Giovanna Fracassi presenta il saggio “Essere e Corpo in J. P. Sartre”. L'intervista

 


di Andrea Giostra

Ancora una volta desidero prima di tutto ringraziare Cristina del Torchio e la sua casa editrice Rupe Mutevole per tutto l'impegno profuso per la pubblicazione di questo mio saggio filosofico che da tempo desideravo dare alle stampe. Come sempre Cristina riesce a realizzare al meglio i miei desideri e a rendere possibile ogni mio progetto.

Pagine intense per una lettura attenta. Cosa ti ha spinta a questo impegno letterario?

Leggere e tanto più scrivere di filosofia è senz'altro impegnativo; quindi, ci si deve mettere un po' in gioco e fare appello anche al proprio patrimonio culturale. Con questo mio breve saggio sono letteralmente tornata a quello che è stato il mio 'primo amore', ossia la filosofia. Dopo anni dedicati allo studio e all'insegnamento di altre discipline ho sentito il desiderio di ritornare alle mie origini. Da tempo desideravo riprendere la mia tesi di laurea e aggiornarla, ampliarla o semplificarla. Non nascondo che la rilettura di quello che è stato a tutti gli effetti il mio primo 'libro' mi ha emozionato e anche spinta a riprendere, almeno in parte, questo mio interesse, rimasto per un lungo periodo latente anche se mai dimenticato.

L'alchimia fra corpo e coscienza. Come sviluppi questo concetto nel libro?

Introduco il tema ricordando quanto questo sia stato una dei principali argomenti di studio e di riflessione nella cultura dell'Occidente in cui si mette in luce la contrapposizione, da un lato della coscienza come pura interiorità e dall'altro del corpo come mero meccanismo fisico-chimico. Questa visione dualistica vanta una lunga tradizione di pensiero che ha origine con Platone, il quale introduce quella separazione tra psiche e corpo che si svilupperà, in seguito, in una concezione sempre più negativa e riduttiva della corporeità, vista di volta in volta, come aspetto della vita umana da rifiutare, da rinnegare, come avviene nella religione biblica, o da oggettivare e da anatomizzare nella scienza o come riduzione a forza-lavoro nell'economia. Ma nelle comunità primitive il corpo non era un'entità anatomica isolabile e identificabile come singolarità individuale, ma "per loro il corpo era il centro di quell'irradiazione simbolica per cui il mondo naturale e sociale si modellava sulle possibilità del corpo e il corpo si orientava nel mondo tramite quella rete di simboli con cui aveva distribuito lo spazio, il tempo e l'ordine del senso". Un corpo, dunque, in relazione col mondo e che di tale relazione è espressione, simbolo, manifestazione attraverso il gesto, la danza, la sofferenza, il linguaggio. Il corpo non è qui una "parte" dell'uomo, ma è l'uomo il quale non può concepirsi al di fuori di esso perché il suo corpo è la totalità delle sue possibilità nel mondo, è ciò attraverso cui egli può avere un mondo e relazionarsi con esso. Le cose, la realtà hanno un senso grazie al fatto che c'è un corpo che entra in rapporto con esse. Per Omero l'organo corporeo non è una "cosa" ma è espressione di una funzione il cui senso è dato dalla situazione che il corpo assume. "Il piede di Achille non è una "cosa", ma la sua "possibilità" di correre e di battere in velocità l'avversario; allo stesso modo il suo tallone non è il solido appoggio della gamba, ma la sua possibilità di morte. Per il Cristianesimo il corpo è una realtà da trascendere, i suoi bisogni devono essere sublimati, comunque la loro soddisfazione è subordinata alle superiori esigenze dell'anima concepita come spirito immortale. Con Cartesio il corpo si vede relegato alla res extensa dove è risolto in oggetto e perciò inteso in base alle leggi fisiche, mentre l'anima sottratta ad ogni influenza corporea, è posta come puro intelletto, nei cui pensieri c'è ogni possibile senso del mondo. Se prendiamo in esame la scienza e la medicina capiamo che esse hanno isolato il corpo nella sua oggettività analizzandolo in ogni sua parte, anatomizzando ogni suo organo, riducendolo ad un meccanismo funzionante in base a leggi chimico-fisiche. L'individuo malato scompare come soggetto per vedersi studiato e curato solo nell'oggettività del suo corpo, vivendo quindi l'esperienza della malattia come una dissociazione del suo essere. La morte viene intesa come una malattia da sconfiggere o quantomeno da allontanare e non viene considerata come parte integrante dell'esistenza dell'individuo. Di conseguenza le viene sottratto ogni valore esistenziale, così come accade per la nascita, la sofferenza, la malattia stessa. Ogni evento naturale, che un tempo era  inserito in un contesto di significati e valori, non tanto e non solo individuali ma comunitari, culturali, è oggi " medicalizzato" rinchiuso nell'ambiente asettico dell'ospedale, del laboratorio d'analisi e in tal modo reso ancor più penoso per la persona che invece di viverlo lo subisce, ridotta a semplice numero, a corpo da guarire, privata di tutta quella serie di simboli che davano un senso ad ogni fase della vita umana, rendendola così più accettabile. Se riflettiamo sul ruolo dell'economia in relazione a questo argomento troviamo la contrapposizione tra essere e avere. Anche in questo caso continua l'alienazione del corpo sempre più ridotto a forza-lavoro, a mezzo per l'accumulo di beni. Per Marx: "L'economia ha come suo dogma la rinuncia a se stessi, la rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani. Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all'osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi ecc...tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro che né i tarli né la polvere possono consumare: il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato. Tutto ciò che l'economia ti porta via di vita e di umanità, te lo restituisce in denaro e ricchezza, e tutto ciò che tu non puoi, può il denaro. Il corpo dunque da sede ed espressione di bisogni fisici, intellettuali, esistenziali viene annullato in nome di unico superiore interesse: il denaro, il capitale, che pretende di realizzare in sé l'intera vita dell'individuo.

