Quattro amici diciottenni - il Pennello, il Grifo, Lele e Puddu - con personalità e ambizioni diverse, e la Roma di fine anni Ottanta, con la musica, la moda, lo slang e gli eventi sociali e politici che l’hanno caratterizzata.
Sono questi i protagonisti di “Così, per
sempre”, romanzo d’esordio nella narrativa di Marco La Greca,
edito da bookabook, prima casa editrice italiana che pubblica libri
attraverso il crowdfunding. Il volume, già disponibile in libreria e negli
store digitali, è un vero e proprio romanzo di formazione, che si sviluppa
lungo un arco temporale di un anno, l’ultimo del liceo dei quattro
protagonisti.
In questa intervista l’autore
ci racconta il suo ultimo libro.
Vuoi descriverci Marco La
Greca come uomo e come scrittore?
E’ sempre difficile definirsi,
anche perché nel tempo si cambia, e quindi il rischio è che la foto, in questo
caso un selfie, venga un po’ mossa. Provo lo stesso, cercando di essere meno
bugiardo possibile (i selfie in genere lo sono, un po’): sono un uomo dello
scorso millennio e sebbene ricordi, racconti, ami ogni momento passato – mia
moglie, i miei figli, i miei amici lo sanno bene, loro malgrado… - cerco di vivere il presente senza nostalgie o
rimpianti; considero però ciò che è stato come una risorsa, una lente in più
per provare a leggere il mondo come è ora.
Nella vita professionale sono
orgogliosamente avvocato dello Stato, ruolo di responsabilità ed estremamente
assorbente, da tutti i punti di vista.
Poi sono scrittore, sì,
aspetto che è “cross” fra le due vite, quella personale e quella lavorativa;
con la scrittura, infatti, vive una parte di me che non appartiene alla sfera
ufficiale, ma perché ciò accada devo darmi una disciplina professionale.
“Così, per sempre” è il tuo
romanzo d'esordio. Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Dal desiderio, forse anche il
bisogno, di raccontare le emozioni di un’età e di una generazione; l’età è
quella dei diciotto/diciannovenni; la generazione è quella di chi – come me – è
stato ragazzo negli anni ’80, decennio nel quale è ambientato il viaggio verso
la maturità (intesa non solo in senso scolastico) dei quattro protagonisti
principali e della loro comunità di amici. Quello della maturità è un anno speciale,
per tutti, qualche che sia l’epoca di riferimento, perché segna il discrimine
tra la vita come è stata sino a quel momento e come sarà da lì poi. E’ per
questo che ogni istante, anche il più banale, di quel periodo si imprime nello
strato profondo di ciascuno, pronto a riemergere con tutta la sua potenza
evocativa in vari momenti della vita, ogni volta con un significato che può
essere diverso.
Ci racconti il percorso
emotivo e di ricerca che ti ha portato alla stesura del romanzo?
La mia è una storia di
fantasia, ma volevo che fosse quanto più possibile vicina alla realtà;
l’ambizione era di fermare il particolare modo di vestire, parlare, ascoltare
la musica, ridere, amare, soffrire, di quella generazione di ragazzi; per
ricordarlo a chi c’era allora e, magari,
tramandarlo a chi verrà domani. In questa ricerca ho utilizzato la
musica, i giornali, gli oggetti dell’epoca, per scavare dentro di me ed essere
di nuovo, io stesso, un adolescente. Ho potuto così calarmi, di volta in volta,
in ognuno dei personaggi del romanzo, vivere le loro vite e provare le loro
emozioni, raccontate, a quel punto, quasi dal di dentro.
Quale è stato il momento più
complesso durante la fase di scrittura del libro?
Forse la fase iniziale, quando
davvero non sapevo se sarei riuscito ad arrivare alla fine e nemmeno bene come
si sarebbe sviluppata la storia, se non negli snodi fondamentali. In qualche
modo, poi, le vicende sono venute da sé, come sviluppo naturale delle premesse
iniziali, della base piscologica dei personaggi. A darmi coraggio, comunque, è
stato imbattermi, da lettore, nella prefazione di “Canale Mussolini”, in cui
Pennacchi dichiarava di essere nato per raccontare quella storia. Ho voluto
pensare, con un bel po’ di presunzione, ne sono consapevole, che era così anche
per me, che anche io ero nato per realizzare questo atto d’amore verso un’età e
una generazione.
Concludendo, quale messaggio
vuoi trasmettere a coloro che leggeranno “Così, per sempre”?
Di avvicinarsi al romanzo un
po’ come se fosse un viaggio nel tempo;
un’occasione per provare a recuperare qualcosa di sé che, magari, si
pensava di avere perduto, e riportarlo qui; non per rimpiangere, come dicevo
all’inizio, ma per ritrovare; per ricordarsi che non bisogna smettere mai di
avere un sogno, per quanto assurdo o irrealizzabile possa sembrare; per
cancellare la frase “tanto oramai” e sostituirla con “adesso più che mai”,
qualunque sia la fase della vita che si sta attraversando.
Quali saranno i tuoi progetti
per questo 2022?
Principalmente, riuscire a
lavorare al mio secondo romanzo, del quale sono alle prime pagine. E’
difficile, perché lo spazio che posso dedicare alla scrittura, in questo
specifico mio frangente, è davvero angusto. Ci riuscirò lo stesso, nonostante
tutto, come è stato per il primo romanzo: sfruttando i pochi momenti liberi che
la vita professionale mi concede, togliendo ore al sonno, prendendo appunti
mentre sono sulla metro, in attesa dal medico o fermo al semaforo. Scrivere è
un’esperienza totalizzante ed è come sognare. Il tempo per sognare, si sa, è
sempre quello giusto. E quindi “adesso più che mai”, anche per me.