Il Giardino dei Ciliegi è l’ultimo lavoro di un Cechov malato e vicino alla morte; eppure, mai così attaccato alla vita, intesa come respiro, anima del mondo e speranza nel futuro.
Nella sua ultima commedia – perché così egli la definì e la intese
– egli esprime ancora più lucidamente la sua riflessione sulla goffa incapacità
di vivere degli esseri umani. Il loro trabismo esistenziale sulla propria
anima.
Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo lieti, da bambini, tornano
nell’età matura nel luogo simbolo della loro felicità appassita. La stanza
chiamata ancora “dei bambini”. Da cui si intravede il loro giardino dei
ciliegi, un tempo motivo di vanto e orgoglio in tutto il distretto.
Ora però i tempi sono cambiati. I ciliegi non producono più frutti
commerciabili, sono solo l’ombra di un passato che non tornerà più. Così le
speranze, la gioia, l’amore, tutto ciò che era legato simbolicamente al
giardino è andato perduto. Il declino economico accende brutalmente il declino
della loro esistenza a cui non sanno (o non vogliono) porre rimedio.
Ljuba, donna di forti sentimenti e capace di amore, ormai ha perduto il marito e l’ultimo amante. Da anni è segnata dalla perdita del suo amato figlio piccolo. Eppure, sopraffatta dai debiti, non si rassegna ad abbandonare il sogno: la nostalgia del suo luminoso passato dove risiede illusoriamente la sua armonia. Bimba illusa nel corpo di una donna matura. Che piange e ride allo stesso tempo.
Così il fratello
Gaev, adulto mai cresciuto da una condizione puerile fatta di giochi e lazzi spenti.
Chiamato per una volta alla sua responsabilità di uomo di casa nella vendita
all’asta del giardino, non riesce a combinare nulla. Debole e ingenuo.
Struggente nel Lopachin, invece, nuovo arricchito, figlio del contadino,
riuscirà a imporre la propria persona non solo con l’abilità degli affari, ma
soprattutto con la lucidità inesorabile di chi è consapevole del proprio ruolo.
Garbato ma ambizioso, è il contraltare perfetto dei due proprietari. Rampante e
pragmatico. Vincente. Eppure, al contrario di Ljuba e Gaev, totalmente incapace
di amare, di gestire la propria sensibilità. Tutt’altro che arido, ma ancora
peggio: inabile ai sentimenti.
Resta eppure una ultima speranza. I giovani che popolano la storia
sapranno forse riscattare le incrostazioni dell’anima di chi li ha preceduti.
Varja, figlia maggiore di Ljuba, fioca luce di armonia in una casa
prossima al buio, delusa dall’insipienza amorosa di Lopachin, andrà a rifarsi
una vita altrove.
Anja, la piccola di casa, dolce ragazza in fiore, seguirà Trofimov,
eterno studente scombinato, ma insieme potranno guardare al futuro!
Il barlume di salvezza risiede nel finale, nei due ragazzi che si
amano e che vedono nella distruzione del giardino venduto, non la fine, non la
deriva, ma l’inizio di una nuova vita.
Nella riduzione della commedia si eliminano i personaggi minori
portando la compagnia ai sei elementi principali: LJUBOV’ ANDREEVNA RANEVSKAJA,
proprietaria terriera; ANJA, sua figlia, diciassette anni; VARJA, sua figlia
adottiva, ventiquattro anni; LEONID ANDREEVIC GAEV, fratello della Ranevskaja, ERMOLAJ
ALEKSEEVIC LOPACHIN, mercante; PETR SERGEEVIC TROFIMOV, studente.
I dialoghi saranno rispettosi del testo originale, rispettando le
sfumature poetiche dell’autore, ma tradotti in modo efficace e contemporaneo
suo fallimento
definitivo.
NOTE DI REGIA
Un grande spazio
chiaro, con una forte presenza illuminotecnica contemporanea, con pochi
elementi scenici richiamanti la “stanza dei bambini”, oggetti volutamente
sproporzionati rispetto alla statura dei personaggi, come se fossero ancora
piccoli rispetto all’ambiente, mai cresciuti: un tavolo colorato, una sediolina
dell’infanzia, una grande bambola…
E soprattutto: il
grande armadio centrale sullo sfondo a cui Gaev, come da testo, canta le lodi
come a un monumento. Testimone del tempo felice che fu. Imponente e simbolico
come un dolmen sbiadito. Sempre chiuso per tutto il tempo dell’azione scenica.
Lo aprirà solo sul finale Lopachin, nuovo proprietario, con le chiavi che gli
avrà lanciato Varja, scontrosa e ribelle. All’apertura l’armadio vomiterà il
suo contenuto che travolgerà il nuovo proprietario.
Rosario
Lisma
SALA UMBERTO
Via della Mercede, 50, 00187 Roma
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da mart a sab ore 21, dom
ore 17
Foto di Laila Pozzo