Clausura liberatoria, epifania letteraria di una expat italiana a Bruxelles. Intervista a Cinzia De Marzo



di Lucia Russo - Bruxelles (capitale d’Europa e città-meta di ogni professionista dalle ambizioni internazionalistiche) è il luogo d’ambientazione del libro “Clausura liberatoria” (Albatros, settembre 2021) dell’esordiente scrittrice Cinzia De Marzo, avvocato ed euro-progettista per l’UE, originaria di Bari e trapiantata nella capitale belga da un decennio. Giovedì 21 ottobre alle ore 18.30 la presentazione presso Piola Libri di Bruxelles.

Come l’autrice del volume, la protagonista Carolina è una giovane donna pugliese che alle soglie dei quarant’anni lascia l’Italia per un lavoro più qualificato nella Commissione Europea. Non è una giovanissima neolaureata col favore di ogni libertà, ma una madre single con un figlio di cinque anni, e condurre in parallelo professione (che la porta spesso in altre città e nazioni) e impegni genitoriali le farà scoprire quante difficoltà si frappongono ancora – anche in una metropoli come Bruxelles – a questo status familiare così diffuso e meritevole di sostegno sociale.

Da questo ruolo - della protagonista quale madre single – il libro apre la narrazione con i temi delle vicissitudini di adattamento in un paese straniero dall’inevitabile contrasto di istanze culturali, passando a momenti di svolta e di scelte del suo recente passato, legati ad altri spunti di riflessione anch’essi di attualità, il tutto rivisto come in un viaggio introspettivo condotto durante i mesi di lockdown del 2020. 

Sul libro di Cinzia De Marzo - finalista del Concorso Letterario 2020 per inediti “Pubblica il tuo libro” e meritorio del Diploma d’Onore del Premio Letterario Milano International 2020 - è direttamente l’autrice a dirci di più, rispondendo alle nostre domande.

Tra la protagonista Carolina e lei, autrice del libro, esistono diversi punti di contatto biografico. Come dobbiamo classificare il libro? Romanzo biografico o biografia romanzata?

Direi che possiamo intendere il racconto come una sorta di biografia romanzata, nella quale ho creato il personaggio di me stessa, mettendomi dinanzi ad uno specchio allegorico. 

Da che anno vive a Bruxelles? Si sente finalmente come a casa?

Mi sono trasferita a Bruxelles per motivi professionali nel 2011, essendo stata selezionata dalla Commissione europea per lavorare con contratto a tempo determinato, come esperto nazionale distaccato. Il desiderio di migliorare la carriera, realizzando quello per cui avevo studiato sin dai tempi dell'Università, ovvero il diritto comunitario e tutti i suoi risvolti applicativi, mi hanno indotta a lasciare la mia terra, anche per dare un'opportunità di crescita in un ambiente multiculturale e linguistico a mio figlio, che all'epoca non aveva ancora compiuto sei anni. In questo senso, trovandomi al centro della vita delle istituzioni comunitarie dove tutto gravita attorno ad esse in Europa, potrei dire che mi sento a casa sul piano professionale. Tuttavia, rimane forte il legame con le radici e gli affetti che ho lasciato nel sud Italia, da cui provengo, e soprattutto con l'adorato mare della Puglia, Regione in cui sono nata e cresciuta.

Avvocato ed euro-progettista, lei è una libera professionista già molto impegnata sul piano lavorativo, senza contare gli oneri di madre. Come e quando sono nati il progetto e la stesura di questo libro?

Confermo, la vita lavorativa e la gestione tutta sola del ménage familiare mi assorbono tantissimo tempo. Tuttavia, lo scorso anno, poco prima che fossimo travolti dall'ondata della pandemia, ho deciso di condividere con gli amici che frequentavo a Bruxelles svariate vicende rocambolesche che mi erano capitate con alcuni babysitter 'maschi' reclutati per occuparsi di mio figlio (Arturo nel racconto) quando mi assentavo per lavoro, mettendo per iscritto queste storie, descrivendole in chiave ironica, al limite dell'assurdo. E mi prefiguravo, mentre scrivevo, una sceneggiatura teatrale, da mettere in scena. Un mese dopo tutto è radicalmente cambiato, ovvero siamo stati costretti dalle circostanze esterne dettate dal COVID 19, a stare tutti fermi e chiusi in casa. A quel punto la narrazione ha assunto una dimensione più contemporanea, legata a ciò che stava accadendo al mondo intero, mettendo in evidenza la capacità di resilienza di una donna sola, madre single nell'affrontare il quotidiano, con tanti ostacoli ed insidie, ma senza mai perdere l'ottimismo e la fiducia nel prossimo, nonostante tante delusioni accumulate. Da qui è nata l'idea del titolo 'Clausura liberatoria', proprio per mettere in risalto le contraddizioni della vita, enfatizzando aspetti tra loro opposti che riguardano le relazioni tra persone, ricorrendo all'uso di metafore e figure retoriche. 

