Identità e memoria tra cibo, arte e musica è il denominatore comune delle due serate di "Viva Trinacria" di Siculiana, oggi e domani. un workshop di bastone artistico siciliano aprirà l'evento di stasera, cui seguiranno una degustazione e la musica folk dei "Sicilia Cantus". Prima del Danzacuntu, spazio alla presentazione del libro "Il fuco non muore": il giornalista A. Schembri e l'editore N. Macaione converseranno con l'autore Salvatore Nocera Bracco, che domani si cimenterà nel concerto-teatro "Io siciliano sono, anzi di Naro": Fattitaliani lo ha intervistato.
Quali sono i punti di contatto fra i romanzi Il fuco non muore e Le ragioni del fuco?
In realtà si tratta di un unicum. Le ragioni del fuco è prequel de Il fuco non muore. Anche se, per certi versi, sono indipendenti. Il primo si sofferma soprattutto sulla superficie sociale delle relazioni del protagonista, Augusto; e ha una sua intrinseca autonomia. Tant’è che Il fuco non muore si apre con una riduzione teatrale del primo libro, una pièce vera e propria, un atto unico che ha una sua specificità, indipendentemente dal resto. Eppure Il fuco non muore, più che un sequel, risolve, e specifica, le ragioni di questo fuco, con cui Augusto si identifica, e che, notoriamente - in quanto “maschio” dell’ape - viene a un certo punto escluso dall’alveare. Dunque si presume esserci anche un’Ape Regina, che gestisce un alveare, e altri fuchi, e altre api regine … Una piccola notazione curiosa: in siciliano, almeno a Naro, il fuco si chiama bàganu, ovvero lagnusu, cioè uno scansafatiche, un parassita. Il mio fuco si risveglia da un coma molti anni dopo un pestaggio, rimane sulla sedia a rotelle, all’apparenza impotente, e combatte con le sue voci interiori – il suo “male” che emerge senza più censure – e che lo istigano continuamente, costringendolo a rimuginare su di un passato che lui, incongruamente, identifica con il suo presente … la storia si sviluppa su più piani, nella complessità di uno sguardo, secondo un’ottica dialogica – specificata nella prefazione di Marco Braghero, non a caso esperto in coaching e pratiche dialogiche – in cui tutte le voci, anche le interiori, anche le più moralmente abiette, hanno il diritto di esprimersi. Solo così, in effetti, è possibile prendersene cura, impedendole di agire nell’inconscio. In questo Augusto è aiutato dal suo amico medico Ilario, con il quale condivide gli anni dell’Università. E Adele, sua moglie, presumibilmente la Regina. Sullo sfondo l’eco di queste strane voci che sembrano voler svelare, senza però mai riuscirci del tutto, terribili segreti …
In realtà si tratta di un unicum. Le ragioni del fuco è prequel de Il fuco non muore. Anche se, per certi versi, sono indipendenti. Il primo si sofferma soprattutto sulla superficie sociale delle relazioni del protagonista, Augusto; e ha una sua intrinseca autonomia. Tant’è che Il fuco non muore si apre con una riduzione teatrale del primo libro, una pièce vera e propria, un atto unico che ha una sua specificità, indipendentemente dal resto. Eppure Il fuco non muore, più che un sequel, risolve, e specifica, le ragioni di questo fuco, con cui Augusto si identifica, e che, notoriamente - in quanto “maschio” dell’ape - viene a un certo punto escluso dall’alveare. Dunque si presume esserci anche un’Ape Regina, che gestisce un alveare, e altri fuchi, e altre api regine … Una piccola notazione curiosa: in siciliano, almeno a Naro, il fuco si chiama bàganu, ovvero lagnusu, cioè uno scansafatiche, un parassita. Il mio fuco si risveglia da un coma molti anni dopo un pestaggio, rimane sulla sedia a rotelle, all’apparenza impotente, e combatte con le sue voci interiori – il suo “male” che emerge senza più censure – e che lo istigano continuamente, costringendolo a rimuginare su di un passato che lui, incongruamente, identifica con il suo presente … la storia si sviluppa su più piani, nella complessità di uno sguardo, secondo un’ottica dialogica – specificata nella prefazione di Marco Braghero, non a caso esperto in coaching e pratiche dialogiche – in cui tutte le voci, anche le interiori, anche le più moralmente abiette, hanno il diritto di esprimersi. Solo così, in effetti, è possibile prendersene cura, impedendole di agire nell’inconscio. In questo Augusto è aiutato dal suo amico medico Ilario, con il quale condivide gli anni dell’Università. E Adele, sua moglie, presumibilmente la Regina. Sullo sfondo l’eco di queste strane voci che sembrano voler svelare, senza però mai riuscirci del tutto, terribili segreti …
Al di là dei personaggi specifici, ci sono delle dinamiche e caratteristiche universali riconoscibili?