Ciò che accomuna tutte queste considerazioni sul corpo è il misconoscimento del suo reale significato per l'esistenza umana e la sua riduzione a pura oggettività. Si è voluto negare al corpo la sua funzione d'originaria apertura al mondo, alle cose.

Prima di tutto, infatti, il corpo è ciò che permette l’instaurarsi di un rapporto esplorativo tra me e l’ambiente circostante; la mia conoscenza, in questo caso, prima di essere di tipo logico è puramente corporea perché, attraverso il mio corpo entro in contatto con gli oggetti concretamente toccandoli, manipolandoli. Non solo, ma posso collocarli in uno spazio e in un tempo perché li pongo in relazione alla mia posizione. Ed è ancora il mio essere corporeo ciò che mi permette di entrare in relazione con gli altri, d’apparire loro e a loro d’apparire a me; è grazie ad esso che posso abitare il mondo operando sulle cose, contraendo abitudini, agendo e impegnandomi in esso, stabilendo dei contatti con gli altri.

L’analisi di J. P. Sartre del problema della corporeità è volta a contestare questo dualismo corpo -coscienza, frutto d’una mancata comprensione di ciò che il corpo è nella nostra esperienza. “Il problema del corpo e dei suoi rapporti con la coscienza è stato spesso oscurato dal fatto che si pone in primo luogo il corpo come una certa cosa che ha le sue leggi ed è suscettibile di essere definito dal di fuori, quando si sia raggiunta la coscienza attraverso il tipo di intuizione intima che gli è propria”. Non si vuole negare che il corpo è certamente anche una cosa, ma ribadire che non è definibile solamente in base alla sua casualità, perché così facendo si instaura una frattura della realtà umana in due elementi contrapposti che non si possono più riunire.

Quale significato dà Sartre al tempo, come definisce passato-presente-futuro?

Per Sartre il tempo va considerato nel modo in cui è vissuto dal soggetto, in questo senso non è possibile concepire il tempo come qualcosa di universale. Essendo quindi riferito essenzialmente al soggetto, quello che indichiamo come passato è, secondo il filosofo, parte integrante del soggetto medesimo ' io sono il mio passato', senza possibilità di modifiche, poiché esso è stato, e permane quindi presente invariabilmente. Ma contemporaneamente io non sono il mio passato, in quanto lo ero, a differenza del presente in cui io sono assolutamente presente a me stesso. Il futuro ha poi la caratteristica di non essere ancora, ma lo percepisco come facente parte della mia coscienza, perché non è comunque separabile dal soggetto, è qualcosa che mi attende e in questo senso sono sempre io, quell'io che mi aspetto di essere, quell'assenza, quel vuoto che mi prospetto come possibilità. In questo senso Sartre parla di libertà come condanna dell'uomo ad essere libero in questa ricerca di un completamento, in questa proiezione spazio-temporale verso realtà e situazioni 'altre' da quelle in cui si trova. Da tutto questo nasce l'inquietudine che caratterizza l'uomo nella sua costante ricerca, nel suo costante agire in una temporalità che non lo appaga e completa mai.

