Che cosa si intende per costume ciociaro?
In realtà, all’inizio, erano i veri e propri stracci colorati che indossavano i braccianti agricoli, gli ultimi della società che abitavano le frazioni sperdute di certi villaggi della Valcomino, una valle conficcata nella regione Molise, a otto Km circa dall’Abbazia di Montecassino, nota solo agli arruolatori di soldati, agli esattori delle tasse e ai trafficanti di bimbi. Un mondo del massimo degrado che alle ultime decadi del 1700 iniziò a cercare rifugio e speranza verso il contiguo Stato della Chiesa: le Paludi Pontine, sebbene micidiali a causa della malaria, erano il primo richiamo perché ricche di prodotti commestibili vegetali e animali e poi la Città Eterna e, i più audaci, al di là delle Alpi. La conquista napoleonica favorì l’esodo.‘Ciociaro’ da ‘cioce’, le calzature indossate che hanno
dato il nome ‘Ciociaria’ alla antica
regione a Sud del Tevere fino a Montecassino, tra gli Appennini e il Mar
Tirreno: all’origine terra di Saturno, poi dei Volsci, degli Ernici, dei
Sanniti, poi Campania et Latium, poi Campagna di Roma, poi Marittima e
Campagna, poi ecc…. fino a Mussolini e la frantumazione del territorio in tre
unità amministrative: province di Frosinone, di Latina e di parte meridionale
di Roma.
E’ a Roma che avviene quello che possiamo
definire: il miracolo.
Si immagini lo spettacolo in una strada qualsiasi in un
giorno qualunque, tra le ultime decadi del 1700 e le prime del 1800, su quel
palcoscenico irripetibile della storia della umanità che era ancora la Città
Eterna di quegli anni: folla di preti, di monaci, di monache, di trovatelli e
trovatelle, di chierichetti e sagrestani e confraternite, di nobili, di
forestieri, quantità di pellegrini con candele e bastoni e poi il popolo come
descritto da Bartolomeo Pinelli: e in mezzo a tale umanità amorfa e incolore,
quelli che prorompevano erano i poveri braccianti della Valcomino nei loro
sgargianti e scintillanti stracci: rossi incredibili, azzurri raramente visti,
marroni invadenti, neri solenni: si trattava di colori vegetali ottenuti in
casa con le erbe in giro, un rosso o un azzurro mai uguale all’altro…. Le centinaia
di pittori stranieri ogni giorno dell’anno presenti a Roma, sbalordivano allo
spettacolo, letteralmente. Stracci, altro non potevano permettersi queste
creature, canapa e lino erano normali prodotti che coltivavano, la pecorella
che dava la lana presente in ogni
abitazione, da qui le loro vestiture che loro stessi confezionavano e poi
bollivano e tingevano: la fuliggine, le ginestre, la robbia, il mallo delle
noci, la corteccia del castagno, il guado, erano gli ingredienti naturali che
trovavano in giro, da qui i colori. Altro motivo di sorpresa dei pittori erano,
quando non scalzi, le calzature ai piedi che
ricordavano quelle dei contadini dei classici greci o latini. E nacque l’amore!
E gli artisti iniziarono a dipingere queste creature mai viste prima: avvenne che gli ultimi della società assursero al primo posto! Mai accaduto, una vera rivoluzione: non
più, o non solo, cristi e madonne e mitologia e accademia e veneri discinte o
paesaggi imponenti di boschi abitati da ninfe e baccanti e satiri. E nelle
esposizioni di Parigi e di Monaco e di Vienna cominciarono a vedersi, fine
1700-inizi 1800, questi quadri che ritraevano in primo piano il contadino o la ciociarella o il pifferaro e,
incredibile, perfino i briganti di Sonnino o di Itri, in queste vestiture
splendide e acclamate che nel corso degli anni, grazie ai continui e anche
proficui contatti con gli artisti europei si erano perfezionate fino al vero e
proprio costume ciociaro quale B.Pinelli
per primo individuò e che dopo alcuni
anni, Gregorovius descrisse e decantò quale presente nelle migliaia di dipinti:
era nato addirittura un nuovo genere pittorico che gli artisti belgi verso il
1820 battezzarono ‘pittura di genere
all’italiana’, aprendo una nuova
pagina nel libro della Storia dell’arte. La nuova iconografia si diffuse in
tutta Europa tanto che negli anni ’40 del 1800 Baudelaire, il grande poeta, commissario della esposizione annuale
detta ‘Salon’ di Parigi, alla vista di tutti quei quadri, quell’anno ancora più
numerosi degli anni precedenti, proruppe: “basta ora con questi soggetti!” La
contrarietà del poeta, classico e accademico, sarebbe stata ancora più evidente
se avesse potuto prevedere che negli anni seguenti e per tutto il secolo,
quelle presenze sarebbero invece aumentate.
