà e
all’uguaglianza.
Commemorare il suo nome, ancora
oggi poco conosciuto, significa riconoscere l’importanza della lotta per l’emancipazione femminile e il valore
dell’istruzione e della cultura nella realizzazione cambiamenti sociali
profondi.
Giusy Pellegrino
L’immagine di
copertina è di:
Celio Bordin, “Mariannina
Coffa dolce creatura”, tecnica mista su tela, cm. 72x107, 2018, https://www.celiobordin.com/