Giulia Savi: spesso le mie idee provengono dai miei sogni. L'intervista alla regista, fotografa e videomaker



di Andrea Giostra

Ciao Giulia, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Giulia registra, fotografa o videomaker?

Ciao Andrea e grazie dell’invito. Mi piace definirmi Regista anche se ho imparato a coprire più ruoli. Sceneggiatrice, Montatrice, direttrice della fotografia, costumista, location scouting.

So che voglio fare questo lavoro dall’età di 10 anni. Sono cresciuta a pasta e film. Ricordo che fin dalla tenera infanzia ero affascinata da questo mondo finto e al contempo così reale. Ho sempre visto film, anche vietati ai minori, come horror o thriller o drammatici, ovviamente in compagnia dei mie genitori. E, a parte ogni tanto un po’ di paura del buio o visioni strane notturne, dove una giacca appesa diventa un mostro, non sono diventata un’assassina o psicopatica. Forse… (sorride)...

Come dicevo, a 10 anni ho capito che questo era il lavoro che volevo fare. Già all’epoca, infatti, scrissi una piccola sceneggiatura di un episodio rifacendomi ad una serie che andava molto di moda, in Italia conosciuta con il nome di “Streghe”.

Ricordo che avevo inserito il nome del personaggio, la battuta ed una breve descrizione dell’accadimento. Poi cercai di coinvolgere alcune mie compagne di classe (immaginate la loro felicità nel dover rifare più volte le stesse azioni perché sbagliavano). Credo di essermele inimicate lì… (sorride).

Pensa, avevo anche ipotizzato come fare i vari effetti speciali: muovere una sedia con il gesto di una mano.

Come sapevo tutto ciò? Non lo so ,ed è la cosa che mi ha sempre affascinato e fatto capire che era ed è la mia strada. Penso che quando trovi qualcosa che ti viene naturale, e che con lo studio può solo migliorare, allora hai trovato il tuo scopo. Poi sta alla persona se perseguirlo o meno. Spesso la vita ci pone davanti ciò che noi consideriamo ostacoli. Quindi molte persone mollano, cambiano strada e spesso si dicono ”non era destino”.

Io devo essere sincera, posso portare avanti questo mio scopo solo grazie al fatto che ho una famiglia alle spalle che mi ha consentito di occupargli ancora casa , nonostante la mia età. Egoisticamente parlando è la situazione ideale se si vuole puntare a fare un lavoro tendenzialmente maschile e, come si sa, di difficile inserimento. E anche, aggiungerei, dispendioso. Molti pensano che per fare uno spot, anche di pochi secondi, sia facile e basti poco. In realtà dietro c’è un duro lavoro e soprattutto per un buon prodotto servono attrezzature adeguate che costano tantissimo. Motivo per cui ,quando si fa un preventivo per un cliente, la cifra può apparire “alta”. Ma dietro quella cifra c’è tutta una serie di spese per offrire l’attrezzatura adeguata. Anche qui devo ringraziare una persona. Andrea Bertero, regista, videomaker e compositore. Da qualche anno lavoriamo assieme e grazie alla sua attrezzatura posso dare vita ai miei progetti. Oltre alla regia mi sono accorta di avere una grande abilità : sapermi circondare dalle persone giuste. Specialmente in amicizia.

Ah, comunque a 10 anni quando chiesi la telecamera per girare la puntata, di cui vi raccontavo, la risposta fu ovviamente: NO.

Sono sempre stata maldestra e questo strumento, nelle mani di una bambina, specialmente le mie, sarebbe durato poco. Inoltre non è mai stata ben vista questa mia passione perché troppo lontana dalla realtà più comune. Capisco che un genitore voglia assicurarsi la stabilità economica del proprio figlio per morire sereno. Quindi un lavoro “normale” sarebbe stato più apprezzato. Per fortuna siamo in Italia, il paese con un alto tasso di disoccupazione giovanile e/o mal retribuito. Quindi ho potuto usare questa scusa per continuare. Il fatto di lavorare con pochi mezzi a disposizione rende la cosa difficile e non sempre ciò che ho in testa si realizza al 100%. Ma provo a trovare soluzioni per rendere al meglio le mie idee con le possibilità che al momento posseggo.

…chi è invece Giulia Donna nella sua quotidianità, al di fuori dal lavoro e dalla sua passione per l’arte? Cosa puoi raccontarci di te?

