Pacifico e il suo 2° romanzo “Io e la mia famiglia di barbari”. L'intervista di Fattitaliani

Fattitaliani

  


“È la storia della migrazione della mia famiglia dalla Campania a Milano, fino a me a Parigi”: il cantautore Pacifico definisce così il suo secondo romanzo “Io e la mia famiglia di barbari” (La Nave di Teseo editore) in cui racconta l’epopea della sua famiglia e dei suoi genitori Pia e Guido emigrati a Milano in cerca di lavoro al proprio trasferimento a Parigi e alle telefonate alla madre che vive sola. Fattitaliani lo ha intervistato.

Più le somiglianze o le divergenze fra le due esperienze migratorie?

È completamente diverso. Quei ragazzi lì avevano tra i 25 e i 30 anni: sono partiti cercando fortuna che era all’epoca sinonimo di lavoro. Cercavano di ricostruire da zero, arrivavano dal dopoguerra, erano fra la ricostruzione e le macerie; il Sud faticava e il lavoro era tutta una serie di promesse, segnalazioni, conoscenze. Era molto difficile trovarlo, mentre al Nord verso Torino e Milano le fabbriche avevano bisogno di braccia. Hanno così ricostruito una vita soddisfacente avendo case riscaldate e permettendo ai figli di avere un’istruzione. Diciamo che hanno fatto partire noi un poco più avanti, non abbiamo fatto il salto di classe ma siamo partiti da una condizione più agiata e più protetta.

La parola “barbaro” qui è utilizzato dal punto di vista di chi accoglie o chi si sente barbaro?

Direi di chi sente barbaro e io faccio parte di questa cricca. È detto in termini affettuosi: c’è la salita di questa tribù pacifica che ha cercato un’integrazione al nord dove c’erano delle culture da mettere insieme come capita sempre nelle migrazioni. Tutti quelli che sono partiti non hanno mai avuto la nostalgia di tornare al sud, che era un ricordo di leggerezza, di gioventù, una luce che ti resta dentro, però la maggiore organizzazione del nord è una cosa che li ha confortati, gli ha permesso di fare un po’ di strada cui non avrebbero mai rinunciato. Certe cose sono rimaste, come le tradizioni culinarie e le festività non integrate.

Da un lato questo è il tuo terzo libro, secondo romanzo quindi eri già allenato a raccontare tramite narrativa. Ma questo è autobiografico. Quindi, giudichi questa esperienza più agevole o difficile rispetto alle precedenti?

All’inizio non voleva essere un romanzo. È stata più una richiesta di mia madre che voleva che scrivessi un ricordo di sua madre morta giovane dopo aver messo al mondo sette figli: mi ha chiesto di lasciare una traccia e far diventare di carta una serie di pensieri, quindi è partito da lì. In realtà c’era una sola cosa che volevo raccontare ed era un sentimento lieto, quindi le parti delle esperienze dolorose che inevitabilmente fanno parte di una famiglia sono rimaste dentro di me. Volevo raccontare l’epopea di questi operai, gente che nessuno conosce, che non sono diventati qualcuno se non all’interno della loro famiglia.

Mai avuto la tentazione di andare della storia della tua famiglia? Nel senso che certe storie sembrano così fantastiche che meriterebbero un’ulteriore continuazione con arricchimenti inediti di dettagli e situazioni…

Ho capito questo lavorando al materiale: la parte romanzata riguarda una coloritura che ha a che fare con la commedia. Però, essendo un libro autobiografico, c’è una parte importante che non voleva essere tradita, tanto che ad un certo punto faticavo a completarlo. Non potevo mettere troppo di artefatto.

Ci sono all’interno situazioni divertenti e commoventi. Quale momento della tua barbarica famiglia ha sorpreso anche te?

