Mariù Safier: difficile scindere vita e scrittura. L'intervista alla poetessa, scrittrice e giornalista

Fattitaliani

di Andrea Giostra - Ciao Mariù, benvenuta. Grazie per la tua disponibilità e per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori, cosa racconteresti di te quale poetessa?

Che mi colpiscono le piccole cose, frammenti di vita, frasi captate mentre sei impegnato o distratto e diventano nutrimento di versi, progetti o liriche, nati da un bagliore nascosto chissà dove, dentro e fuori di te.

…chi è invece Mariù Safier che vive la sua quotidianità e cosa fa al di fuori dell’arte dello scrivere, puoi raccontarci?

La mia quotidianità è fatta di normalità: è difficile scindere vita e scrittura. Perché oltre alle poesie, che sono più rare e vanno distillate, collaboro con il settimanale “CONFIDENZE” per il quale scrivo racconti, ispirati da storie autentiche e romanzi d’autore. Ho pubblicato diversi libri di narrativa e saggi storici. Nei momenti liberi leggo, qualunque testo trovi, sia libri che giornali, vedo amici, frequento il  teatro, vado al cinema, ai concerti.

Chi sono e chi sono stati i tuoi maestri d’arte, se vogliamo usare questo termine? Qual è stato il tuo percorso artistico/formativo ed esperienziale nel mondo della scrittura e della poesia?

Tutti i poeti che ci hanno fatto studiare a scuola! Ma non pensavo alla scrittura. Poi ho frequentato l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” a Roma: i miei maestri sono stati i classici greci, i mistici medievali, la scuola provenzale, Petrarca e Cardarelli, Prévert e Garcia Lorca, Ungaretti, Rilker, Thomas Eliot, Emily Dickinson, Alda Merini… Se incontro un autore che non conosco, mi affretto a leggerlo. Così, credo, si impara e si cresce. Il resto, lo fa la riflessione, l’impegno. 

Come definiresti il tuo stile poetico e la tua poetica? C’è qualche scrittore/poeta del passato o del presente al quale ti ispiri?

Sono attratta dall’attualità, offre spunti da cogliere per meditare. La poesia è questo, penso. Far vedere e capire quello che c’è, dietro la realtà. Non direi che mi ispiro a qualcuno in particolare, certo è che mi ritrovo in molti Poeti, per la vicinanza ai temi, alla sensibilità. E dal momento che sono grandi, mi accosto a loro con grande rispetto e umiltà!

Come nasce la tua poesia Eden (seconda classificata al Premio Letterario Nazionale “Il Grido della Selva”inserita nell’antologia omonima bandito dalla casa editrice PandiLettere) qual è il messaggio che vuoi arrivi al lettore e quali gli stimoli che ti hanno portato a scrivere questo testo?

È nata nel momento peggiore della pandemia: chiusi tra quattro mura, devastati dalle notizie, i contatti esterni ridotti al minimo. Eppure, la primavera stava tornando, la Natura si riprendeva la scena e mandava, una volta di più, il suo monito. Abbiate rispetto per la Terra, curatela. Ci accoglie, ci nutre, è la sola in grado di trasmettere Bellezza e Forza. Tutta la tecnologia non vale un filo d’erba che nasce spontaneo.

Raccontaci dei tuoi libri. Quali sono che ami ricordare e di cui vuoi parlare ai nostri lettori?

Il primo, sulla vita di Mafalda, la principessa di Savoia morta a Buchenwald, mi ha fatto avvicinare alla ricerca storica e ai personaggi femminili, spesso dimenticati. E questo mi porta al recente D’ombra e sabbia il mio penultimo libro: dove racconto in versi, donne della Bibbia poco note, da Rachele a Ester, a Debora a Maria di Magdala. E il più recente, un giallo: La signora delle perle un tuffo negli anni 70, per scoprire crimini molto attuali, perché hanno a che fare con la smania di potere che domina gli uomini.

Una domanda difficile Mariù: perché i nostri lettori dovrebbero comprare Il Grido della Selva? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.

Per la forza che trasmette la Poesia. Un messaggio di speranza verso l’avvenire, per rendere il futuro meno ostile e capire che l’uomo ha le risposte che cerca: basta saper ascoltare la Natura.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Penso che occorrano entrambi. Mi spiego: non bastano la determinazione, l’impegno e il talento, occorrono circostanze favorevoli. O se preferisci, il fato, la coincidenza fortunata. A volte, la casualità cambia il corso della vita.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte e nelle tue opere?

L’arte è passione, i sentimenti dettano non solo le azioni, ma le parole. Senza questo inchiostro, non ci sono versi, sai tratta di mera esercitazione. Non produrrebbe, né susciterebbe nulla.

«…anche l’amore era fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è l’amore per te e come secondo te è vissuto oggi l’amore nella nostra società contemporanea, tecnologica e social?

L’amore si respira insieme all’aria, ti viene incontro in mille modi. Io lo trovo nel sorriso di un bambino, in un gesto di gentilezza, in un complimento inaspettato, in uno sguardo complice… oggi la sua ricerca è esasperata dalla tecnologia, che amplifica a dismisura i desideri, senza essere in grado di soddisfarli. In realtà, non sappiamo più cosa vogliamo e, soprattutto, non abbiamo la pazienza di interrogarci, di riempire i silenzi con il pensiero dell’altro. L’amore è una pianta rara, ha bisogno di cure, per sbocciare.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

È un insieme di elementi: conta la storia, nella narrativa, certo, ma anche il linguaggio deve attrarre, avvicinando il lettore al mondo dei personaggi. Per la poesia, le variabili sono infinite, dipende molto dal gusto di chi legge e anche dalla preparazione, dall’abitudine ai versi. 

«Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato … C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia … non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1, n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu da poeta cosa ne pensi in proposito? Ha ragione Bukowski a dire queste cose? Cosa è oggi la poesia per te, riprendendo il pensiero di Bukowski?

Penso che non esistano regole. La Poesia va accolta e trasformata dal singolo, è libera, ha la capacità di dare forma a stati d’animo che diventano, il sentire universale, di propagare idee. Se riesce in questo, ha assolto il suo compito, non importa in quale modo sia arrivata.

«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Qual è la tua idea in proposito rispetto alle parole di Bukowski? Cosa pensi del ruolo del poeta nella società contemporanea, oggi social e tecnologica fino alla esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo sociale e culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di intellettuali che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club” riservato ed esclusivo, senza incidere realmente nella società e nella cultura contemporanea?

Leggevo di recente un sondaggio fatto da “Libreriamo” durato sei mesi, sugli Italiani e la Poesia: il 77% se deve fare una dichiarazione, mandare auguri o festeggiare una ricorrenza, cerca in Rete versi per esprimersi, da Leopardi a Pascoli, a Montale… Questo risponde in parte alla domanda. In realtà, l’esigenza c’è, mancano gli strumenti di base, ovvero dalla scuola. Se impari ad amare la poesia, non potrai mai farne a meno. E chi la coltiva non deve  essere, tanto meno sentirsi parte di un circolo esclusivo. Le liriche rispecchiano la vita vera, espressa in modo essenziale.

«Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Ha ragione Bukowski a dire queste cose a proposito di coloro che frequentano corsi di scrittura creativa? Cosa ne pensi in merito? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere anche se il talento non c’è? Come si diventa grandi e apprezzati scrittori secondo te?

La scrittura è anche terapia: non sempre chi frequenta questi corsi ha ambizioni letterarie. Serve invece a esporre spesso un disagio latente, che prendendo forma, aiuta a liberare conflitti, a confrontarsi con sé stessi. 

Non credo esista uno scrittore senza talento, non basta seguire corsi: se hai qualcosa da esprimere, ti aiutano a trovare il modo, ma non creano nulla che già tu non possieda dentro di te. Come si diventa Grandi, beh, è una domanda alla quale non sanno rispondere gli editori, figurati io!

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

L’uno e l’altro: ci sono autori con i quali inconsapevolmente dialoghi, ti spingono a porti delle domande, a cercare fra le righe le risposte. I filosofi senz’altro sono fra questi. La lettura di per sé, mette in comunicazione con il mondo interiore di chi scrive e  trasmette il suo pensiero, insieme al piacere di trascorrere in solitudine, ma non da solo, il tuo tempo. 

«Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Cosa ne pensi tu in proposito? Cosa legge il lettore in uno scritto? Quello che ha nella testa “chi lo ha scritto” oppure quello che gli appartiene e che altrimenti non vedrebbe?

Se sei al livello di Proust, certo comprendi in pieno, e comprendi anche ciò che sarebbe rimasto oscuro.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

La bellezza è Armonia, in tutte le sue forme. Una partitura musicale, un componimento poetico, un quadro che ti emoziona.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

La mia insegnante di italiano al liceo, la signorina Piera! Lo scrittore Massimo Grillandi che mi incoraggiata, il critico e scrittore Giulio Cattaneo che non ha mai nascosto le difficoltà della strada letteraria. E tante altre persone, compresi i lettori. E comunque, di sogni ne ho ancora fin troppi!

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre film da vedere quali consiglieresti e perché?

Storia di una Capinera di Franco Zeffirelli, tratta dal romanzo di Verga: pur riferita al passato, è uno sferzante ritratto della condizione femminile, tuttora presente,

Il Gattopardo dal romanzo di Tommasi di Lampedusa, superbo affresco di Luchino Visconti di un’Italia che non cambia,

Per sorridere Febbre da cavallo un omaggio al grande e indimenticabile Gigi Proietti, artista unico e poliedrico.

E tre libri da leggere assolutamente nei prossimi mesi? Quali e perché proprio quelli?

Un’eredità d’avorio e ambra di Edmund De Waal, che ripercorre un pezzo di storia del ‘900, attraverso una preziosa collezione. Giovanna D’Arco di Maria Luisa Spaziani, una rilettura originale in 6 Canti e un epilogo, in ottave della celebre santa. E Il cielo è rosso di Giuseppe Berto, uno scrittore un po’ dimenticato. Sono tutti e tre emozionanti, nel loro genere.

I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale e artistico che puoi raccontarci?

Un romanzo d’amore. E il cammino discreto della poesia.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Attraverso i miei scritti, non sono sui social! Ma c’è Lara Di Carlo, l’editore di Pan di Lettere.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?

Un libro è un vero amico, sarà sempre a disposizione, non vi tradirà mai.

Il libro:

Antologia Poetica Il Grido della Selva (I edizione), AA.VV., PandiLettere 2021

https://www.pandilettere.com/inostrilibri/antologiapoetica

 

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top