La voce del racconto ha due toni. Vivace nella prima parte, incalzante in un flusso di vicissitudini; emotiva nella seconda, più introspettiva, segnata da flashback che svelano la ragione di certe scelte. Quale delle due ha amato di più?

In realtà ho voluto tenere insieme tutte le componenti che caratterizzano questo viaggio metaforico intrapreso da Carolina (la protagonista del racconto), stando ferma. Si passa dalla sfera sentimentale, emozionale e profonda che anima il vissuto della donna nelle sue relazioni con gli uomini e le sue battaglie da don Chisciotte affrontate nella sua terra di origine spinta dal bisogno di contribuire a migliorare la società in cui vive, alla dimensione più dinamica, incentrata sulla descrizione di fatti ridicoli e assurdi realmente accaduti, per donare leggerezza e fluidità alla storia, in una logica di cerchi concentrici che alla fine si incontrano, lasciando un messaggio di positività. Quindi direi che resto in una posizione neutra rispetto alle preferenze da accordare ai diversi toni del racconto, perché li ho intesi come parte di un unicum, ricco di sfaccettature e spunti di riflessione che rispecchiano la vita di tutti noi, in fondo.

Il suo lavoro la porta di norma in giro per il mondo e a contatto con molte persone, mentre nella scrittura, come nell'esperienza del lockdown, cui il titolo Clausura liberatoria rimanda, c'è un inevitabile confinamento e isolamento. Che bilancio fa tra queste due condizioni lavorative del tutto diverse? Il confinamento è per lei liberatorio come per la protagonista del suo libro?

Parto dal presupposto che adoro il mio lavoro, sono fortemente motivata ed entusiasta per questo tipo di attività che mi porta anche a viaggiare molto spesso nel mondo. Ed era quello che facevo assiduamente sino al marzo 2020, anche se con un carico di sensi di colpa ogni qualvolta dovevo lasciare il bambino a degli estranei, reclutati in fretta e furia, perché dovevo sempre correre per stare al passo con i ritmi incessanti sul lavoro e non potendo delegare a nessuno di fiducia (non a caso descrivo nel racconto anche molte relazioni fallimentari con gli uomini) altre mansioni domestiche. Per questo, il repentino cambio di ritmi professionali e la brusca interruzione dei viaggi, il blocco di molte attività anche culturali e sociali che ci inducevano a frequentare gli altri, hanno generato dentro di me un senso di liberazione, soprattutto dall'esigenza di dover dipendere da babysitter (uomini perché mi illudevo di attribuirgli quell'autorità maschile che io non ero in grado di esercitare su Arturo). Ma poi, mi sono spinta oltre, viaggiando da ferma nell'universo dei pensieri e dei ricordi, rievocandoli attraverso la scrittura, in una sorta di atto catartico liberatorio. Il risultato è stato davvero incoraggiante e promettente, innanzitutto perché mi ha consentito di realizzare il sogno che avevo sin da bambina, ovvero quello di diventare una scrittrice da grande. Adesso, lasciando fluire liberamente la creatività, sono proiettata nella stesura di una trilogia. Dopo questa prima opera da esordiente, mi accingo a scrivere Bicicletta sul mare, dove torna Carolina, ma in una dimensione più intimistica ed esistenziale, che esprime il suo rapporto simbiotico con il mare e la fedelissima bicicletta. Arturo non c'è, o meglio non è ancora arrivato a gamba tesa nella vita della donna. Il terzo racconto si intitolerà invece “Sorelle d’oltre oceano”, per suggellare la forza dirompente ed enfatizzare le affinità elettive di un’amicizia tra sue donne, Carolina e Alice (un’italiana ed un’americana) che va ben oltre le distanze geografiche e resiste imperturbabile nel corso del tempo.

Nel libro ricorre infatti la presenza del mare, del suo rapporto così intenso fisicamente e foriero d’ispirazione anche per le sue decisioni. Le manca la Puglia, la terra dove è nata e cresciuta?  Pensa di rientrare prima o poi?

La nostalgia per i luoghi in cui siamo nati e vissuti penso che accompagni la maggior parte di coloro che si sono trasferiti nella vita, in altri posti nel mondo. Ammetto che il legame con la Puglia resta forte e intenso e si accentua soprattutto nei mesi estivi, quando mi mancano la luce, i colori, gli odori e la mitezza del clima della mia terra, nonché le nuotate nell'azzurro e cristallino mare. Inoltre, il legame con la famiglia resta inossidabile, per cui ogni occasione è buona per recarci con mio figlio, dai miei genitori e mio fratello. Non siamo numerosi, ma molto uniti e solidali tra noi. Il futuro è sempre incerto ed imprevedibile. A livello inconscio, proiettandomi nel presente in divenire, cercherò di investire il mio tempo, così prezioso per tutti, facendo coesistere l'equilibrio psico-fisico ed emozionale, all'insegna della qualità della vita.



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