In occasione della Festa dei nonni, nella calda e accogliente atmosfera del Parco urbano di Montelepre, una delegazione di ragazzi, frequentanti le classi terze secondaria dell’Istituto Alessandro Manzoni di Montelepre, ha accolto l'invito dell'AUSER di Montelepre con l'obiettivo di promuovere la comunicazione tra generazioni.
Il 2 ottobre è il giorno in cui nella tradizione cattolica si celebravano gli angeli custodi, proprio in questa giornata, per sottolineare la centralità del loro ruolo, il 31 luglio 2005 il Parlamento italiano ha istituito la Festa dei nonni, una giornata che si pone l’obbiettivo di far conoscere e promuovere la cultura italiana del valore dei nonni per i bambini e per la famiglia allargata, e stimolare la comunicazione e il dialogo intergenerazionale rafforzando il legame tra nipoti e nonni.
Come ha ben evidenziato la Presidente dell’AUSER di Montelepre
Nuccia Gaetani,
la Festa dei nonni è una giornata nata per ricambiare, almeno una
volta all’anno ufficialmente, ciò che i nonni fanno ogni giorno per i loro
nipoti, da sempre figure di riferimento nella loro crescita e nella loro
educazione, sempre pronti a dare sostegno, aiuto e affetto.
Per l’occasione i ragazzi dell’Istituto Alessandro Manzoni di Montelepre, che ha una sede scolastica anche a Giardinello, hanno letto alcuni passaggi del libro “Novelle brevi di Sicilia” e di altri scritti dello psicologo, criminologo e scrittore monteleprino Andrea Giostra che per l’occasione ha tenuto un intervento introduttivo raccontando il valore e il ruolo dei nonni delle passate generazioni monteleprine, nella fattispecie quelli degli anni Settanta e Ottanta, ripresi dai racconti letti dai ragazzi della scuola. A seguire vengono riportati i testi e i link dove ascoltare online la recita di due note attrici siciliane che leggono alcune delle Novelle.
INFO:
Istituto Comprensivo "Alessandro Manzoni":
https://istitutocomprensivomanzonipa.edu.it/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100087173590275
AUSER Montelepre:
https://www.facebook.com/ausermonteleprenew/
LE RECITE DI DUE ATTRICI
PROFESSIONISTE DEI RACCONTI LETTI DAI RAGAZZI DELL’ISTITUTO IL 2 OTTOBRE
SCORSO:
“Gli auguri di mia nonna
ottantenne” | Recita Anna Raimondi | Attrice e docente di recitazione | racconto
tratto da “Novelle brevi di Sicilia”
da YouTube
“La festa dei morti di Montedoro” | recita Emanuela
Trovato | Attrice e docente di recitazione | Racconto tratto dal romanzo
inedito “La banda”
da YouTube:
I TESTI DEI RACCONTI LETTI AL PARCO URBANO DI MONTELEPRE IL 2 OTTOBRE 2023:
Gli auguri di mia nonna ottantenne | di Andrea
Giostra, tratto dalla raccolta “Novelle brevi di Sicilia”
- Caro nipotino mio, adesso che hai fatto diciotto
anni e sei diventato grande, fa il bravo ragazzo, sii responsabile e maturo,
rifletti bene prima di fare qualsiasi cosa e non ti avventurare mai prima di
aver riflettuto sui rischi e sulle conseguenze di quello che dovrai fare.
Non frequentare cattive compagnie e stai solo con
ragazzi e ragazze che possono darti qualcosa e possono farti stare bene.
Punta al successo, ai grandi e ambiziosi traguardi,
che possano arricchire la tua vita e il tuo tempo.
Avrei voluto augurarti tutto questo, caro nipotino!
Invece, io che ho ottant'anni, dico basta con tutte
queste minchiate!
Quello che ti dico è invece questo:
- Goditi la vita più che puoi, ama tutte le ragazze
che ti piacciono picchì sì un bieddu picciuttu e 'u puoi fari!
