Tra le pagine e oltre: Salvatore Varsallona ci guida attraverso "L'urlo del panda"

In questa intervista allo scrittore Salvatore Varsallona esploreremo le ispirazioni, le sfide e le emozioni che hanno plasmato il suo nuovo romanzo "L'urlo del panda".

Qual è stata l'ispirazione dietro la storia de "L’urlo del panda"? Cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo?

Negli ultimi anni, ho osservato la nostra classe dirigente, e l'idea che fosse sempre più mediocre e incapace di governare è diventata sempre più forte. Nessun partito politico si salva da questa mediocrità dilagante. La domanda è sorta spontanea: come sono riusciti ad arrivare al potere molti dei nostri politici? Mi sono chiesto come fossero da ragazzi, di quali capacità o abilità superiori la natura li avessi dotati, se fossero bravi e diligenti studenti oppure studenti mediocri. Ho cercato di raccontare la loro gioventù immaginandola, cercando di capire come fosse possibile che la mediocrità possa portare al potere. La risposta che mi sono dato è che, purtroppo, qualità personali, intelligenza o una mente particolarmente brillante non portano necessariamente al successo e al potere. Sempre più spesso, le doti necessarie sono invece la spregiudicatezza e la furbizia. I miei personaggi a volte risultano ridicoli perché, dietro questa furbizia che spesso sfocia in arroganza, si nascondono persone vuote e fragili, piene di ansie e di paure, capaci di ogni cosa pur di arrivare all’obiettivo. Alla fine saranno travolti dagli eventi, come già accaduto nella realtà ad alcuni esponenti di partito. In questa società, non conta la meritocrazia, non sempre serve essere bravi nel proprio lavoro. Conta essere furbi, salire sul carro del potente di turno, cogliere il momento opportuno e lasciare andare alle ortiche gli ideali. Sono quindi giunto alla conclusione che ormai per arrivare al potere, onestà, merito e capacità di governare contano sempre meno. Il politico non deve avere capacità di governare, deve saper parlare alla pancia della gente, dispensare sicurezza e sorrisi, non importa se falsi, alimentare le paure, i desideri nascosti del popolo, far crescere l’odio verso un nemico inesistente, mostrandosi al popolo come il paladino della sua sicurezza, facendolo ad arte, perché un nemico unisce, un nemico è utile affinché si appaia come difensori degli ultimi agli occhi degli elettori. In realtà, spesso i politici non fanno nulla di concreto per migliorare la società. Ripetono frasi vuote senza conoscere a fondo gli argomenti di cui parlano e, cosa più grave, senza avere alcuna soluzione in mente e, peggio ancora, nessuna visione. Come diceva James Freeman Clarke: un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese. Ormai abbiamo solo politici e nessuno statista.

La trama del tuo romanzo si concentra su personaggi come Rosario Raciti e Andrea Vallante, che sembrano non seguire le regole. Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere attraverso questi protagonisti?

Voglio evidenziare il costante decadimento della nostra società e della nostra politica. In realtà, i nostri politici, proprio a causa della loro mediocrità, hanno perso gran parte del loro potere, e possiamo rendercene conto per i tanti governi tecnici che si sono succeduti negli ultimi anni. Il tecnico ha sostituito il politico, e il tecnico, per quanto capace, è spesso espressione delle aziende per cui ha lavorato in passato, sovente multinazionali o istituti finanziari. Se non ha lavorato per loro come diretto dipendente, magari ha svolto attività professionali come professionista guadagnando centinaia di migliaia di euro. Io ci vedo un conflitto di interessi. Come posso governare un paese e difenderne gli interessi nazionali se so che determinate scelte andranno contro gli interessi di una o più lobby per cui ho lavorato? Quando non avrò più incarichi governativi, dovrò tornare a lavorare; chi mi darà lavoro? Ci sono multinazionali il cui fatturato supera il PIL di molti stati nazionali. Come si può pensare che i governi non corrano il rischio di essere influenzati dalle multinazionali in determinate scelte? Per non parlare di alcuni onorevoli che vengono pagati migliaia di euro da stati esteri, spesso illiberali, per tenere conferenze che esaltano i loro regimi. Bisognerebbe fare delle leggi severe che vietino che questo accada, obbligare chi è eletto dal popolo a servire solo lo Stato fino a quando è in Parlamento. Non possono essere i tecnici a governare, devono essere i politici. Altrimenti, anche in quel caso, il conflitto d’interessi è dietro l’angolo. La politica dovrebbe essere intesa come un servizio ai cittadini. I nostri politici dovrebbero tornare a fare una politica vera, una politica che abbia come unico interesse quello del bene comune, una politica che provi sul serio a risolvere gli atavici problemi di questa nazione.

Il conflitto tra onestà e astuzia è uno dei temi centrali del tuo romanzo. Come hai sviluppato questa dualità nei tuoi personaggi?

