Opera, Vittorio Prato a Fattitaliani: la rivoluzione più grande è restare umani. L'intervista


Dopo la recensione, le interviste al Maestro Carlo Goldstein, al tenore Enea Scala e al basso Giovanni Battista Parodi, Fattitaliani ha incontrato il baritono Vittorio Prato, che ha interpretato Giuseppe in "Rivoluzione" che da poco assieme a "Nostaglia" la seconda parte del dittico verdiano che tanto riscontro ha incontrato da parte del pubblico della Monnaie di Bruxelles.

Ho assistito a "Rivoluzione", innanzitutto complimenti! Come ti sei trovato a cantare e recitare nei panni di Giuseppe? La dimensione "filmica" in quest'opera è fondamentale alla comprensione della messa in scena...
I complimenti fanno piacere, perché è stato un lavoro molto intenso. Appena mi è stato proposto di cantare in questa produzione, ho subito abbracciato l’idea del sovrintendente Peter De Caluwe che aveva pensato a un progetto in grado di unire musica, canto, danza e recitazione. Qualcosa di diverso dall’opera in senso classico. Crescere e uscire po’ dalle proprie zone di comfort sono parte della maturazione di un artista. Per la mia carriera Verdi significa un passo gigante in un repertorio nuovo, verso cui la mia stessa voce mi sta portando. E poi c’è la recitazione cinematografica, ben differente dalla recitazione in musica. È stato interessantissimo approcciarsi a questo ruolo di Giuseppe che racchiude un ventaglio di diversi ruoli creati per baritoni differenti. Richiede sicuramente impegno sul piano vocale e nella definizione del personaggio che da rivoluzionario sessantottino finisce, suo malgrado, per arruolarsi in polizia.


C'è una frase, un momento in cui ti riconosci perfettamente in Giuseppe o al contrario un passaggio nel quale ti discosti da lui completamente come personalità e scelte di vita?
“È così che influenziamo i nostri tempi e il futuro: inventandolo, plasmandolo con le nostre decisioni di oggi. Dobbiamo essere coerenti, fedeli ai nostri ideali.” È proprio così, anche quando sembra impossibile cambiare il mondo, il primo passo è credere nelle piccole e grandi azioni quotidiane che sicuramente influenzeranno il futuro. A differenza di Giuseppe, non farei mai una scelta di comodo.

Ti sei confrontato con il "vecchio" Giuseppe? 

No. Ma credo avrebbe dovuto farlo più lui con me…

Che idea avevi dei movimenti del Sessantotto? quest'opera ti ha aiutato in un certo qual modo a comprenderne portata e idee?

Il Sessantotto mi ha sempre affascinato. È stato un periodo che ha stravolto il mondo, ha portato il profumo della libertà, un bene prezioso e troppo spesso offeso. Il sessantotto ha dato le basi per costruire una società migliore, anche se ci siamo riusciti solo in una piccolissima parte. Verdi, poi, è un simbolo di libertà. Quella del Risorgimento non è individuale, ma collettiva: la forza di un popolo che non vuole essere sottomesso, che ama un unico Stato sotto una sola bandiera. Riadattare i testi delle opere verdiane è stato un passo ardito ma ben riuscito.

Personalmente, in che cosa secondo te consiste una "Rivoluzione" al giorno d'oggi? in quale campo andrebbe incoraggiata?

Oggi si parla tanto di rivoluzione tecnologica e di Intelligenza Artificiale. Ma la rivoluzione più grande che dovremmo avere il coraggio di fare è quella di restare umani, affrontare le proprie paure con il dialogo, con la coscienza di sé, con il rispetto degli altri e delle diversità. Siamo tanti e troppi su questa terra, la vera rivoluzione è cercare l’armonia nella coesistenza. 



E come hai trovato l'idea di Goldstein-Lada per questo dittico verdiano? si può parlare qui di "Rivoluzione"?

Carlo Goldstein e Krystian Lada sono stati geniali. Se rivoluzione significa “osare”, le barricate sono state sfondate ed è arrivato tutto il calore del pubblico, la più bella risposta a tanto lavoro di lunghe settimane di prove. Evviva Verdi.

Condividi con noi i tuoi prossimi progetti?
Nell’immediato una bella vacanza, poi un po’ di concerti e porterò in giro i “Songs from far away”, un cofanetto uscito per “Illiria”, che racchiude un mio scritto personale e la registrazione delle più belle musiche da camera inglesi di Francesco Paolo Tosti. Giovanni Zambito.

Fattitaliani

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