Nella primavera di quest’anno è stato pubblicato per i tipi de Il Ponte Vecchio di Cesena un romanzo di due autori che a livello locale sono ormai piuttosto conosciuti in campo storiografico e letterario, Cesare Albertano e Saturno Carnoli. Si tratta di un romanzo dal titolo a tesi, Nessuna Verità, che però lascia intuire al futuro lettore, grazie anche ad una ben progettata copertina dell’artista Gianluca Bernardini, che si tratta di un poliziesco ambientato a Ravenna negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda Guerra Mondiale. L’intervista di Fattitaliani ad uno solo dei due autori è dovuta alla scomparsa di Saturno Carnoli avvenuta nella prima e più dolorosa fase della recente pandemia, con il testo già in fase di revisione finale.
Un giallo storico
ambientato a Ravenna tra il 1946 e il 1951, quattro omicidi, i primi due
decisamente insabbiati da una giustizia in difficoltà in quegli anni di
transizione, gli altri due risolti in sede processuale ma con ampi margini di
dubbio. Quanto di vero e quanto di inventato?
Tutto vero e nulla di inventato, eccezion fatta per gli
investigatori che comunque sono stati messi in scena con un criterio di
assoluta verosimiglianza. La nostra è stata una ricerca d’archivio durata oltre
due anni, documentata nei minimi dettagli, anche se nel dopoguerra i quattro
casi non erano stati visti in correlazione tra di loro, mentre il nostro
investigatore cerca di collegarli.
Anni difficili come
tutte le transizioni politico-istituzionali nate dalla conflittualità di una
guerra. Con il vostro lavoro ci state dicendo che ancora oggi quel periodo
dovrebbe essere indagato in sede storiografica?
Non avevamo questa presunzione, anche perché negli ultimi
decenni la storiografia accademica e quella locale hanno lavorato seriamente e
continuano a farlo, anche se dei margini di ampliamento sono sempre possibili e
auspicabili. Tenga presente che Ravenna ospita una delle più importanti
biblioteche di storia contemporanea, la “Alfredo Oriani”, specializzata tra
l’altro sul fascismo e sull’antifascismo, con un direttore, Alessandro
Luparini, che la amministra come un vero e proprio centro di promozione di
ricerca e formazione. Il nostro lavoro è figlio di questa sensibilità
storiografica.
Però non è mai facile
tornare a quegli anni. Molti sono i pregiudizi, è ancora sedimentata una
memoria ambientale che non aiuta l’elaborazione di un sereno giudizio
storiografico, forse non sono poche le resistenze nel riesumare quei dolori.
Voi avete incontrato questi problemi?
Abbiamo incontrato questi problemi da sempre e il loro
superamento è stato l’atto fondativo del sodalizio mio e di Saturno Carnoli
iniziato oltre dieci anni fa. Non è affatto facile trattare questa materia e
presume un atto di responsabilità netto e gravoso, anche per non cadere nelle
strumentalizzazioni politiche che sono all’ordine del giorno. Il nostro ragionamento, per
questo romanzo come per i nostri testi precedenti, è sempre stato lo stesso: il
passato non è più, ma è stato; reclama di essere raccontato e questo nasce
dalla natura stessa della sua assenza; chi è assente desidera la presenza, ha
diritto alla presenza, a maggior ragione se vengono trattati personaggi
secondari o marginali che il caso ha drammaticamente sbattuto in prima pagina.
Una specie di teorema?
Non scomoderei un termine così impegnativo. È un dato di
fatto che chi frequenta la storia conosce bene: ci sono tracce che sono state
rimosse e che possiedono una straordinaria potenzialità narrativa e tale
potenzialità preme per uscire dalla latitanza nella quale la trattiene un
vissuto spesso angoscioso, vergognoso, umiliante. Certi racconti testimoniano
verità che spesso si considerano scomode, che l’oblio tenderebbe a coprire,
tuttavia sono proprio quei racconti che testimoniano che l’indimenticabile
esiste e che il rimosso va liberato. Le identità, tanto quelle individuali
quanto quelle collettive, non si possono fondare su rimozioni.
E allora perché avete
scelto un titolo che bisticcia con la Verità?
L’uccisione di un direttore dell’Associazione Agricoltori, di
un giovanissimo giornalista che oggi definiremmo freelance, di un esperto brigadiere di Polizia e di suo fratello
scaricatore di porto sono dei fatti veri e inconfutabili. Così come è vero il
contesto anteguerra con un’escursione nel mondo del banditismo italiano degli
anni Trenta, è vero il contesto particolarmente vissuto della guerra di
Liberazione antifascista e dell’immediato dopoguerra ancora carico di
conflittualità. Abbiamo consultato verbali della Polizia e dei Carabinieri,
atti processuali, fonti medico-legali, fonti giornalistiche, reperti
fotografici d’epoca e, purtroppo, quei fatti sono veramente accaduti e sono
inseribili in un ben più ampio contesto di violenza.
