Proscenio, Chiara Bonome a Fattitaliani: Lavorare registicamente con gli attori è un’osmosi continua. L'intervista

Fattitaliani



Da poco sul palcoscenico del Teatro Tor Bella Monaca è andato in scena "Non ti scordar di me", spettacolo scritto e diretto da Chiara Bonome, da stasera fino al 30 ottobre al San Babila di Milano. L'autrice e regista ne parla con Fattitaliani: l'intervista per Proscenio.

In che cosa "Non ti scordar di me" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Ogni testo è diverso, nasce da un’urgenza differente, ma è anche la bellezza del nascere dalla stessa penna. “Non ti scordar di me” è stato il primo testo teatrale che sono riuscita a finire. Sicuramente, per me, avrà sempre una valenza importante.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti?
Allo stesso modo, credo che una linea di continuità nei testi che si scrivono si evinca dal genere dell’opera, dalle modalità espressive, dal ritmo della parola: questi elementi possiamo dire che facciano parte di una sorta di “genetica” dell’autore, in parte connaturata e naturale, in parte derivata dalla sua formazione e da ciò che riesca a suscitare la sua curiosità e ispirazione.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
La prima volta che sono entrata in un teatro è stato direttamente dal palcoscenico: avevo cinque anni e il colpo di fulmine è stato inesorabile. Mia madre ha lavorato per molti anni nel mondo dello spettacolo e ho avuto modo di avvicinare il teatro sin da bambina, senza lasciarlo più.
Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
A me capita molto spesso! A volte persino scrivendo sulla base fisionomica di attori che già conosco bene, anche se poi non saranno loro a interpretare quei personaggi. Trovo comunque importante dare presto un volto ai caratteri che si delineano, anche per mantenere una coerenza espressiva.
È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Gli incontri sono sempre promotori di scintille creative, il contatto e l’interazione tra persone genera necessariamente azioni e reazioni chimiche e fisiche, e il teatro è azione, energia, quindi la mia risposta è sì. Posso aggiungere che al ristorante o al bar mi siedo sempre dalla parte in cui si riescano a vedere bene le altre persone presenti nella stanza: un semplice movimento o un’espressione possono innescare certamente l’ispirazione.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Premetto che mi è capitato pochissime volte, ma anche che la ritengo un’esperienza incredibile. Vedere come la mente di un o una regista possa interpretare ciò che si è scritto è un’avventura a tutti gli effetti, dona delle emozioni importanti. Allo stesso modo, il timore è che il proprio testo possa essere interpretato in maniera “distante” o, peggio, non essere compreso appieno. Condividere i propri testi solo con registi di fiducia? Probabilmente è la soluzione più funzionale, ma anche la più comoda. Ben vengano i confronti, sempre.
Mettere in scena un proprio testo può presentare dei limiti?
Per quanto riguarda la mia esperienza, non tanto mettere in scena un proprio testo, quanto scriverlo sapendo che ne curerò la regia. Questa consapevolezza può potenzialmente limitare la creatività in base agli strumenti e le possibilità produttive e di allestimento. Invece, nella fase di scrittura è fondamentale non porsi alcun limite. Ho dovuto imparare a dividere nettamente, o quanto più possibile, le due fasi. 
D'accordo con la seguente affermazione di "La scrittura è un’esplorazione. Inizi dal nulla e impari man mano che avanzi" di Edgar Lawrence Doctorow?
Sono d’accordo e mi piace molto sia il concetto di scrittura come esplorazione, avventura, ricerca, sia quello di imparare lungo il cammino. Succede anche in ogni singolo testo: dopo averlo pensato e strutturato, è come se si scrivesse “da solo”, prendendo vita pagina dopo pagina. Fermo restando che il miglior modo per imparare a scrivere resti leggere, e leggere tanto.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Sono stati elaborati molti aforismi sul teatro che mi colpiscono da sempre: forse, se devo sceglierne uno, il pensiero del grande Eduardo De Filippo è uno di quelli che preferisco, se non il più affine alla mia sensibilità. “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
“Bianco su Bianco” della straordinaria Compagnia Finzi Pasca al bellissimo Teatro Vittoria per Roma Europa Festival, che è sempre una garanzia.

Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?