Sono una persona molto sincera, anche troppo. Mi definisco senza filtri. Non sempre è un bene. Sono una persona che vive un po’ nel suo mondo, tra le nuvole e sono sempre stata affascinata dal mondo del cinema: qualcosa di assolutamente finto e creato ad hoc che appare così reale, capace di emozionare, spaventare, arrabbiare.

Qual è la tua formazione accademica, professionale, artistica e esperienziale?

Mi sono laureata in Scienze della comunicazione, a Savona. Una facoltà che ho fatto solo ed esclusivamente perché aveva delle materie inerenti al cinema. Poi ho proseguito, facendo una scuola privata di cinema nella mia città (Scuola di arte cinematografica – SDAC). Anche qui mi sono iscritta solo per trovare persone che come me avessero la mia stessa passione e magari iniziare a fare qualcosa. Mi è servita solo come conferma che quello che ho sempre ipotizzato, fin da piccola, fosse corretto. Nel contempo facevo un corso dal titolo lunghissimo che potremmo abbreviare con “Direttore di produzione dell’impianto audiovisivo”, presso la Genova Film Commission. Ricordo che ero l’unica 25enne. I miei compagni erano persone sopra i 40 e con esperienza nel settore, anche con produzioni già avviate, cosa che io non avevo. Alle spalle avevo un paio di cortometraggi a budget 0, ma tante idee. È stato un corso difficile. A dirla tutta non ci capivo niente. Era molto tecnico. Ma ho conosciuto persone del settore, specialmente i professori, a cui mi è capitato di sottoporre delle idee. Il fatto di non avere abbastanza fondi per realizzare un idea, come la si ha in testa, da un lato è snervante ma dall’altro ti induce a cercare soluzioni, escamotage. Modi per intrattenere il pubblico senza esplosioni od inseguimenti tra auto. Quindi ad usare il cervello. In ogni prodotto che faccio cerco di non far notare che dietro non c’è un grosso budget.

Se casualmente ti ritrovassi in ascensore con Martin Scorsese, o con Giuseppe Tornatore, o con Quentin Tarantino, tu e uno di questi Maestri, da soli, e avessi un minuto di tempo per sfruttare quell’occasione incredibile e imprevedibile, presentarti e convincerlo a coinvolgerti in una delle loro produzioni, cosa gli diresti ?

Non farei nulla di particolare. Gli direi che amo questo lavoro e che vorrei una chance per dimostrare quello che valgo. Penso che quando hai davanti una persona che ama davvero quello che fa, lo senti e non ci sia bisogno di parole o implori. Un po’ come nell’amore. Quando c’è, non servono spiegazioni. Infatti mi è capitato di avere a che fare con persone del mondo dello spettacolo. Persone che normalmente si fanno retribuire il loro lavoro (e parliamo di migliaia e migliaia di euro) che mi hanno donato la loro arte gratuitamente ed il loro tempo, solo perché piacevano le mie idee o perché vedevano qualcosa in me. Fortuna? Faccia da culo? Pena?

Mi piace pensare di avere talento.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno che mettiamo in quello che facciamo?

Se punto un obiettivo non mi fermo finché non l’ho raggiunto. Posso metterci del tempo, ma come un martello continuo a battere il chiodo finché non riesco per lo meno a toccarlo. Sono molto testarda. Anche se cado, cerco di rialzarmi e rimettermi in carreggiata e cerco di non pensare ai problemi ma alle soluzioni. Specialmente in set a basso budget, se sai risolvere un problema, o più, in poco tempo trovando il modo di raggiungere lo stesso risultato con strategie diverse, consente non solo di non perdere tempo ma anche di non dover stravolgere il progetto.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Psicologicamente parlando penso che la bellezza sia data da ciò che la società definisce tale. Mi spiego meglio: se viviamo in una società in cui A+B = C ,dove C sta per bellezza, allora tutto ciò che contiene un po’ di A o un po’ di B , si avvicina all’idea di bello. In questo contesto la singola idea dell’individuo non conta ma conta il risultato della maggioranza. Motivo per cui molti film ritenuti belli dalla massa se visti dal singolo individuo possono non piacere. Ma come insegna questa industria, è la massa che conta. Per me la bellezza è tutto ciò che non necessita di spiegazione. Ti arriva dentro e basta. Posso trovare un esempio in alcuni quadri: quelli definiti” famosi”, se dietro non c’è la spiegazione di un esperto, tendo a non capirli e quindi per me risultano brutti. O meglio, apprezzo la capacità del pittore ma non mi trasmettono nulla. Viceversa, un quadro od un'opera con meno rilevanza può colpirmi di più. Stessa cosa per i film. Vedo lungometraggi o cortometraggi vincere festival e mi chiedo: come è possibile? Per la massa non capirò nulla, e può anche essere, ma alla fine quello che conta è stare bene con sé stessi.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte?