Gira il mondo e viaggia tanto finché non ti stanchi,
e quando sarai stanco di goderti la vita e di viaggiare, trovati una donna
ricca e bedda assai, e falla innamorare di farici perdiri la testa!
E quannu è innamurata pazza, maritatilla subito,
accussì non dovrai lavorare e vivrai nel benessere e nella ricchezza con i soldi
di lei, poi falle fare tanti figghi così da vecchio non sarai solo e
avrai cu’ cummatti cu’ tia.
Insomma, goditi questa vita che è breve e vola via
velocemente senza ca’ mancu ti nnadduni!
Pensa solo a prenderti cura della tua famiglia,
delle persone che ami, di te, e di tutto il resto futtitinni!
Hai capito caro nipote mio?
Questo devi fare!
Così quando diventerai vecchio, comu sugnu iu
ora, non rimpiangerai nulla della vita da giovane, e avrai fatto tutto
quello che hai voluto e ti sarai goduto la vita, picchì nun n'arresta nienti
una vuota chi muriemu e nall'atru munnu nun ni purtamu nienti!
U capisti?
Fai comu ti rici to' nonna nca na' passatu di
tutti i culura 'nta so vita, e ni sapi assai di cosi, e sapi comu funziona lu
munnu tirrenu!
Ora ca ti rissi tutti sti cuosi, schietti schietti,
tu puozzu riri Buon Compleanno niputeddu mio?
E comu rici to’ nonnu, ora
pigghiamuni nu beddu cafè!
Le caramelle alla carrubba | di Andrea Giostra, tratto
dal Romanzo inedito “La banda”
Nonna Vita a Nniria, ogni volta che u’ niputieddu
l’andava a trovare, preparava le caramelle alla carrubba nella balata di
marmo bianca rigata del cucinino, che prima puliva con una pezza unta di olio d’oliva
di casa, poi ci sdivacava di sopra una
specie di fluido caramelloso e profumato che aveva appena preparato col
tegamino d’alluminio dove ci aveva infilato due pugni di carrubba pistata
cu’ murtareddu, due pugni di zucchero, un bicchiere d’acqua.
Quell’intruglio che
incuriosiva ogni volta Nniria, l’arriminava cu’ un cucchiaruni nicu d’ulivu senza
firmarisi mai un momento, fino a quando diventava denso e mieloso.
Poi sdivacava tutto
nella balata di marmo, prendeva il grande coltello da cucina e cominciava a fari
girare quel composto mieloso fino a quando si trasformava in un caramello
denso, piatto e rettangolare, e appena s’asciugava nanticchia e addivintava
tipo di vitru trasparenti marroni, lo tagliava a cubetti e gli diceva...
- Pigghiati i carameli
a’ carrubba, Nniria, buoni sunnu.
Lui la guardava con la
bocca aperta e con gli occhi sgranati come se sua nonna avesse fatto una magia.
Quando trasformava quelle
polveri e acqua dentro un tegamino in caramelle, la fata Turchina gli pareva
sua nonna Vita a Nniria.
Allora abbassava lo sguardo
verso quelle liccumarie, prendeva la caramella alla carrubba dalla
balata, inalava il profumo dolce e delicato di quel prodigio, la metteva in
bocca sutta o’ balataru, e si gustava quella delizia della natura lasciando
sciogliere lentamente tra la lingua e il palato quel sapore crudo e selvaggio
che lo inebriava di agreste bontà.
Mentre con le labbra
strette strette le une sulle altre spruzzava saliva dentro la bocca per
sciogliere quel sapore dolce e rustico, fissava sua nonna negli occhi e vedeva
che lei cercava di capire cosa stesse provando, si compiaceva masticandone una
a sua volta, e sorrideva di un sorriso che apriva il cuore du’ niputieddu.
Anche quella volta nonna
Vita, agli occhi di du’ picciriddu,
aveva fatto un piccolo miracolo che lo aveva incantato.
Da una polverina, per Nniria, suo nipote primogenito, aveva
creato un’inebriante emozione gustativa siciliana.
La festa
dei morti di Montedoro | di Andrea Giostra, stralcio del romanzo inedito “La
banda”
La chiesa
quella domenica era piena piena.
