di Francesca Ghezzani
Esperto di sviluppo internazionale e diritti umani con le Nazioni Unite in Palestina, Haiti e in vari paesi dell’America Latina e dei Caraibi, Luca Giuman con il suo libro Al Presente, Tutto (casa editrice Il Ciliegio, collana di Narrativa) ci porta in Honduras, nel giugno del 2009, quando il Presidente viene arrestato e detenuto dai militari per essere poi deportato in Costa Rica.
Davide, un italiano funzionario delle Nazioni Unite lì
presente durante il colpo di Stato, è diviso tra l'amore per Gabriela, e
l'infatuazione per Esther, una giornalista che da mesi sta raccogliendo
materiale riguardante la crisi politica. Davide si ritrova così in mezzo alla
rivolta e sarà costretto ad affrontare la ricerca disperata di Jesus, fratello
di Esther e capo del movimento studentesco, arrestato e desaparecido insieme ad
altri manifestanti.
Luca, come ti sei avvicinato al tema dello sviluppo internazionale e dei diritti umani?
Ho iniziato a
interessarmi ai paesi in via di sviluppo subito dopo la maturità. Ho realizzato
studi di cooperazione internazionale all’università di Padova; che ho poi completato
con l’approfondimento sull’America Latina, all’Università Complutense di
Madrid, e specializzandomi all’Istituto di studi di sviluppo economico e
sociale della Sorbona, a Parigi. Professionalmente, ho debuttato con brevi
periodi di volontariato in Ecuador e in Cile, e poi, appena finito il master, sono
venuto a lavorare in Colombia con la popolazione sfollata dal conflitto armato interno
che viveva nella periferia urbana della città di Medellín. Questo interesse non
si è ancora spento, così eccomi qui, a leggere libri sulla storia della
Repubblica Democratica del Congo, il prossimo paese che visiterò per ragioni di
lavoro.
Ti senti più reporter o scrittore?
Uno scrittore, perché
il romanzo è un mezzo che permette più opzioni. Vedi, la differenza è che
mentre il reportage riflette sull’immediato, e le cause di ciò che accade oggi,
la letteratura mette sul tavolo l’analisi di domande universali e dà la
possibilità di trascendere le circostanze. La letteratura ci permette di
interrogarci sulla natura umana, e questa ricerca, per quanto permeata dalle
questioni sociali, esula il contesto storico: aspira per la sua natura a
comprendere la vita, l’animo umano o a investigare domande di tipo filosofico.
La letteratura che più
ho amato è quella che sa costruire un ponte tra la vita di personaggi comuni
con la grande storia. Pensiamo ai romanzi di Vasilij Grossman, di Boris
Pasternak, o del nostro Fenoglio; cosa li rende unici? Io credo che sia la
congiunzione di due elementi: da un lato lo spessore dei personaggi e della
tragedia umana che interpretano, ma dall’altro c’è il momento storico,
drammatico, che aiuta a generare grandi figure. Perché nei momenti più dolorosi
delle nostre società, le persone devono affrontare scelte morali difficili.
Non sarei capace
di scrivere romanzi se non passassi la mia vita in paesi che mi affascinano e
che racchiudono tutte le contraddizioni umane: allo stesso tempo la violenza e
la gioia. Il mantenere gli occhi
ben aperti su realtà complesse come quelle della Colombia, o sul periodo del
colpo di Stato avvenuto in Honduras, così come lo faccio nel romanzo Al Presente, Tutto, mi permette di dare vita alla letteratura
che amo, e che provo a condividere con il pubblico italiano.
Veniamo, appunto, al
tuo libro: come è stata la stesura?
Il romanzo Al Presente, Tutto nasce
dall’esperienza di vivere in Honduras durante il periodo di un colpo di Stato,
e dall’avere avuto l’opportunità di accompagnare le organizzazioni che si sono
coraggiosamente opposte al golpe, per strada e in riunioni clandestine, per
vari mesi. L’origine del materiale che uso nelle descrizioni sono i miei
quaderni d’appunti e il registro fotografico. Per scrivere il romanzo avevo
dunque a disposizione non solo la mia memoria, ma un ampio registro di eventi e
aneddoti. Avevo registrato attentamente le parole della gente, i cori che
venivano cantati per strade, i timori dei manifestanti, le cariche della
polizia e cosa succedeva durante i prolungati oscuramenti. Queste testimonianze
costituiscono la base storica del romanzo.
Ma scrivere un
romanzo richiede la ricerca di personaggi che abbiano una grande profondità,
insieme a una struttura narrativa solida. E questo mi ha preso tempo, quasi
dieci anni. Sono riuscito a scrivere il libro nella sua forma attuale, solo quando
ho messo al suo centro due giovani donne, due sorelle. La prima, Esther, fa la documentalista, è una persona che
convive con un handicap e affronta la vita con grande tenacia. Esther è una
donna molto coraggiosa, che cerca la verità, e che la vita ha indurito. Sua
sorella minore, Ruth, invece, è una ragazza fragile, con vocazioni di pittrice
che è estranea alla politica, ma che, quando Esther dovrà abbandonare l’Honduras
e rifugiarsi ne El Salvador, sarà obbligata ad assumere la responsabilità di cercare
il fratello scomparso durante i giorni della rivolta. Quando ho capito che Al
Presente, Tutto era la messa in scena di una versione contemporanea del
mito di Antigone, allora ho trovato il cammino per dare una struttura a questo
romanzo che è una tragedia corale e allo stesso tempo una tragedia intima.