Dico che la capisco benissimo. Io vivo più nel mio mondo che in questo. Motivo per cui ho deciso di non prendere la patente. Sono così immersa nei miei pensieri che se fossi alla guida di un'auto mi distrarrei mille volte. I sentimenti per me sono la base di tutto. Spesso infatti le mie idee provengono dai miei sogni. Per fortuna poi li ricordo tutti e al mattino li scrivo. Spesso dico che in realtà è il mio subconscio che è creativo e che se dovessi fare affidamento solo al mio conscio, probabilmente mi ritroverei sempre con un foglio bianco davanti. Attingo sempre dalla mia vita e dalle mie esperienze e delusioni che trasformo di volta in volta in base al progetto. Ma mi accorgo che in ognuno di essi c’è una parte di me. Bella o brutta, ma c’è. Non è egocentrismo (sicuramente un po’ si ,come ogni regista) ma è l’unico modo in cui riesco a comunicare e vivere la mia realtà.

Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne pensi in proposito. Secondo te a cosa serve l’Arte della recitazione, del teatro, del cinema, ma anche della narrazione, del raccontare, dello scrivere?

Penso che lo scopo della vita sia autocapirsi ed ognuno lo faccia a modo suo. Capendo sé stessi si può capire gli altri. Abbiamo più sfaccettature dentro di noi e quasi mai veniamo a conoscenza di tutte. Ogni nostra azione porta con sé una parte di noi. Sta a noi decidere se esplorarla o no. La modalità è indifferente. Chi cantando, chi viaggiando, chi procreando e chi facendo film.

«… facendo dei film non mi propongo altro che di seguire questa naturale inclinazione, raccontare cioè col cinema delle storie, storie che mi sono congeniali e che mi piace raccontare in un’inestricabile mescolanza di sincerità e di invenzione, di voglia di stupire, di confessarsi, di assolversi, di desiderio spudorato di piacere, di interesse, di far la morale, il profeta, il testimone, il clown… di far ridere e commuovere.» (Federico Fellini, “Fare un film”, Einaudi ed., Torino, 1980, p.48). Cosa ne pensi di queste parola di Fellini? Cos’è per te fare un film, partecipare ad una produzione cinematografica? Cosa arriva allo spettatore secondo te? Dicci il tuo pensiero a partire dalle parole di Federico Fellini…

Leggendo le parole di Fellini mi rendo conto che chi ha deciso di fare questo lavoro ha lo stesso modus operandi per arrivare ad un unico scopo: vivere più vite in una. Nella vita normale siamo una persona, ed è la persona che abbiamo deciso di essere come riferimento per le altre che abbiamo dentro di noi. Se nella vita vivessimo assecondando ogni nostra personalità o curiosità, verremmo definiti pazzi. Con il cinema, la scrittura, recitazione, possiamo essere di volta in volta un personaggio diverso: un pescatore solitario, un assassino, un senza tetto, una moglie tradita, una moglie felice, una persona anziana, un bambino, un dittatore. Possiamo essere tutto. Pensare come penserebbe ciascuno di loro per quel momento che concerne la creazione del film o libro. E senza finire in manicomio od in carcere!

«Il cinema è un rito a cui ormai grande masse si sottomettono supinamente: quindi chi fa del cinema di consumo determina il senso della mentalità e del costume, dell’atmosfera psichica di intere popolazioni che quotidianamente sono visitate da valanghe di immagini sciorinate sugli schermi.» (Federico Fellini, “Fare un film”, Einaudi ed., Torino, 1980, p.55). È davvero come dice Federico Fellini? Cosa ne pensi in proposito del senso del cinema contemporaneo da addetta ai lavori quale sei e da spettatrice quando guardi un film?

Ha assolutamente ragione, purtroppo. Lo vediamo con i cinepanettoni. Mi prendo la responsabilità di dire che sono fatti male ,mal recitati, storie banali, fotografia inesistente. Per lo più composti da parolacce, tette e culi. Eppure la gente (quella che io chiamo italiano medio) va a vederli. Forse è il nostro modo di staccare il cervello e sentirci migliori di quello che siamo, almeno per la durata del film? Non lo so!