Affronti nelle tue pagine l'immagine del corpo psichico. Ce ne parli?

Secondo Sartre il corpo qual è per me è qualcosa di impercettibile, perché impercettibile è la mia contingenza: esso è forma contingente che diviene consapevole del suo essere contingente. Esso è condizione necessaria del mio esistere e, dunque, del mio vivere ed agire. Ma cos'è il corpo per me? Dapprima mi avverto quale centro vivente nel mondo. Pertanto al concetto di un corpo 'vissuto' e alla sua natura, si associa  quello di un corpo “vivente”. La coscienza quindi esperisce il suo corpo: la vediamo in azione. Essa cessa di essere coscienza del corpo, per divenire 'una coscienza che esiste il suo corpo'. Ad esempio decido di sopportare il dolore e di affrontarlo con positività; oppure, diversamente, sono intenzionato a respingerlo, non accettandolo. In questo caso il dolore sofferto è trasformato in un oggetto psichico: ovvero, in un male. Nonostante questo sia colto nella sua passività, Sartre evidenzia che vengono ad esso attribuiti apprezzamenti e valutazioni particolari. Si parla, infatti, del proprio male descrivendolo quale entità che magicamente, in strani periodi, tende a ricomparire, per esempio. Insomma, lo si descrive quasi fosse un’individualità psichica sopraggiungente in determinate situazioni. Tante volte si esprimono anche apprezzamenti per cui esso appare “sordo”, “piacevole”, “irritante”, “fastidioso”. Questo è ciò che accade al male, che nel suo palesarsi, scomparire e ritornare, più o meno forte in intensità, si stabilisce come oggetto psichico colto ogni volta nella sua individualità. A questo punto è possibile definire il corpo qual è per me. La coscienza riflessiva, avendo individuato il dolore quale dolore-oggetto, che, indipendente, assume le sembianze di un oggetto psichico a tutti gli effetti, individua il male come qualcosa di diverso dal corpo. Quest’ultimo, di contro, è colto quale matrice entro il quale il primo possa darsi e manifestarsi. Ed il male è mio nel senso che è proprio il mio corpo a fornirgli la materia utile al suo dispiegamento. In questo caso, questo corpo che io esperisco, non è un corpo conosciuto, bensì affetto. Sartre lo definisce " corpo psichico” il corpo psichico è un corpo sofferto dal momento che la riflessione rimanda la coscienza verso quell’in-sé, con l’intento di oggettivarla. Questa è la natura del corpo per me: esso è un corpo psichico, non vissuto ma sofferto, il cui spazio determina uno spazio senza parti, indifferenziato, per l’appunto psichico. La sua sostanza è il corpo, pur essendo psiche.

"Ne consegue dunque, a parere nostro, che ogni coscienza struttura un suo mondo, non c'è quindi un unico mondo, dato che ogni corpo, mezzo della coscienza, ne struttura uno". Il mondo femminile e quello maschile, in questa struttura del mondo, come si differenziano?

Ti ringrazio per questa domanda perché anticipa l'argomento che affronterò in un mio prossimo saggio in cui indagherò proprio la diversa strutturazione del mondo interiore della donna rispetto a quello dell'uomo con le inevitabili conseguenze anche sul piano della realtà esterna, della interpretazione del mondo e della sua costruzione. Infatti ritengo che se già la differenza è evidente tra soggetto e soggetto, ancora più lo è tra uomo e donna. Questo per un insieme di fattori correlati che vanno approfonditi in ogni loro conseguente implicazione. Specificità biologiche, psicologiche, attitudinali declinate in contesti storico - culturali, sociali, economici, scientifico-tecnologici, finanche religiosi e politici rendono assai differenti le situazioni di vita e di lavoro, gli approcci, le metodologie, le progettualità, le azioni e le reazioni di uomini e donne. Si tratta di delineare un percorso comune volto a valorizzare le capacità, le attitudini, il patrimonio esperienziale e valoriale di entrambi con l'unico obiettivo comune di migliorare le condizioni di vita dell'umanità e del pianeta Terra.

Ti leggeremo ancora in altri saggi?

Sicuramente, i miei progetti di studio e di scrittura sono ancora tanti, oltre a quello che ho appena delineato e presto tornerò ai miei lettori con nuovi libri.

Il libro:

Giovanna Fracassi, “Essere e Corpo in J. P. Sartre”, Rupe Mutevole ed., 2023

https://amzn.eu/d/biX0sw1

 

Fattitaliani

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