Quanto di te c’è in Davide?
Nel romanzo, Davide è un personaggio-caleidoscopio. Giovane
italiano, che lavora come volontario per le Nazioni Unite, ci permette di
osservare i giorni del colpo di Stato con una visione neutrale. Attraverso gli
occhi di Davide, posso trasmettere ai lettori e alle lettrici ciò che ho visto.
Parlo della violenza, delle violazioni dei diritti umani e della paura che si
sentiva quando calava la notte. Fino a lì giunge ciò che di me c’è in Davide.
Il resto si deve alla ricchezza che permette la letteratura: la sua fede in
Dio, il suo amore mai espresso per Esther, e i suoi conflitti per essere una
persona giusta sono caratteristiche di un personaggio letterario in cui spero
che le persone si possano ritrovare. Davide, contrariamente agli eroi della
letteratura rivoluzionaria, non è una persona sfrontata, ma un giovane uomo
dalla natura mite, buono, che si vede sempre più implicato nel movimento di
resistenza al colpo di Stato per il suo profondo affetto verso Esther e i suoi
fratelli. Le sue decisioni sono guidate dall’empatia e l’affetto. Esiste un
parallelo tra il risveglio politico della gioventù che protesta e la crescente determinazione
con cui Davide si oppone al golpe.
Narreresti un fatto italiano e, se sì, quale?
Amerei parlare di ciò che succede nel Mediterraneo. Vorrei
scrivere sui processi migratori, sul traffico di persone, sulle reti mafiose
che si approfittano del traffico e sui centri di reclusione per migranti, tanto
in Italia, come in Libia o in Tunisia. Da anni lavoro su tematiche migratorie
in America Latina e mi piacerebbe studiare a fondo la questione in Italia e
raccontarla. Credo che in questa tragedia umana si giochino i nostri valori,
come Europa.
Hai guardato in faccia la Storia e le storie: hai mai provato paura?
Timore l’ho sentito
in alcune circostanze, però sono piuttosto fortunato perché la mia reazione
naturale al rischio non è un blocco, ma uno stato di attenzione e reattività
aumentata. Divento estremamente lucido e calcolatore quando mi trovo in
situazioni complesse. I rischi che ho corso sono comunque piuttosto limitati, e
sono spesso determinati dall’arbitrarietà con cui operano i gruppi armati al
margine della legge. Durante la scrittura del mio prossimo romanzo, che parla
di traffico di persone, e che si svolge alla frontiera tra la Colombia e il
Panama, sono stato detenuto dagli uomini del Clan del Golfo. In una circostanza
di questo tipo, la paura proviene dal modo imprevedibile in cui il gruppo
mafioso possa reagire alla presenza di una persona in un territorio vietato.
Per il momento, ho avuto fortuna. Mi sono imbattuto in alcuni inconvenienti di
percorso, ma nulla di grave è mai successo. Credo che, nell’economia di una
vita, sia mia preferenza correre dei rischi, vivere le esperienze che ho
ragioni per valorare, e scrivere i libri che mi muovono, piuttosto che essere
prudente. Mi piace l’idea d’essere testimone di alcuni capitoli della storia contemporanea,
e in questo trovo ragioni sufficienti per affrontare i rischi del mestiere. Nei molti paesi che ho conosciuto, mi è
sempre parso che le persone più coraggiose fossero i leader comunitari che
vivono in zone sotto il controllo di gruppi mafiosi, i giornalisti locali, o ancora
gli operatori di organizzazioni come la Croce Rossa o Medici Senza Frontiere. Io
sono spesso di passaggio, loro invece rimangono per lunghi periodi in aree
sensibili.
Ci hai detto che sei in partenza per la Repubblica Democratica del Congo. Posso, chiederti, in chiusura, quale sarà l’obiettivo di questo nuovo viaggio?
La escalation del conflitto sta
causando livelli record di violenza di genere, sfollamento e fame nella parte
orientale della Repubblica Democratica del Congo. Solo negli ultimi mesi, più
di 700.000 persone sono state costrette a fuggire dalle loro case, portando il
numero totale di sfollati a 7,2 milioni. Il mio lavoro è appoggiare un’agenzia
delle Nazioni Unite, UN Women, nella pianificazione della risposta umanitaria e
l’appoggio alle comunità maggiormente colpite dal conflitto armato interno. Ciò
significa strutturare il programma dell’agenzia nel paese, stabilire le risorse
necessarie e aiutare UN Women a presentare un programma chiaro che i donanti
internazionali possano finanziare. La protezione dei diritti delle donne e delle
bambine, in scenari di alta conflittualità o di crisi umanitarie, è la mia area
di specializzazione, nel contesto dell’ampio mandato delle Nazioni Unite, e la
ragione per cui viaggio spesso in paesi piuttosto complessi.