L’urlo del Panda è la storia di tre ragazzi: due cresciuti al sud Italia e uno al nord. È lo specchio della società attuale italiana, una piramide rovesciata: al vertice persone incompetenti e poco preparate, alla base le persone che lavorano e mandano avanti il paese. È come fare guidare un aereo ai passeggeri mentre i piloti dormono sui sedili: prima o poi l’aereo si schianterà. È la storia della mediocrità che arriva al potere, di una generazione, quella dei giovani, sempre più disillusa e, a differenza dei loro genitori, priva di speranze.

Due storie di mediocri che conquistano il successo e, in contrapposizione, la storia di un giovane onesto e capace che viene maltrattato dalla società e alla fine, per sopravvivere, dovrà scendere a compromessi. Se ci guardiamo intorno, se osserviamo la realtà, è pieno di storie come questa.

Il titolo del tuo libro, "L’urlo del panda", è molto suggestivo. Cosa simboleggia e come si collega alla trama?

Il Panda vero non urla; è un animale innocuo che si ciba di bambù e non fa male a nessuno. Nel romanzo, Panda è il soprannome di uno dei personaggi principali, un giovane uomo senza alcuna qualità, tranne quella di saper approfittare delle opportunità del momento e di cavalcarle senza avere in realtà alcuna idea o ideale. Il Panda ha un solo obiettivo: i soldi. I soldi per il Panda sono più importanti del potere. L’urlo che lancia a un certo punto della storia è un urlo finto, un urlo fatto solo perché non ha idee, contenuti, non ha nulla da dire. Allora urla. Vuole impressionare la gente che lo acclama perché ha paura del successo che ha ottenuto e che non si aspettava nemmeno lui; è consapevole di non essere all’altezza del ruolo che dovrà ricoprire. A differenza dei panda veri, il Panda della nostra storia, una volta diventato politico, non si estingue, si evolve. Come diceva Darwin, non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. I politici odierni spesso sono come contenitori vuoti; non portano avanti delle ideologie come in passato, ma si adattano a ciò che interessa di più in uno specifico momento e cavalcano l’onda per avere consenso. È il consenso a guidare tutto, non l’ideologia. Se cadono, i politici si riciclano e ritornano al potere dicendo esattamente il contrario di ciò che hanno sostenuto per anni, come se quello che avevano detto in passato appartenesse a un estraneo. E gli italiani, purtroppo, hanno memoria corta, cortissima.

Infine, qual è il messaggio principale che desideri che i lettori portino con sé dopo aver letto "L’urlo del panda"?

Anche se a prima vista sembra un romanzo pessimista, alla fine della storia si intravvede una speranza. Sebbene uno dei protagonisti scenda a dei piccoli compromessi, alla fine ce la farà. È la consapevolezza di potercela fare nonostante le difficoltà la chiave di tutto; il credere che ci possa ancora essere un futuro migliore diventa determinante. Oggi mancano le certezze del passato, e uno degli errori dei nostri padri è stato di farci credere che il posto fisso avrebbe risolto tutto e che ottenerlo si dovesse ricorrere spesso a delle raccomandazioni. E c’è stato un riverbero in questa mala gestio politica che è arrivato agli imprenditori, fino allo scoppio di Mani Pulite, e che nonostante tutto continua anche oggi: per alcuni imprenditori non conta la capacità imprenditoriale e l’abilità nel condurre la loro azienda; contano le amicizie politiche che possano facilitare il tuo business, alimentando la corruzione. È una delle ragioni per cui l’Italia è uno dei paesi più corrotti al mondo. Non dobbiamo fare di un’erba un fascio, ma a mio avviso tutto inizia da questi comportamenti. In realtà, per decenni non ci siamo resi conto che nulla è scontato, che non esiste nulla di sicuro nella vita. Nel dopoguerra, gli italiani erano poverissimi, ma erano ottimisti; c’era speranza in un futuro migliore. I giovani di oggi non sono poveri come la generazione del dopoguerra, ma sono la prima generazione ad avere meno speranze dei genitori, a non avere prospettive future; una generazione sempre più disillusa e priva di speranze. E senza fiducia nel futuro, non si fanno figli, e questo porta a una serie di gravi problemi che bisognerebbe affrontare immediatamente. Però i giovani hanno ben presente, a differenza dei loro padri e dei loro nonni, che il mondo così non va bene, che bisogna cambiare e farlo in fretta. Su temi importanti come quello ambientale e sulle guerre, su come bisognerebbe intervenire, hanno idee molto più chiare dei nostri politici. È questa consapevolezza che bisogna alimentare, puntando però sulla meritocrazia. Questo è uno degli aspetti imprescindibili di cui bisogna subito occuparsi se si vuol dare un futuro a questo paese. Il secondo aspetto su cui puntare è l’istruzione, e sappiamo che bisogna investire sulla scuola italiana che non è messa bene. Solo così, quando la nuova generazione sostituirà la vecchia, potremmo aspettarci qualche miglioramento. Sarà in ogni caso un processo lento, e l’auspicio è che non sia troppo tardi per l’Italia. Speriamo solo che il male che affligge l’attuale classe politica non venga trasmesso alla vecchia come un virus maligno. Il palazzo, come spiego nel libro, è come un lazzaretto pieno di persone già infestate da potenti virus; se entri, ti contagi. Uno dei virus è la corruzione.

 

Fattitaliani

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