Era a’
prima missa cumannata di novembre, la prima dopo la festa dei morti del due
novembre che a Montedoro era una ricorrenza importantissima, soprattuttu pì picciriddi.
Tutti i bambini sapevano che durante la notte dei morti, tra il primo e
il due di novembre di ogni anno, i defunti della famiglia, i bisnonni, i vecchi
zii, i lontani parenti dei quali i nonni narravano le gesta e le avventure, che
avevano abitato quella casa, sarebbero tornati per portare nottetempo ai niputieddi
tanti liccumarie e tanti giocattoli.
Tutti i bambini andavano a letto la sera avendo la certezza che la
mattina successiva avrebbero trovato nella loro stanza, accanto al letto o
nascosto da qualche parte della casa, i loro regali, i loro giocattoli, le loro
caramelle, i loro dolciumi belli zuccarati.
Era una grande festa quella dei morti per tutti i bambini del paese.
Era l’unica sera dell’anno nella quale tutti i picciriddi andavano
a letto senza fare troppe storie, belli convinti, contenti, e quando le loro
mamme, dopo che avevano finito di cenare, dicevano loro che era ora di andare a
dormire, tutti filavano dritti dritti come tanti saittuna, senza
mancu ciatari.
Si mettevano il pigiamino senza farisillu diri mancu na vota,
s’infilavano sotto le coperte, chiudevano gli occhi subito subito, e
aspettavano di addormentarsi presto presto perché se non si fossero
addormentati e non avessero dormito i morti non sarebbero arrivati e quindi
niente regali, niente giocattoli, niente liccumarie.
Così dicevano loro i nonni, così raccontavano ai picciriddi le
sere precedenti a quella festa di novembre.
La mattina all’alba del due novembre, appena il sole penetrava dalle
persiane e colpiva deciso il viso dei picciriddi, questi si svegliavano
di botto, sgranavano gli occhi, saltavano dal letto come tanti grilli, e
cominciavano a cercare casa casa…
Chi trovava a’ bicirietta Graziella nuova nuova chi rotelle.
Chi u’ palluni di cuoio originale del Milan, della Juve o
dell’Inter.
Chi il completino di calcio della propria squadra del cuore per giocare a
pallone al campetto di pallacanestro o a’ Mulietta, la contrada sopra il
paese in alto sulla collina dove c’era il campo di calcio in terra battuta per
i jucatura granni della terza categoria.
Chi le scarpe di calcio chiodate che non le aveva nessuno in paese.
Chi quelle da tennis pì curriri e pì passiari.
Chi Ciccio Bello.
Chi i bambolotti morbidi morbini della Sebino o della Mattel dei quali le
picciridde andavano pazze.
Chi la pista Polistil con le macchinine Ferrari o Alfa Romeo che
correvano velocissime nel circuito a forma di otto.
Chi la pianola Bontempi nica nica.
Chi la chitarra picchì ci piacieva a sunari.
Ma u’ regalu chiù bello che tutti i masculiddi si aspettavano
dai morti erano i’ pistuoli e i’ fucili… l’Edison Superbum, il Lory,
l’Interpol o u’ fucile Marines con il pacchetto di capsule rosse o gialle
che si mettevano nel caricatore e che spingendo il grilletto facevano un botto
sordo che simulava perfettamente lo sparo di un’arma vera e faceva schizzare
fuori a meno di un metro di distanza dalla canna di alluminio il proiettile di
gomma morbida a pallina colorata che serviva pì jucari a sparare tra
agguerrite bande rivali di indiani e sceriffi.
Di tutto regalavano i morti in quella notte felicissima e lunghissima ai
bambini di Montedoro.
E così all’alba, afferrati i loro giocattoli, bevuto il latte e mangiati di
cursa dui viscuotta fatti n’casa, tutti sti picciriddi la
mattina della festa dei morti si riversavano nelle strade e nelle piazze del
paese per far vedere a tutti i loro amichetti e compagnetti quello che avevano
ricevuto in dono dai loro morti quella notte…
- Ma a tià chi t’arregalaru i murti, Ciccio?