Non si tratta infatti
di una situazione solo ravennate o sbaglio?
Guardi, Ravenna di per sé non c’entra nulla, perché è solo il
teatro degli avvenimenti. Io e Saturno abbiamo sempre odiato il localismo, il provincialismo,
l’eruditismo e l’aneddotica locale. Il nostro romanzo attinge la sua materia da
un contesto ben più generale che, a Ravenna come in altre città italiane,
testimonia che la fine della guerra si è portata con sé una blood line,
una linea di sangue e di dolore così drammatica da essere ancora più difficile da metabolizzare e rimarginare
rispetto alla guerra vera e propria. Noi ci siamo inseriti in questo “crepa”
della nostra storia e abbiamo trovato lo spunto per tessere la nostra scrittura
narrativa. Pur trattando dei fatti veri, nessuna convincente verità emerse
all’epoca sui moventi, sui mandanti e su eventuali interconnessioni tra gli
omicidi. Ecco il motivo del titolo.
Avete comunque seguito
la moda. Quanti storici si sono dati alla narrativa?
Ha ragione e questo nostro esserci uniformati ad un’eventuale
moda dei nostri giorni ci ha pesato non poco, però ha prevalso il buon senso. Noi
abbiamo scelto di trasformare una ricerca storica in narrativa, affrontando
forse il modello di romanzo più antico nell’evoluzione di questo genere, ovvero
il romanzo storico. E lo abbiamo fatto nella speranza che sia più avvicinabile
dal lettore che, di fronte al saggio storico, se non è in qualche modo uno
specialista, può avere una sorta di timore reverenziale. Ha prevalso in noi
l’obiettivo comunicativo e la possibilità di maggior diffusione di queste
tematiche.
So che nessuno
scrittore vuole mai raccontare qualcosa di più dettagliato del testo che ha
scritto, ma ci vuole segnalare qualcosa di più specifico?
In
effetti non vorrei parlare nel dettaglio del libro perché il libro, dal momento
in cui esiste come oggetto, come qualcosa che ormai ha vita propria, parla da sé.
Basta leggerlo. Il libro è fatto per essere letto, non per essere raccontato
oralmente, se no facevamo un’altra cosa. Però comprendo la sua domanda e le do
ancora qualche suggestione. Nella ricerca e poi nella scrittura ci ha molto
colpito la vicenda umana dell’unico vero assassino conclamato e reo confesso.
E perché mai vi avrebbe colpito tanto
un assassino che ha massacrato la sua vittima?
Per
il semplice fatto che era un malato psichiatrico, un emarginato sociale che
viveva di espedienti e che, senza esserne consapevole, è stato gettato in una
storia più grande di lui e che ha passato tutta la vita ad ammettere la sua
colpa ma anche a tentare di spiegarla.
E come?
Con
un memoriale scritto di suo pugno – forse la nostra scoperta più emozionante
– e con una vicenda processuale
lunghissima, fatta di ricorsi e di appelli durata oltre dieci anni. È un
colpevole che sa di esserlo, che passa quasi tutta la vita in galera, ma
continua disperatamente a cercare un dialogo col mondo, lui che dal mondo era
stato scartato come frenastenico. Insomma una vicenda alla Io, Pierre Rivière, straordinaria ricerca raccontata da Michel
Faucault e dai suoi allievi negli anni Settanta del secolo scorso ma accaduta
nell’Ottocento.
Un altro strappo alla regola?
È
stato importante calarci nelle vicende della famigerata Banda Bedin che
sconvolse l’Italia fascista della fine degli anni Trenta e che smascherò in
modo deflagrante e rocambolesco l’immagine di un paese ordinato e fedele al
proprio duce e alla rivoluzione fascista. Ancora oggi pochi sanno che anche noi
abbiamo avuto il nostro John
Dillinger!
Ma che nesso ha la Banda Bedin con la storia degli omicidi raccontati
nel romanzo?
No,
questo non glielo dico. Bisogna leggere il romanzo, se no romperei il magico
incantesimo tra scrittura e lettura e non voglio certo macchiarmi di una colpa
così grave.
La ringrazio. Non ci
resta che augurare buona lettura per chi sa emozionarsi con queste “crepe”
della storia, come le ha definite Cesare Albertano, e ovviamente ricordare
l’altro autore, Saturno Carnoli, che non ha potuto vedere il romanzo nella sua
versione definitiva ma che è stato l’anima del progetto e di mille altri
progetti che ne hanno scandito tutta la vita.
***
Saturno Carnoli e Cesare Albertano,
autori del romanzo Nessuna Verità,
edito da Il Ponte Vecchio (Cesena
2022), coautori tra l’altro di Acerrima
Clades (Moderna Ed., 2012), L’Ala di
Berardi (Girasole Ed. 2017), Inidoneità
(Moderna Ed., 2018), Per amor del vero.
la breve vita di Marino Pascoli (Aurora Libertaria Ed., 2019).