Nel corso di circa centocinquantanni, questo soggetto è
stato il più illustrato dagli artisti europei tra i quali, apoteosi unica,
H.Robert, L.L.Robert, B.Pinelli, e poi
Degas, Renoir, Corot, Manet, Leighton, Sargent, Bouguereau, Briullov,
Cézanne, e poi Van Gogh, Ant.Mancini, perfino Picasso, De Chirico, Severini, i
futuristi…non c’è un soggetto che possa vantare
tale compendio di paternità.
La
glorificazione della straordinaria iconografia viene offuscata dal fatto che sebbene
presente in gran parte dei musei del pianeta come, in effetti, nessun altro
soggetto, in realtà le appellazioni più bizzarre ne celano origine e
provenienza, rendendolo anonimo:
costume tradizionale, romanesco, campagnolo e poi italiano, abruzzese, napoletano,
calabrese, zingaro, basco ..noto a tutti i cultori d’arte, in realtà
sconosciuto! La causa? Certamente non solo la pur evidente difficoltà di
pronuncia e di scrittura del termine ‘ciociaro’.
Chi
scrive, sono anni che si sforza di richiamare alla importanza storica del costume ciociaro con risultati modesti rispetto alla
importanza oggettiva del tema: ancora nelle case d’aste, anche in quelle
importanti, quando appaiono le opere con
personaggi ciociari, e ciò avviene normalmente perché centinaia
e centinaia sono gli artisti europei che si sono occupati del soggetto come di
nessun altro, il solo termine corretto
di: ciociaro, è impiegato molto raramente. Il sito web inciociaria.org offre risposte
e consiglia anche dei libri quale IL COSTUME CIOCIARO NELL’ARTE EUROPEA DEL 1800.
Questa
pagina gloriosa del costume ciociaro che solo la Francia ha promosso e fatta valere già da duecento anni, che
i belgi già nei primi anni del 1800 individuarono come un fenomeno particolare, in
realtà è stata rimossa dalla Storia, sicuramente senza intenzione voluta, comunque
strappata. In
questo momento pare che l’Italia finalmente stia aprendo gli occhi su tale capitolo,
grazie al sottosegretario alla cultura On.Vittorio
Sgarbi. E la prova incoraggiante della sua attenzione è stata quella di vestirsi da brigante ciociaro in occasione di una manifestazione ad Arpino; esaminando
una collezione di opere di vari artisti ha notato un quadruccio di Ch. de Chatillon del 1827 che ritrae “Il
brigante De Cesaris, a Sonnino” che il suo staff ha incaricato una sarta del luogo di riprodurre e
che il sottosegretario, grazie al suo fascino personale, ha saputo valorizzare
e far apprezzare dal numeroso pubblico astante e non solo: si è trattato di una vera e propria rivoluzione, dando al termine il significato originario, in quanto
è la prima volta che un massimo rappresentante dello Stato apprezza e perfino indossa, esaltandolo, il
costume ciociaro! Si ha motivo di ritenere che lo Stato Italiano voglia
riappropiarsi finalmente di questa sua perla cosmopolita della Storia dell’arte,
dando una patria e un nome.
© Michele
Santulli