Al Calvi Festival il 4 agosto va in scena IO PER TE COME UN PARACARRO di e con Daniele Parisi. Un punto di vista beffardo e spiazzante sulla nostra quotidianità. Una serata per vedere con occhi diversi il mondo circostante grazie al talento comico del protagonista e autore.
Fattitaliani lo ha intervistato. In che cosa si distingue "Io per te come un paracarro" rispetto ad altri suoi testi?Mi sembrava di aver scritto un testo nazionalpopolare, alla portata di tutti. Uno spettacolo da fare nelle piazze, nelle scuole, in ogni angolo del globo terrestre. Dopo le prime repliche ho capito che mi sbagliavo. Continuo ad essere inesorabilmente un artista di nicchia. Me lo ha detto anche mia madre l'altra sera, 65 anni: "Daniele, devi fartene una ragione, sei di nicchia. Sarà la contingenza, il periodo storico. Resti di nicchia. Come gli altri testi che hai portato in scena! A proposito, hai mangiato?".
Com'è arrivata l'ispirazione di "Io per te come un paracarro"?
L'esigenza nasce da questo prelievo economico che mi viene fatto ogni mese. Quando ha iniziato era l'affitto, poi è diventato il mutuo e adesso a breve tornerà di nuovo l'affitto... Lei mi vede tranquillo, ma sto vendendo casa: è un delirio. Credo perciò che la mia esigenza artistica nasca proprio da questo: non il fuoco sacro, no no! Io appena vedo prosciugarmi i soldi dal conto in banca mi viene la voglia di andare in scena e raccontare una storia al pubblico. Se fossi ricco di famiglia starei a casa leggere, a viaggiare. Chi te lo fa fare?
Scrivere, dirigere e interpretare un testo presenta solo lati positivi?
Sono tutti negativi infatti i lati. Per lavorare sono costretto a dividermi per tre. Attore regista e autore. Una convivenza che non auguro a nessuno. Un litigio continuo, non c'è tregua. E poi non si sopportano: mi deve credere, non si dorme neanche più la notte.
Ha pensato subito a sé stesso come interprete?
Per forza. Io mi scrivo le cose addosso. Improvviso, cambio, riscrivo. È un lavoro lunghissimo. Che dura mesi. Un attore normale mi ucciderebbe dopo una settimana di lavoro. Rovinerei amicizie, rapporti umani. Non mi pare il caso.
Portando in scena lo spettacolo a più riprese, ha cambiato qualche elemento nella rappresentazione o tutto è rimasto come all'inizio?
Lo spettacolo cambia di continuo Non è mai lo stesso. Primo perché mi annoio a farlo sempre uguale E poi perché di replica in replica si arricchisce. Rispetto allo scorso anno ho tolto una scena e ho tagliato cinque battute a un personaggio: non c'è rimasto molto bene ma sono cose che possono succedere.
Che cosa Le piacerebbe che il pubblico provasse dopo la rappresentazione?
Di non aver buttato un'ora della propria vita per vedere lo spettacolo. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
Una coppia, che sta per dare alla luce un figlio, decide di partire: cercano un luogo dove costruirsi un avvenire decente. I famigliari di lui, vittime di antiche patologie non risolte, non riescono a dissuadere i due dal voler intraprendere questo viaggio. Lungo il tragitto la coppia incontrerà diverse umanità alla deriva.
C'è una Maga Indovina sfaticata che tradisce la sua antica funzione oracolare. C'è chi si indebita. Chi ruba. Chi vende per strada. Chi è rinchiuso nelle proprie manie ossessivo-compulsive. Chi vede nella contraddizione l'unica possibilità per essere coerente. Nel frattempo, la fame aumenta. E ci si ascolta sempre meno.