Tutto ovviamente è incentrato sul valore delle Relazioni, sulla ricerca di un equilibrio e di una Pace interiori che non possono essere attuati se non si riesce a risolvere i propri vissuti “malati”. Emerge anche il valore del prendersi cura come accompagnamento alla vita, come uno stare accanto, incarnato da Ilario, il neuropsichiatra che non abbandona mai il suo “amico” Augusto e che anzi è presente nella sua quotidianità come una sorta di alter ego riflessivo, un riverbero del Medicartista che mi riguarda. E ancora il valore dell’appartenenza: non a caso c’è questa definizione di Noir mediterraneo, in cui i luoghi sono ancor più fondamentali delle persone che li abitano. E anzi proprio dai luoghi deriva il senso di comunità, di identità che producono quella determinata cultura, e già il nome della città in cui si svolge questo romanzo esprime appieno questa idea: Idomèa. Idomèa è il mio luogo dell’anima, un rifacimento di un altro luogo geografico - Naro - a cui mi riferisco ma mai oggettivamente. L’Ido è una lingua artificiale come l’Esperanto, e mèa sta per mio. Dunque “la mia lingua”, ciò che determina il mio linguaggio ovvero la mia espressione, a partire dai miei luoghi, le mie origini, la mia radice, che riconosco in quanto nutrimento e che determina chi sono io. Credo sia il tema cruciale della nostra contemporaneità: una crisi profonda dell’identità, della comunità, della Cultura, che può essere superata solo se ci riappropriamo della nostra specifica Umanità, cominciando a riscopre le nostre origini, appunto.
Sul concerto-teatro che cosa ci dice?
Sono contento di partecipare a manifestazioni che fanno del loro essere “locale” la più grande risorsa. La Memoria di un Territorio è quanto di più realizzante possa esistere per ogni persona che in quel territorio è nato e cresciuto, ed è anzi questa località che mi dà senso e mi permette di scoprire altre località con cui confrontarmi, dar valore alla mia identità, ma anche alla mia diversità. Ho sempre tentato di unire insieme il valore del locale con le risorse del globale. In questo mi sento molto glocal. Inoltre, tra Siculiana e Naro esiste un’affinità culturale che mi piace cogliere nei luoghi, nell’urbanistica, nei castelli, nella devozione ai santi, nelle persone che conosco.
Parliamo di due cose diversissime fra loro, ma ci sono affinità ispirative fra il concerto-teatro e i romanzi?
Tutti i miei scritti, non solo i romanzi, anche i saggi, gli articoli, le pièce teatrali, la mia musica, partono sempre dalla stessa tensione: recuperare la mia origine siculomediterranea, così specifica e unica, ovvero esprimere la mia identità amplificandola con l’identità dell’altro, cioè senza troppo rimanere prigioniero della mia stessa identità, anzi rendendola elastica e in grado di evolversi nell’apertura all’altro. Musicalmente è ancora più evidente: classica, jazz, rock, etnico ecc e soprattutto la Voce: come canto, come narrazione, insieme, e mentre suono recito e canto, oppure canto senza musica, oppure mi faccio prendere la mano dai suoni delle parole … concerto-teatro in questo senso … ma come scrittore soprattutto, dato che, più che parole, io mi sento scrittore di voci. E mettendo insieme numerose esperienze all’apparenza lontane tra di loro: io sono nato in Brianza, e da bambino avevo nelle orecchie Jannacci e Gaber più di tutti. E le ninne nanne che mi cantava la mia mamma in siciliano. Poi, a sei anni, eccomi a Naro, dove ho incontrato i cantastorie, i venditori ambulanti, le lamentazioni del venerdì santo, le voci delle donne che urlavano contro i figlioletti, i litigi, le parolacce eccetera .. persino i versi degli animali, e il ritmo degli zoccoli delle notti estive quando i contadini si recavano presto in campagna per non subire il caldo diurno … un mix pazzesco di narrazione orale, musicalità, atmosfere, modulazioni vocali, melismi, e poi i carrettieri … teatralità pura e musicalità pura .. eppure mischiati insieme. Concerto-teatro è l’unica formula che ritengo adeguata.
Come vive e organizza la fase della scrittura? È metodico, abitudinario oppure disordinato e senza schemi?
Non ho progetti quando scrivo. Anche se ho delle suggestioni suggeritemi per esempio dal mio direttore editoriale o dal mio editore, io so che scriverei in ogni caso: una sorta di bisogno, di impellenza, un’abitudine, un modo di essere che mi aiutano a definirmi. Posso dirti che fin da bambino, a cinque anni, a Desio dove sono nato io, il primo impulso è stato quello di scrivere. Io soffrivo di uno strano disturbo: prima che saper leggere bene, scrivevo. È un talento che mi riguarda e ogni giorno ho sempre qualcosa da scrivere, da comporre musicalmente, da studiare. E non seguo mai pedissequamente un progetto strategicamente delineato, ma seguo l’impulso interiore a scrivere, e “so” che i miei scritti si delineeranno a poco a poco, seguendo l’intuito e cambiando spesso direzione, quasi trovando, più cercando, i contenuti e le forme della mia scrittura. In questo senso i miei libri, alla fine, si scrivono “da soli”, seguendo le suggestioni di Borges. È una sorta di emersione, a volte visionaria, a volte assecondando il mio flusso interiore, a volte seguendo degli indizi interiori. E mai schiavo di un unico stile. Teatro, poesia canzone, prosa sempre diversificata, non a caso Rino Caputo, italianista di fama, prefatore de Le ragioni del fuco, definisce tecnicamente la mia scrittura prosimetro, cioè la compresenza di prosa e poesia in tutte le sue forme, richiamando uno stile praticato fin dai primordi del Medio Evo. Una delle forme più alte di prosimetro, per darti un’idea, è la Vita nova di Dante. Giovanni Zambito.