Oper Köln, Fattitaliani intervista il Sovrintendente Hein Mulders "innamorato da sempre dell'Italia"

Fattitaliani

Sovrintendente dell'Opera di Colonia dalla stagione attuale, l'olandese Hein Mulders conosce, stima e ama l'Italia tanto da averci studiato e parlarne fluentemente la lingua. In cartellone non possono mancare i nostri compositori fra cui Giuseppe Verdi, la cui Luisa Miller andrà in scena a partire da sabato 4 marzo. Fattitaliani lo ha raggiunto al telefono e parlato con lui fra le altre cose dell'incarico che ricopre e del suo rapporto con l'opera e il Bel Paese. L'intervista.

Signor Mulders, Lei è alla guida del Teatro dell'Opera di Colonia da questa stagione: possibile già delineare un bilancio di questo primo semestre?
Certamente. La stagione è partita benissimo: contraddistinta da quattro nuove produzioni (con la grande apertura de Les Troyens di Hector Berlioz) e tre riprese, sta ottenendo un grandissimo riscontro di pubblico. Il contenuto delle proposte e l'alto livello della direzione d'orchestra hanno sortito un bell'effetto ottenendo un grande successo. Siamo veramente contenti.
Prima di Colonia, Essen: in queste due città della Germania come cambia l'approccio del pubblico all'opera?
Il pubblico a Colonia è proprio aperto e differente nella sua costituzione, nel suo modo di avvicinarsi agli spettacoli. Nonostante il pubblico continui ad essere composto nella maggioranza da gente matura, vedo anche giovani e famiglie che assistono alle rappresentazioni: è un pubblico mediamente più misto. Colonia è comunque una grande città che conta più di un milione di abitanti dalla variegata diversità culturale: con il suo famoso Carnevale e il suo carattere cosmopolita, è abituata ad accogliere nuove cose nella programmazione.
Cambiare teatro e squadra per Lei è più sinonimo di ansia o sfida? 
Personalmente vengo da un Paese dove prendi le persone che normalmente lavorano sul posto e fai dei cambiamenti durante il lavoro: è importante circondarsi della squadra giusta per conseguire risultati positivi. Preferisco mantenere molte persone che sono del posto, anche se ovviamente per la cerchia più ristretta dei collaboratori a livello drammaturgico è giusto effettuare delle scelte che ricalchino la tua idea e portino avanti le tue convinzioni. Le anticipo, anzi, che a livello di management, presto dall'Opera di Magonza ci raggiungerà l'italiano Gabriele Donà per rinforzare la direzione artistica: un altro elemento in più che coadiuverà la direzione dell'Opera a perseguire i propri obiettivi. 
Un Sovrintendente si occupa di tutto: dalla programmazione ai casting, dal marketing all'organizzazione generale: personalmente, c'è un aspetto di cui si occuperebbe molto più volentieri e a lungo se ne avesse la possibilità
Appunto per questo è importante che il numero due, la mano destra nella direzione artistica, sia in simbiosi con il Sovrintendente che ricopre anche il ruolo di Direttore Artistico e che possa sostituirlo nel fare certe scelte. La gestione complessiva dell'Opera, dal marketing alla stampa fino al management totale dal personale, rientra proprio nel mio profilo.
Dirigere un teatro come fa Lei significa da un lato farne espressione autentica del territorio dove lo stesso teatro si situa e contemporaneamente proiettarlo verso l'esterno e in termini di opera in senso internazionale. Come sta lavorando a Colonia in questo senso? 
Sono due aspetti della stessa questione, due dimensioni complementari. Noi per esempio, ad inizio stagione abbiamo riproposto una serata dedicata a Der Zwerg (Il Nano) di Alexander Zemlinsky che era stato proposto in prima mondiale 100 anni fa a Colonia e anche Petrouchka di Stravinsky con la compagnia Ballet of Difference e Richard Siegal per la coreografia, la compagnia di Colonia in occasione dell'anniversario: il cast era di respiro internazionale proprio perché ci teniamo a combinare le due dimensioni e portarle a un alto livello. Una vera sfida avere sempre l'attenzione alla produzione locale con un livello internazionale.
Sempre in riferimento ai suoi molteplici incarichi da Sovrintendente, Le capita di godersi appieno un'opera senza tutte le preoccupazioni che l'accompagnano?
