Termine più consono rispetto a ‘Grande saccheggio, uno’ e a ‘Colossale saccheggio, due’ già apparsi.
Ultimamente
abbiamo dato pur se riduttivamente, uno
sguardo abbastanza istruttivo alle spoliazioni avvenute nel 1700 e nel 1800, ora uno sguardo al 1900,
ancora più devastante: gli attori protagonisti sulla scena sono poche decine ma
migliaia in verità le comparse, cioè i tombaroli, gli scavatori clandestini,
muratori e contadini, adesso muniti anche di attrezzature elettroniche e di
ruspe, specie in tutta l’Italia centro-meridionale. Una rete di vendita e di
movimentazione che non si immaginano, cifre colossali in circolazione, tanta
la voracità degli acquirenti nel mondo. In effetti il traffico illecito dei beni
archeologici ad oggi secondo una voce
autorevole ‘costituisce la più grave
forma di distruzione del patrimonio artistico italiano’ e allo stesso tempo una
delle fonti di maggiore arricchimento, pari al mercato della droga o delle armi.
L’UNESCO ha calcolato in 2,2 miliardi di dollari annui il commercio delle opere saccheggiate in Italia, in Grecia,
nel Sud-Est asiatico...Si ha paura a tradurre
in Euro tale importo,
figurarsi in Lire.
Diamo un
breve accenno alle cifre ma prima si
rammenti che tutto quanto in esposizione
nei musei e istituzioni analoghe del pianeta, a partire dalla numismatica,
dalla oreficeria, dalla glittica fino all’oggettistica più preziosa etrusca e
romana, come pure la enorme quantità di sculture, vasi, oggetti, busti e
quant’altro, è tutto originario
dell’Italia! Qualche cifra, con riferimento al 1900: il Vaso greco di Eufronio (ved. web) rubato alla necropoli di
Cerveteri, fu pagato dal Museo Metropolitan di New York un milione di dollari, pari a un miliardo e
700 milioni delle vecchie Lire; la Venere
di Morgantina (id.) fu acquistata
dal Museo Getty americano per 18 milioni di dollari, pari a 40-50 miliardi
delle vecchie Lire; l’incredibile e unico
Trapezophoros (id.) fu acquistato
sempre dal Getty Museum per 5 milioni e
500 mila dollari pari a circa dieci miliardi delle vecchie Lire, la
celebre Triade Capitolina (id.) già
venduta ad un collezionista svizzero per 5.5 miliardi di Lire, era stata concordata
per la vendita finale ad un museo per una cifra pari a 55 miliardi di lire: queste
opere sono tornate in Italia, dopo molti
anni di trattative. A cospetto di tali cifre, che sono quasi zero rispetto alla
enorme quantità trafugata, non si sa dove scorrano più soldi se nella droga o
nelle armi o nelle antichità. Sono tutte porte che, aperte, lascerebbero scoprire
realtà inaudite che solcano il globo, il desiderio spasmodico di possesso degli
oggetti d’arte da parte di certe categorie di personaggi e di istituzioni, da
sempre. Si ricordi che la Russia negli anni ’20 per far fronte alla situazione
in cui si trovava lo Stato, mise in vendita capolavori insostituibili soprattutto del Rinascimento italiano
acquistati secoli prima principalmente da Pietro il Grande e poi dalla zarina
Caterina II; la Grecia sono anni che lotta per rientrare in possesso dei marmi del Partenone,
l’Egitto lo stesso da anni per riavere almeno la cosiddetta stele di Rosetta e
così la Turchia, l’India… L’Italia, a mio avviso, si trova al livello esatto
dei talebani, con la differenza che questi hanno letteralmente annientato parte
dello straordinario patrimonio
archeologico dell’Afganistan spinti da una motivazione religiosa laddove gli Italiani
hanno accettato il furto apocalittico delle loro opere d’arte sul loro territorio
durante quasi trecento anni solo a seguito della più turpe ignoranza e della
insensibilità più ingiustificabile, oggi addirittura criminali. La caccia ai
beni archeologici oggi è più spietata che mai, non considerando quella
subacquea completamente fuori controllo, non considerando quanto nei territori
vesuviani per mezzo addirittura di tunnel di centinaia di metri o nei territori flegrei... In sostanza la sola speranza possono essere
gli studenti, se aprono gli occhi e vedono: le parole di Raffaello a papa Leone
X più che mai attuali: “aver
cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della
grandezza italiana, non sia estirpato e guasto dalli maligni e ignoranti”.