Questa è una domanda che mi sono posta molte volte: anche scrivendo un testo, spesso, mi capita di immaginare a un cast ideale e pazzesco con attori di fama mondiale, del presente e del passato. Se devo pensare a degli attori del passato con cui mi piacerebbe lavorare, le risposte, anche qui, potrebbero essere moltissime, ma in questa fase della vita mi sento di rispondere Anna Magnani. Lavorare registicamente con gli attori è uno scambio, un’osmosi continua e, ovviamente, sarebbe stato un onore e un momento di enorme crescita artistica e personale innestare una reciprocità così intensa con una donna e artista di tale immensa profondità.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
L’approccio ai testi cambia insieme al nostro modificarsi, crescere, maturare, a volte regredire, quindi ogni lettura risulta diversa, anche dello stesso testo. Per questo mi è impossibile indicare un testo “migliore in assoluto”: so che esistono, per me, dei cardini classici di riferimento, in cui so che, leggendo, mi sentirò sempre ritrovata, accolta, amata; e questi sono William Shakespeare, Carlo Goldoni, Luigi Pirandello, Harold Pinter, e molti, moltissimi altri.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Mi piacerebbe riuscire a raccontare le emozioni della nostra contemporaneità, così sfuggevoli, liquide, in continuo mutamento, spesso virtuali o mediate, arrivando al cuore e alla mente degli spettatori, affinché si ritrovino in quelle stesse emozioni per comprenderle, analizzarle, rifletterci sopra e, magari, uscirne rinnovati o addirittura diversi. Questa, per me, è la funzione del Teatro, e sarebbe ciò che più amerei riuscire a fare.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Sicuramente, non vorrei mai essere ritenuta superficiale. La leggerezza, invece, è importante, proprio per le profondità che, inaspettatamente, sa raggiungere.
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Mi piace sempre ascoltare i commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo, in sala. Non mi capita spesso, perché sono quasi sempre in scena anch’io, ma quando succede cerco di carpirne quanti più riesco. Questo perché il punto di vista del pubblico è sempre diverso dal mio ed è stimolante avere nuove “aperture” sulla stessa visione. Allo stesso modo, mi piacerebbe che il mio punto di vista possa aver a sua volta stimolato altrettante “aperture” a chi guarda.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "Non ti scordar di me"?
Più che un passaggio, una dinamica: lo scambio di ruoli tra psichiatra, smemorato e quindi temporaneamente “ammalato”, e pazienti, improvvisati “dottori”, racchiude molto di ciò che ho voluto raccontare con “Non ti scordar di me”. L’importanza dell’empatia, dello scambio, del valore del ricordo, del processo evolutivo personale sono cardini di questo testo che, nelle mani di quattro attori fuoriclasse come Stefano Messina, Carlo Lizzani, Marco Simeoli e Stefano Dilauro, è capace di momenti di poesia. Giovanni Zambito.


LO SPETTACOLO

Cosa succederebbe se una mattina ci svegliassimo senza ricordare più nulla? È questo il divertente dramma di Ettore (Stefano Messina), psichiatra che si ritrova nel suo studio improvvisamente privo di ricordi. Ad aiutarlo a cercare di recuperare la memoria, solo i suoi pazienti, che si avvicendano nello studio uno dopo l’altro in cerca del dottore in preda alle loro patologie: Adriano (Carlo Lizzani), affetto da disturbo dell’identità, Orlando (Stefano Dilauro), che ha paura dello sporco, e Vittorio (Marco Simeoli), vittima di stress emotivo. Saranno i pazienti, stavolta, a mettere a frutto l’esperienza maturata nelle proprie sedute e ad aiutare lo psichiatra.

L’incontro tra i quattro personaggi darà vita a un susseguirsi di situazioni esilaranti, ma anche di spunti di riflessione sulle fragilità dell’essere umano. “Non ti scordar di me” è una commedia dai toni brillanti che, tra equivoci, nonsense, ironia e giochi di parole, vuole ricordare – attraverso una storia in cui a mancare sono proprio i ricordi – il valore dei singoli momenti e situazioni della vita e la facilità con cui si tenda a dimenticarli. Un inno all’imperfezione, resa perfetta dalla nostra unica e insostituibile umanità.

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