A mano a mano cerco di riuscirci, anche se un aspetto non esclude l'altro. In questo periodo stiamo provando Luisa Miller e avverto delle emozioni difficili da spiegare: ci sono dei momenti meravigliosi che i cantanti riescono a trasmetterti, così come l'Orchestra con i suoi musicisti. Lavoriamo giorno e notte per l'ottima riuscita e per fare questo mestiere è necessario avere il fuoco dentro, in modo da mirare sempre al meglio, cercare di migliorare lì dove bisogna. D'altronde, noi creiamo l'arte e se ci sono dei momenti che a volte funzionano meno, si interviene per poi emozionarsi alla buona riuscita dell'insieme. Sono davvero felice quando vedo un progetto che si sviluppa e si completa nel tempo.
Qual è il suo rapporto con l'Italia?
Ne sono innamorato da sempre: ne amo la lingua, la cultura, la musica, il cibo, l'arte. La sua storia, le sue correnti storiche come la civiltà romana, il Rinascimento e il Barocco lo rendono un Paese meraviglioso che amo visitare spesso. Amo l'approccio solare alla vita, lo stile e il modo di esprimersi tipico degli italiani. Mi piace meno al momento l'aria politica che attraversa l'Italia, come accade comunque in altre parti d'Europa. 
C'è un personaggio, un'aria, un passaggio musicale in cui si ritrova particolarmente?
Impossibile rispondere a questa domanda: ce ne sono troppe. Però, facendo riferimento alla nostra prossima opera "Luisa Miller", la ritengo dello stesso livello della famosa trilogia verdiana. Dovrebbe essere un quartetto, perché anch'essa rispecchia un Verdi maturo e completo. Mi viene in mente, ad esempio, verso la fine, il duetto fra Rodolfo e Luisa in procinto di morire e coscienti della fine, eppure pronti ad andarsene insieme: e questo proprio motivo riassume l’opera totale in una frase musicale geniale e splendida che dà un’emozione indescrivibile.
Qual è stata la sua prima opera in assoluto come spettatore?
Forse è un po' sacrilego dirlo, ma è stato il cinema a fornirmi il primo approccio al mondo dell'opera grazie al Don Giovanni di Joseph Losey con un cast di attore di altri tempi, girato a Venezia e Vicenza. Il primo spettacolo a teatro, invece, è stato "Arabella" e poi "Il Flauto Magico": l'esperienza dal vivo, il canto, la musica e l'orchestra, l'acustica hanno fatto il resto e mi hanno fatto innamorare perdutamente del teatro lirico come forma parte e d'allora volevo assolutamente farne parte anche se non è lo specifico della mia formazione. Io ho studiato Storia dell'arte e anche pianoforte al Conservatorio. Le mie prime esperienze mi hanno visto lavorare in un'agenzia per le voci, a gestire un'orchestra composta da giovani musicisti. Ma il sogno è diventato realtà, quando inviai la mia candidatura all'Opera di Anversa-Gand e fui scelto, a conferma del fatto che quel fuoco sacro era in me ed era stato riconosciuto da chi mi aveva selezionato per il posto di Direttore artistico. Dopo il Belgio ho lavorato ad Amsterdam, poi Essen ed ora Colonia..
L'opera negli anni è cambiata: agli artisti si chiede di essere performer completi. Che ne pensa? è una formula che funziona e attira più pubblico?
Ci sono, come in ogni cosa, pro e contro. Già Maria Callas era un esempio di voce e ottima presenza scenica. È legittimo provare delle cose nuove: l'opera non è un concerto e ogni elemento di innovazione contribuisce a renderla una forma di spettacolo sempre più completa che va vissuta sulla scena. Essenziale è la formazione del cast: se per "La Bohème" si cercano artisti giovani, non è detto che un 45 enne non possa farne parte se con la sua voce ed esperienza nonché con il suo aspetto fisico risulta credibile nel ruolo. Per me, esiste una maniera buona e una meno buona di fare arte. Quando tutto viene fatto a dovere, ogni cosa studiata al dettaglio, sulla scena il risultato è palese, ben visibile: quello che si vede sulla scena è il risultato di un lungo lavoro, di una squadra che ha qualcosa da dire. Ogni regista fa le sue scelte che possono essere moderne e più o meno convincenti, ma che dietro portano sempre una grande preparazione, sinonimo di rispetto per il pubblico che viene ad applaudire. Giovanni Zambito.

Foto: © Felix Broede

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