Alessio Vagaggini e il nuovo romanzo "La Receptionist - 26 ore per danzare nel tempo". L'intervista

Fattitaliani

 

di Francesca Ghezzani

Dopo il successo del romanzo d’esordio La patria di Itzurza, lo scrittore aretino Alessio Vagaggini è tornato in libreria con La Receptionist - 26 ore per danzare nel tempo, pubblicato sempre con Chance Edizioni, per la collana ScritturaSpontanea. Nelle sue pagine specchi di anime, i cui volti risultano familiari, tracciano il cammino di una giovane donna.

Alessio, chi si cela dietro la figura della receptionist notturna a cui il romanzo deve il titolo?

“La Receptionist” è Ana de Saint Juic, giovane ventottenne di Alicante. Ana conduce un’esistenza apparentemente normale: un lavoro che non le piace ma che la fa rimanere “a galla”, relazioni sentimentali piatte, vive ancora con i genitori nella casa dove è nata.

La giovane lavora appunto come Receptionist in un hotel notturno di Alicante, destreggiandosi fra una superiore bipolare che la tiene sulle spine, le mille lingue che deve parlare con gli ospiti cosmopoliti della struttura, i turni di lavoro notturni che le tolgono (letteralmente!) il sonno. La sua esistenza scorre su questi binari regolari, senza grandi scossoni, finché un giorno, durante un turno di lavoro notturno alla reception, la sua vita cambia irrimediabilmente…

26 ore per danzare nel tempo: perché non 24 o, almeno, suoi multipli e sottomultipli a cui siamo maggiormente abituati per misurare lo scorrere dei giorni?

Non ho mai amato le cose troppo rigide e schematiche, e la scelta dell’orario del romanzo lo denota (sorride ndr.). Volevo un orario che rompesse un po’ gli schemi, che fosse un po’ più del tutto. 26 mi dà un’idea di stabilità, di sicurezza, ma anche di volare, andare oltre le proprie possibilità. 26 è come se non fossimo riusciti a completare tutto quello che vogliamo nelle canoniche 24 ore di una giornata e ne prendessimo a prestito un paio in più per completarci, incrementando quell’idea di flusso, movimento, connessione all’universo nel quale le unità di misura perdono di significato ed è meglio abbandonarsi alle percezioni sensoriali. Ambientare le vicende in un lasso di tempo così breve è stata una sfida anche verso me stesso: sognavo da tempo di strutturare un romanzo raccolto in poche ore, nelle quali far emergere con vigore vicende attuali, reali, quasi da condurre il lettore dentro il romanzo e renderlo partecipe dello stesso.

Quali altre figure incontreremo nelle tue pagine?

I tre personaggi principali sono legati ai viaggi spazio-temporali nei quali Ana verrà catapultata: la catalana Montse, la turca Cemre e l’ansaluda Clara. Queste diverse figure femminili sono poi in stretta relazione con le città nelle quali si palesano. Uno degli elementi che ho più a cuore è infatti la sovrapposizione fra i caratteri delle protagoniste e le forme delle varie città, in una danza nella quale le architetture delle tre sembrano antropomorfizzarsi. Passiamo infatti dall’ordine e la linearità di New York, ben riflessa nel carattere deciso e superbo di Montse, all’essere centro di un mondo cosmopolita di Istanbul, che ben si sposa con il carattere malinconico ed indeciso di Cemre, fino ai colori accesi, al caldo rovente di Siviglia, specchio perfetto dell’anima passionale e indomita di Clara.

Di fianco ad esse troveremo anche un uomo, Santiago, giovane in rampa di lancio che deve fare i conti con un’interiorità dai contorni non sempre definiti, il cui incontro-scontro con Ana gli servirà per fare chiarezza sulla sua esistenza.


Quali punti in comune troviamo con il tuo primo romanzo?

Fuoco centrale delle vicende sono sempre i personaggi femminili: come ne La Patria di Itzurza anche stavolta sul palcoscenico danzano quattro donne, di cui Ana è il centro di gravità attorno al quale si articolano le vite di Montse, Cemre e Clara. I personaggi femminili possiedono quel quid in più nel mio modo di narrare le vicende: storie di interiorità, ma anche di riscoperta di sé stesse fuori dai cliché che la società vorrebbe affibbiare loro, in breve, di presa di coscienza del loro valore.

Anche ne La Receptionist le vicende si svolgono prevalentemente in Spagna, essendo Alicante e la sua costa invitante e sorniona il luogo dove tutto prende vita. Le vicende poi, come per magia, si allungheranno in varie città del mondo in base ai diversi “viaggi” che vivremo, da New York, passando per Istanbul fino a Siviglia.

Viceversa, la cosa che più distingue La Receptionist dai miei lavori precedenti è il fuoco marcato sulle interiorità dei personaggi. Il contesto storico ha un suo peso, ma è più descrittivo che non realmente impattante le vicende dei singoli (all’opposto della struttura de La Patria di Itzurza, dove la lotta fra ETA e lo Stato Spagnolo permea tutto il romanzo). Siamo di fronte a personaggi che non hanno valori e convinzioni viscerali ma piuttosto individui che, per scoprire sé stessi, devono gettare le maschere loro attribuite e liberare la loro vera natura per essere felici.

In chiusura, lo hai definito un romanzo ‘esistenzialista’. Perché?

Il mio modo di scrivere (ma in realtà anche di vivere) si muove su binari esistenzialisti. Cerco di riprodurre nelle mie opere l’impegno del singolo nel cercare la sua dimensione, in un percorso che può completarsi solo scavando dentro sé stessi e non cercando fuori. La nostra società è schiacciata da una serie di immagini stereotipate (di bellezza, successo, potere) che sviano di continuo lo sguardo da ciò che ha veramente importanza, ovvero l’individuo nella sua unicità, nel suo essere unico al mondo, nel dare senso al suo esistere tramite il proprio agire slegato da condizionamenti più grandi di lui.

Ana vive questa sua esistenza tranquilla, ha un lavoro, vive in casa con la famiglia, non ha particolari grattacapi, economici o sentimentali. Ciò che le manca è tuttavia la cosa più importante: “il senso”, intenso come la ricerca del significato dei propri gesti. Quel senso appunto che può essere trovato solo dentro di noi, dopo aver attraversato le varie fasi della vita ed aver capito chi siamo e la direzione che vogliamo intraprendere.

Questo senso esistenziale ha un potere “endemico”: tutti i personaggi che incontrano Ana e la vedono “risvegliata” saranno infatti colpiti a loro volta dalla sua luce, dal suo essere nuova tramite questa consapevolezza, e loro stessi seguiranno questo cammino di presa di coscienza di sé.

 

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