- A pista di machini… talè che bella… ci vuoi iucari cu mia?
- E a tia, Giovà?
- A mia u’ palluni di cuoio, talè che bello… ni faciemu dui palleggi?
- E a tia, Jachì?
- U’ completinu dell’Inter… talè che bello… dumani ci iamu a jucari o’
campu di pallacanestru?
- A tia, Riccardo?
- A pistuola Edison superbum… talè ch’è bella…
aspè ca’ sparu dui cuorpa… bum… bum… ci jucamu a sparari? Tu fai l’indianu e iu
fazzu u’ sceriffu… va bene?
- E a tia Totò, chi t’arregalaru i murti?, u’ pupu cu’ l’anchi tuorti?
Totò a quel punto fissava n’ta l’occhi a Pippinu, si mettieva u’
stecchinu n’mucca, ci facieva un ghigno di sfida con un sorrisino appena
accennato, tirava velocissimo fuori dal foderino attaccato alla cintura la sua
sfavillante Lory, con la stessa sveltezza e taliata che aveva
visto fare al Biondo Clint Eastwood nel film Il buono, il brutto e il cattivo
di Sergio Leone, da tre metri di distanza gliela puntava dritto al petto,
tirava il grilletto senza esitazione, un rumore sordo e breve usciva dalla
sottilissima canna in alluminio… bum… bum… bum…
Tri cuorpa e Pippinu si iccava n’tierra stinnicchiatu comu Tex Willer, ferito al petto
n’ca si tinieva strittu strittu iccannu vuci n’ca parieva chi stava muriennu
veramenti.
Totò c’avia sparatu picchì l’avia pigghiatu pu’ culu.
E a du puntu tutti a scaccaniari, a ridere a crepapelle, a
sfottersi e a prendersi reciprocamente in giro, a sbellicarsi gioiosi dalle
risate, contenti di giocare, di stare insieme per condividere e mostrare quelli
ch’erano visti come regali bellissimi anelati intensamente nottetempo, con
trepidazione, con la speranza di picciriddi ch’era fatta di piccole
cose, di quei giocattoli semplici, di oggetti sobri che in quella sana comunità
agreste li faceva sentire vincenti, forti, protetti, imbattibili.
In una parola, felici.
E lo erano tutti quei bambini, felici, orgogliosi dei regali ricevuti,
curiosi di quelli che avevano ricevuto i loro compagnetti di scuola e gli amici
di gioco riversati nelle strade e nelle piazze di Montedoro.
Quei picciriddi che per tutta quella mattina, fino all’ora di
pranzo, erano sparsi in numerosi crocchi distribuiti per tutto il paese… a
Santantuninu, o’ Cannulicchiu, o’ Vadduni, e’ Scuoli, o’ Chianu, a’ Fruora, a’
Matrici, a’ Vutata o’ mulinu… insomma, le piazze e le strade del paese per
quella giornata diventavano riserve di indiscusso dominio di centinaia di picciriddi
che si rincorrevano, saltellavano, si radunavano in capannelli accovacciati sui
marciapiedi, si fronteggiavano fingendo duelli di spade, pistole e fucili.
Quella dei morti era una festa spontanea e sfavillante che lasciava segni
di felicità incancellabili.
Patri
Pasquali pure a
quello pensò prima di iniziare a’ missa, alla festa dei morti appena
trascorsa nella quale tutti di picciriddi erano stati felicissimi dei
regali ricevuti.
Pensò
pure ai regali che lui bambino aveva avuto dai suoi morti, che gli avevano dato
tantissime gioie e che adesso, anziano prete di quel paesino di collina,
ricordava con malinconica e al tempo stesso con giuliva nostalgia accompagnata
da un piacevole ritornello che tutti i picciriddi di allora
canticchiavano quando si ritrovavano nelle strade e nelle piazze del paese con
i loro regali…
Talia chi
mi ficiru i muorti
U’ pupu
cu’ l’anchi tuorti
A atta
chi ballava
E u’
surci chi sunava.