Due cose molto forti. L’energia vitale e giovanile di coloro che erano partiti su quell’onda e non si guardavano indietro quale che fosse il monte ore lavorative, dovunque si potesse dormire: non c’era nessuna pretesa. Poi la tensione fra i miei genitori, la preoccupazione di assicurare che io riempissi il salvadanaio della pensione, svolgessi una professione tradizionale e allo stesso tempo però non riuscivano a non incoraggiarmi e mi hanno messo intorno degli strumenti musicali anche preziosi. Questa impossibilità di non incoraggiare il figlio nonostante andasse in una direzione per loro sconosciuta e pericolosa è un dato ad oggi sorprendente. Non so se io sarei in grado di farlo con mio figlio.

Adesso alcune domande con dei titoli di tue canzoni. Dimmi qualcosa sui tempi e la gestione del romanzo? Hai fatto “Presto” o sei stato “Lento”?

Ho fatto presto inizialmente, poi il suo completamento è stato letto proprio perché avevo scritto tanto e tanto mi sembrava non dovesse entrare in questo racconto.

Ora sull’organizzazione e scansione temporale: hai scritto qualcosa “Ogni giorno” o passavano anche periodi lunghi prima di riprendere la scrittura?

Ho scritto in diverse sessioni ogni giorno. Facendo altre cose, ho fatto delle interruzioni e nei periodi in cui ci ho lavorato era una cosa assidua.

Quando si scrive un libro “Dove comincia tutto”? una nuova pagina inizia “Da lontano”?

(sorride, ndr) Nel mio caso è iniziato tutto dalla richiesta di mia madre, quindi se si parte da mia nonna, nata nel 1901, evidentemente tutto è cominciato da molto lontano.

Nell’atto della scrittura ti hanno accompagnato alcuni riti, come bere molti “Caffè” o godere della compagnia di un gatto? Dirigere “Gli occhi al cielo” per cercare ispirazione o conforto?

Gli occhi al cielo in continuazione, caffè sì: ho una serie di mie macchinette di cui mi fece dono mia madre, come anche delle napoletane classiche molto vecchie con la modalità di caffè turco. Altri rituali particolari no: gestisco mio figlio al mattino e spesso mi è capitato di mettere la sveglia prestissimo per anticipare un po’.

Durante la stesura e lo sviluppo quali “Punti fermi” hai tenuto sempre presente sia a livello di contenuto che di stile?

In famiglia, che è un luogo magnifico ma che può essere anche una camera delle torture, tutto dipende dalle sensazioni che negli anni ti porti via. Alla fine mi sono portato dietro una sensazione di gratitudine, quindi tra il dare e l’avere il saldo era positivo.

Quando hai messo la parola “Fine Fine” al tuo romanzo che cosa hai provato?

È stato un bel momento. Come succede per le canzoni, ho trovato un finale che era semplice perché si tratta di un libro che non ha una trama, uno svelamento. E poi quale che sia il valore di quello che stai facendo, quando lo completi, si prova una sensazione di grande sollievo. Non ho mai smesso di credere in questo libro, a differenza di altre cose che metto sempre in discussione. Giovanni Zambito.

 


L'autore

Pacifico, nome d’arte di Luigi De Crescenzo, è nato e cresciuto a Milano. Musicista, scrittore, autore e cantautore tra i più stimati, ha pubblicato sei dischi e un EP a suo nome. Ha collaborato con i maggiori artisti italiani. Come interprete, ha partecipato due volte al Festival di Sanremo, nel 2004 e nel 2018. Ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra i quali premio Tenco Opera Prima, Targa Tenco Miglior Canzone dell’anno, premio della Miglior Musica al Festival di Sanremo. Ha duettato con alcuni dei più grandi artisti italiani e internazionali, tra cui ricordiamo Ivano Fossati, Marisa Monte, Ana Moura. Il suo disco più recente è Bastasse il cielo (2019). Ha lavorato per il cinema e il suo brano Gli anni davanti è stato candidato ai Nastri d’Argento 2021 come canzone dell’anno. Per il teatro ha scritto e interpretato un monologo, Boxe a Milano. Per Baldini+Castoldi ha pubblicato nel 2019 una breve raccolta di pensieri intitolata Le mosche. Il suo primo romanzo, Ti ho dato un bacio mentre dormivi, è stato ripubblicato da La nave di Teseo nel 2020.

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