«L’essenza della forma drammatica è lasciare che l’idea arrivi allo spettatore senza essere formulata con troppa nettezza. Una cosa detta in modo diretto non ha la stessa forza di ciò che le persone sono costrette a scoprire da sole.» (tratto da “Il più grande azzardo di Kubrick: Barry Lyndon”, di Marta Duffy e Richard Schickel, pubblicato su Time, 15 dicembre 1975). Cosa ne pensi di queste parole di Kubrick? Come deve essere costruita una rappresentazione teatrale o cinematografica perché arrivi allo spettatore in maniere diretta e dirompente come vorrebbe Kubrick?

Assolutamente. Il non detto fa più breccia del detto. Proprio in questo periodo sto lavorando ad un progetto, che mi auguro prenda vita, che si basa su questo concetto. Ossia non esplicitare un messaggio e lasciare al pubblico un autoanalisi. Inconsciamente il messaggio arriva sempre. Sta ad ognuno di noi se analizzarlo e migliorarci o se lasciarlo nel dimenticatoio. Ma prima o poi quel messaggio riaffiora, senza permesso, quando meno te l’aspetti. E se sei stato abbastanza bravo da crearti una personalità forte e pura allora non ti farà male. Altrimenti sarà come un boomerang.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Le storie sono tante, milioni di milioni. Perché una “prevalga” sull’altra l’unica cosa che conta è il come viene raccontata. Altrimenti tutti potrebbero scrivere, infatti così è. Ma scrivere bene è un’altra cosa.

A proposito dell'arte della fotografia Alberto Moravia sosteneva che: «Il fotografo non guarda la realtà, ma la fotografa. Poi va in camera oscura, sviluppa il rullino e solo allora la guarda.» A quel punto la realtà non c'è più, ma c'è la rappresentazione della realtà che ne ha fatto il fotografo. Se è vero quello che disse Moravia, è come se il fotografo alterasse la realtà creandone una tutta sua, una realtà parallela, virtuale per certi versi, quella che sa creare con la sua arte. Qual è il tuo pensiero in proposito? Cos'è la fotografia per te?

Esatto. E non solo nella fotografia. Ma anche nel cinema, telegiornali, libri. Ogni volta che posi la telecamera a terra per riprendere qualcosa hai già alterato la realtà perché in base a dove la posizioni, si comunica un messaggio. Stessa cosa nei libri. Quando una persona scrive “della realtà” lo fa con un suo linguaggio, un suo background. Anche inconsciamente, non può fare a meno di metterci del suo. Quindi per quanto possa sembrargli di essere sincero e oggettivo, così non è perché l’oggettività non esiste. Conosciamo solo ciò che vedono i nostri occhi. Quante volte le persone non vedono ciò che è evidente? Per questo i film, i libri, la politica, tutto ciò che fa parte di questo mondo non è univoca ma ognuno ha il suo parere. Nel momento in cui decido di fare una foto ho già eliminato tutto ciò che, a me, non serve . E questa non è realtà. È la mia idea di realtà. Oggi potremmo prendere come riferimento TikTok o Instagram: quanto sembra bella la vita degli altri? Ma è solo ciò che hanno deciso di mostrarti. Il problema è che ciò porta la gente a cercare di non essere da meno, ha mostrare una vita che non ha. E spesso conduce alla depressione, specialmente nei giovani (oh mamma, ora si che mi sento vecchia con questa frase).


«Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro. Per cui c’è questa tendenza… non si capisce… si può capire il motivo perché probabilmente vogliono un po’ sentirsi tutti artisti, pittori, non si sa perché… L’arte visiva è vivente… l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere. Un’altra cosa nell’arte visiva caratteristica è che non si rivolge in particolare a nessuno spettatore, non c’è una gerarchia di spettatori, ma sono tutti alla stessa distanza dall’opera. Non ci sono gli esperti. Un giudizio di un bambino vale quello di un cosiddetto esperto, per l’artista. Non c’è nessun particolare… Anche perché non esistono gli esperti d’arte. Gli unici esperti, veramente, sono gli artisti. Gli altri percepiscono l’arte, ma non possono essere degli esperti altrimenti la farebbero, la saprebbero fare.»
(Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Parole di Gino de Dominicis, grandissimo genio artistico italiano del secolo scorso. Cosa ne pensi in proposito? Qual è il tuo pensiero a proposito del valore delle arti visive ?