L’opera pur
benemerita del corpo Carabinieri preposto al recupero è infima cosa rispetto al
cataclisma avvenuto e che continua a verificarsi, anche perché, a parte le
lungaggini burocratiche e procedurali nonché quelle giudiziarie semplicemente
assurde, avviene in verità che se rubi un paio di mutande o due mele vai in
prigione di sicuro, se distruggi o rubi
un patrimonio artistico di valore eccelso non andrai mai in galera in Italia. E quindi i
ladroni si godono beatamente, indisturbati le ricchezze accumulate e quasi
nulla muta.
Avremmo
dovuto dotarci, oltre che di leggi inflessibili, di decine di musei
archeologici adeguati alla nostra smisurata ricchezza per conservare e valorizzare
tale patrimonio e invece quasi ridicolo quanto abbiamo in proporzione! Forse
questa è anche una ulteriore causa della spoliazione e cioè la notoria
incapacità sia a conservare sia a valorizzare. Per esempio, quanto presente nei
due o tre musei archeologici considerati più importanti nazionali è più che
modesto rispetto solamente alla qualità principalmente e anche alla quantità, di quanto nei soli Musei Vaticani che la Chiesa, tra
l’altro, valorizza al meglio! Figurarsi rispetto al Louvre o al British Museum
o al MET o a Berlino o perfino ai musei
occidentali del Giappone….. Non si comprende, inoltre, demerito altrettanto
pernicioso, che abbiamo privato il Paese di una notevole fetta di turismo
mondiale che ricerca tali beni nei paesi originari, a propria gratificazione e
acculturazione.
Vorremmo
citare dei nomi di predatori e commercianti, personaggi di altissimo livello,
quasi tutti ancora viventi ma forse citando
il nome del malfattore non aggiungiamo nulla al malfatto, perciò per il lettore
curioso che ama verificare e
approfondire vi è a disposizione uno strumento esaustivo con nomi e vicende su
questo terribile fenomeno che ha oltraggiato e ancora sta oltraggiando l’Italia:
è il seguente libro: Fabio
Isman : I predatori dell’arte perduta, Edizione Skira. 2009.
Su questo mostruoso terribile appezzentimento dell’Italia, ognuno
esprima le proprie considerazioni, ma qualcuna va fatta anche qui: stando la
situazione organizzativa nazionale
esistente, come più sopra solo adombrata, non è forse più accettabile che
siano i musei stranieri a dare custodia e a far ammirare questi oggetti ormai
usciti dal Paese? Si pensi solo che per
salvaguardare certi concetti spesso astrusi se non risibili seguiti dalle
nostre istituzioni, la Venere di
Morgantina, una scultura greca in marmo alta più di due metri per la quale
il museo americano, come detto più sopra, aveva sborsato cinquanta miliardi
delle vecchie Lire per la sua straordinaria
qualità e bellezza, è stata affidata al museo
di Aidone, un paesetto di quattromila abitanti sperduto in provincia di Enna,
dove la scultura in effetti fu ritrovata. Il Trapezophoros, anche più sopra citato, pagato dieci miliardi di
Lire dal museo acquirente per la sua qualità unica, è stato collocato nel museo di Ascoli Satriano, un paesetto di
poco più di cinquemila abitanti in qualche parte della provincia di Foggia, perché
ivi ritrovato. Ma qui ci arrestiamo: al lettore il resto. Oggi le cronache
riportano che lo Stato Italiano sta rinvigorendo i tentativi per riavere il
materiale trafugato dal suo territorio, saccheggio oggi più che mai intenso, anche a seguito di
certe tecnologie: è vero che affiorano frequenti notizie di opere rientrate in
Italia, fortunatamente; e ancora, ammesso che almeno una parte del bene archeologico
venga intercettato prima di lasciare il Paese, dove mai verrebbe destinato? Dove sono le strutture museali idonee? I depositi sia dei musei sia quelli in fitto
sono già stracolmi per altre ragioni, da anni. Altro aspetto su cui riflettere:
i musei al di là delle Alpi, di norma sono autorizzati a vendere certi loro
oggetti in certe circostanze, senza difficoltà, normalmente, per esempio il
Metropolitan per far fronte ai miliardi pagati per il Vaso di Eufronio, mise in
vendita un compendio di monete d’oro in sua dotazione: perché l’Italia, che
potrebbe non dico arricchirsi, ma abbassare notevolmente il suo gigantesco
debito pubblico, non mette in vendita ma
intelligentemente parte del suo
immenso patrimonio archeologico, anche quello ancora sottoterra o nel mare,
dopo naturalmente averlo dovutamente
protetto e impedito il saccheggio? Anche
perché non saprebbe, o addirittura non vorrebbe, dove collocarlo! E poi ultima
domanda anche questa retorica, come è accettabile che questi briganti arricchitisi enormemente
a spese del patrimonio pubblico italiano non siano mai stati fatti oggetto di
attenzione da parte degli uffici delle tasse malgrado le villone e gli altri
beni o le Maserati o Bentley posseduti?
Michele
Santulli