Proscenio, Francesco Zaccaro a Fattitaliani: le cose che scrivo nascono dalle persone che scruto “per strada”. L'intervista

Fattitaliani

 



Sul palco di Fortezza Est da stasera fino al 5 novembre “Sembra Amleto”, monologo di e con Francesco Zaccaro diretto da Ivano Picciallo: in scena un'intensa riscrittura del capolavoro Shakespeariano che mette in luce nuove fragilità e nuovi dilemmi. Fattitaliani ha intervistato l'autore-interprete per "Proscenio".

In che cosa “Sembra Amleto” si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?

In tanto, e in nulla: è il mio primo testo. Ma se in precedenza ne avessi scritti altri, questo sarebbe risultato molto diverso. La sfida di Sembra Amleto vive molto nel nostro recente passato, e si fa urgente in questo tempo sotto tanti punti di vista, anche nella prova di andare in scena da solo. Io che, fino a qualche tempo fa, per concezione personale, pensavo che la scena non potesse che aprirsi con almeno due attori in rapporto. Viveva in me il pregiudizio che presentarsi in scena in assolo fosse un regalo al proprio ego, e non mi piaceva. Poi, di necessità si fa virtù, e questo pregiudizio pian piano si è sciolto, con la convinzione che anche una sola unità in scena può aprire ad una moltitudine di rapporti. Anche se mi piace precisare che Sembra Amleto è un monologo, ma non è un monologo. Buon presupposto per un Amleto.

Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...

Bella domanda, a cui ancora non so rispondere precisamente. Intanto mi definisco un attore irregolare, un non in regola, in quanto non ho un diploma di formazione in nessuna nota scuola o accademia, ma la mia formazione - ora ne sto capendo la fortuna - è avvenuta lavorando “a bottega” presso la compagnia Cajka di Francesco Origo, regista, attore e autore. Checco, per lunghi anni alla ribalta con il Teatro Stabile di Genova e con la compagnia Gran Teatro di Carlo Cecchi, mi ha letteralmente ribaltato.

Poi, a dirla romantica sugli approcci, le dico questo. Mio papà aveva una forte passione per Totò e per quella trafila di maschere pure: Nino Taranto, Macario, Peppino ed Eduardo de Filippo, Tina Pica, Dolores Palumbo e via discorrendo, insomma. Le raccolte di videocassette non erano quelle della disney, di cui, ahimè, ho un vuoto completo, ma degli artisti appena citati. Mi divertivo a vedere quelle videocassette e, non esagero, puntualmente dopo il tg non vedevo l'ora che papà mettesse uno di quei film, fino a che non sono arrivato a chiederlo io. Uscivo letteralmente pazzo per “il Monaco di Monza”. È a mio papà Mario e a Checco, che non ci sono più, che dedico Sembra Amleto.
Ora invece ti dico quella trash, di motivazione: sognavo di fare il calciatore e giocare allo stadio Olimpico. Bene, capito che non sarebbe accaduto, mi son detto, quale altro modo per giocarci? Faccio l'attore, così da avere possibilità di giocare “la partita del cuore” con la squadra attori. Ora questa intenzione è totalmente abbandonata. Due crociati rotti e non ci penso più.
Quando si scrive un testo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?

Sicuramente sì. Per me però, per esempio, più che dagli attori, le cose che scrivo nascono dalle persone che mi piace scrutare attentamente “per strada”, quelle che mi danno modo di sventrare e far correre la mia immaginazione. Loro sono il mio stimolo reale, loro i traghettatori della mia urgenza.

Per “Sembra Amleto” aveva subito pensato a sé stesso nel ruolo che interpreta?

Assolutamente sì, sono attore prima che autore, non potevo che pensarlo su me stesso. Ho detto che il pregiudizio dell'ego l'ho abbandonato, no?

È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?

Ivano Picciallo, persona che, tecnicamente, dico essere il regista dello spettacolo, e degli spettacoli della nostra compagnia Malmand Teatro; nonché compagno di scena, attore, e bla bla bla...  ma principalmente è, nella vita, il mio carburatore. Sicuramente devo tanto a lui sulle motivazioni che mi hanno spinto a trascendere la scrittura “da tenere nel cassetto”, citando il dialogo tra Alceste e Oronte del Misantropo di Molierè. Ergo, se il risultato sarà: “meglio che te lo tenevi nel cassetto sto testo, caro Zaccaro”, a quel punto prendetevela con Picciallo.
Poi cito Michele Sinisi. Lavorando insieme mi ha trasferito il coraggio e la ricerca del “fatto”, urgente, così com'è, senza orpelli, fino a prendere coscienza sufficiente per mettermi alla prova personalmente con un testo classico. L'Amleto di Sinisi, per me, di cuore, è tanta roba. Diciamo che a Ivano e Michele devo qualcosa per Sembra Amleto.

Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?