Penso che ognuno ha il suo modo di vedere le cose e quindi associa ad esso un determinato valore o meno. È vero che le arti visive, ma in realtà tutta l’arte, non andrebbero spiegate in quanto penso che il messaggio di fondo, se c’è, arriva. Il problema, se così lo si vuole chiamare, è che avendo ogni persona una propria percezione di quello che vede, non è detto che gli arrivi ciò che l’artista voleva intendere. E quindi c’è “bisogno” di qualcuno che invece l’ha compreso (che solitamente si traduce in un critico d’arte) e che lo spieghi anche a chi, quel messaggio, non è arrivato. È un po’ come quando si va da qualche parte e a fine giornata, ricordandola, parli con emozione di come l’hai vissuta. E poi ascoltando il racconto di altri amici che erano con te noti che le descrizioni divergono. Magari senti qualcuno dire che è stata noiosa, stancante. Eppure la giornata era la stessa. È il bagaglio che ci portiamo dietro, ciò che siamo, che stabilisce, probabilmente inconsciamente, cosa ci emoziona e cosa no infatti, a te “quella giornata” ha emozionato, ad altri no. Accade così per tutto, a parere mio, quindi anche per il cinema e l’arte in generale. 

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

I miei genitori, perché nonostante abbiano sempre avuto un po’ da ridire sulla scelta del mio percorso, scelta che non li rende tranquilli in quanto non c’è mai uno stipendio fisso a fine mese, consentendomi di stare il più possibile da loro e offrendomi ogni confort, io sto portando avanti questo mio bisogno di fare arte, come regista. Per me è sempre stato l’unico lavoro che volessi fare, non ho piani B.

Poi ringrazio tantissimo Andrea Bertero, caro amico e collega, senza la cui attrezzatura cinematografica e appoggio, anche se spesso vorrebbe strozzarmi per le richieste di movimenti di camera difficili che richiedo sul set e per cui servirebbero almeno 10 persone. Anch’egli è un regista poliedrico. Infatti, nei suoi lavori si occupa di regia, fa l’operatore, scrive le musiche e montaggio. Un suo lavoro documentaristico è stato preso da Focus ed andato in onda per due anni. Anche lì, erano solo in due. Il fatto di essere entrambi capaci di svolgere più mansioni ci consente di abbattere i costi di produzione che, al momento, non potremmo affrontare.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?

Al momento sono sul set di un film girato a Genova, diretto da Fabio Giovinazzo. A giugno invece sarò sul set di un progetto ,come aiuto regia, diretto da Alberto Bambini, (conosciuto nel mondo discografico come Mabel). Ha estrapolato la scena di un suo futuro film, per il quale sta cercando gli ultimi finanziamenti, e ne realizzerà un teaser che verrà fatto vedere ad alcuni finanziatori americani del settore, appunto per la realizzazione del film.

Nel frattempo continuo con i mie Cortometraggi. Il mio ultimo lavoro si intitola “A Little Story”, una storia che parla di quanto spesso non ci rendiamo conto delle cose che abbiamo e che diamo per scontate. I protagonisti sono due bambini, interpretati da Antonio Costa e Sergio Sardini, appartenenti alla scuola di recitazione di Genova, ARMITOteatro. Sono molto contenta del lavoro svolto con loro. Io non sopporto quando nei film i bambini parlano come adulti, smetto di credere a quello che sto vedendo che è il motivo, invece, per cui sto guardando il film. Così, quando lavoro con i bambini, chiedo sempre se è qualcosa che direbbero o se hanno consigli.

Infine, sto terminando la sceneggiatura per il mio primo film. Sono in contatto con una produzione inglese e mi auguro possa trovare un finanziamento questo mio grosso progetto.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?

Vorrei dire a coloro che hanno un sogno di non mollare mai. Il sogno può rallentare o apparentemente fermarsi. Ma se qualcosa vi sta a cuore, tenete il vostro sogno vivo.


Giulia Savi

https://www.facebook.com/giulia.savi1

https://www.youtube.com/channel/UCWH43OHLpQ9H2Cm9CcSrrKw

Link di alcuni lavori di Giulia Savi:

https://youtu.be/9M2dyeGCWeE

https://youtu.be/P5T-E3xd3_k

https://youtu.be/Cr6Xmr-H_0M

https://youtu.be/u9iywhhD_JY

https://youtu.be/-qYH08na1ww

https://youtu.be/ZbatMu_C4Cs

https://youtu.be/JBcerwUY3S0

 

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 

Fattitaliani

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