Mi piace ragionare più sulle possibili opportunità che si aprono che non sui timori. Anzi, mettiamola così, v'è il timore del non confronto, che impedirebbe di connettersi e guidarsi a vicenda con fiducia e senza peli sulla lingua. Fortunatamente con Ivano questo timore non c'è.


Quale visione La accomuna al regista Ivano Picciallo?

La visione che ci accomuna per e in Amleto ma anche più in generale nel lavoro teatrale è il gioco; a volte crudele, tra attore e personaggio, realtà e finzione. Argomenti che in Amleto s'incontrano e si fondano più che in ogni altro testo.

Scavare e cercare nel testo o nell'idea quell'ago capace di pungere le nostre bolle più nascoste fatte di ricordi, vissuto, emozioni. Materia da mettere a disposizione del testo o del personaggio.

D'accordo con la seguente affermazione di Jorge Luis Borges "Scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio"?

E che so fesso, certo che sono d'accordo. Posso mai dire di essere in disaccordo con Borges? Se pure, poco poco, lo fossi, non lo direi. Scherzi a parte, penso che sia una sacrosanta sintesi, poesia.

Il suo aforisma preferito sul teatro o sulla scrittura... o uno suo personale...

Cito uno che in questo periodo viaggia nella mia mente, ed è di un mio caro amico, confidente e attore: Donato Paternoster. “Più cerchi di allontanarti da ciò che è teatro, e meglio è”, oggi penso sia paradossalmente vero, non solo scenicamente parlando, ma anche sistemicamente. Il teatro, come la politica, da anni a questa parte è totalmente lontano dalla piazza, dalla gente; è da un'altra parte, a divertirsi da solo, per non dire a divertirsi tra quattro fessi, tra noi e noi. D'altronde Checco Origo tanti anni fa mi diceva bisogna esser bravi a “cacciare il teatro dal teatro, avere uno sguardo oltre l'applauso”.

L'ultimo spettacolo visto a teatro ?

Pupo di zucchero. La maestria del nulla in scena che in un attimo, attraverso gli attori, si trasforma in tutto e che nessuna invenzione di macchina scenica riuscirebbe a raggiungere, per me è magia pura, oltre che essere una grande lezione di teatro. Dante è unica in questo.

Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?

Ne ho citati alcuni prima e li ripeto con qualche aggiunta in questo modo: un 3-4-3; in porta Aldo Fabrizi; Taranto, Macario, Peppino; Sordi, Troisi, Proietti, Totò; Pica, Titina, Vitti. Allenatore, Eduardo. Un attacco assolutamente guidato da donne e si vince divertendosi, ecco il perché. 

Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?

Mi “sembra” giusto dire Amleto.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?

Mah, non saprei. Pensi, contrariamente alle parole, mi ha sempre fatto un grande effetto la gente che mi prende a sé mi guarda negli occhi, fa come per parlare, non dice e mi stringe in un abbraccio.

La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?

“Carino”, non lo sopporto. Preferisco di gran lunga “è una me...”...anzi no “Merda”, perchè in teatro si può dire.

Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?

Le solite: divertimento, emozione, riflessione.

C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di “Sembra Amleto”?

“Tutto questo «sembra», perché questo è recitabile. È la veste, o la scena, del dolore. Quello che è in me va oltre lo spettacolo.” [Amleto; Atto I, scena II]. Ed è di Shakespeare, non mia.


LO SPETTACOLO

Una sedia; una tomba; una montagnola di terra. Un testo dove tutto "sta scritto": l'Amleto. Un'imperfetta ricostruzione del dramma di Shakespeare è necessaria perché l'attore arrivi a concludere il gioco, "togliersi il naso rosso", a morire. Il personaggio muore, non l'uomo, che ha ancora qualcosa da dire alla madre defunta. È a lei, sulla sua tomba, che vomiterà addosso parole segrete, logorate dal buio, insudiciate dai troppi silenzi. Confessa.

Il tempo è motore dell’azione scenica: sfalsato, distorto. Amleto conta i minuti alla sua morte, preparando, infine, il suo loculo. La morte è lì davanti che guarda. La sua tomba aspetta che si riempia del personaggio. L’attore in scena detta i tempi di un dramma conosciuto e tenta in maniera svogliata di ripercorrerne i passaggi cruciali.

E’ farsa? E’ Grottesco? E’ Clownesco? Tutto è rappresentazione. L’Amleto di Francesco Zaccaro corre su un filo immaginario, sospeso tra realtà e finzione, teatro e rappresentazione, vita e morte, attore e personaggio, cercando come un abile Petit di improvvisare delle evoluzioni:Il filo non è ciò che si immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante. [Philippe Petit]

SEMBRA AMLETO 3-4-5 novembre

Stagione 2022/2023 VOLI PINDARICI - Fortezza est

via Francesco Laparelli, 62 Roma – Tor Pignattara

Orario Spettacoli giov-ven-sab ore 20:30

biglietto unico 12.00€

www.fortezzaest.com

info e prenotazioni

mail prenotazionifortezzaest@gmail.com | whatsapp 329.8027943| 349.4356219

 

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top