Ivana,
ti sei definita da giovane “una ragazza arrabbiata con il mondo”, e oggi come
ti descriveresti?
È vero,
ho conservato una immagine di me giovane arrabbiata. Nella mia generazione ci
si sentiva padroni del mondo, una cosa che è andata sbiadendo nelle generazioni
successive. Dopotutto è stata la generazione della contestazione e per
contestare bisognava arrabbiarsi.
Come i
miei coetanei io pensavo di avere in mano il mondo e di poterlo cambiare,
praticamente lo consideravo un pari grado. Fino a
quando ho aperto gli occhi sulla disparità, lui superpotenza, io granello di
sabbia. Non sarei mai riuscita a cambiarlo, tanto valeva abbandonare la lotta e
firmare l’armistizio. Oggi io e
il mondo siamo una coppia matura, rodata, che si tollera, che sta bene insieme,
parecchie divergenze di opinioni, qualche litigio che mi fa venir voglia di
starmene sola ma senza le grandi arrabbiature di una volta. Ho
imparato a sorridergli.
La tua
rabbia sei riuscita poi a incanalarla in qualcosa di positivo?
Era una rabbia dovuta, una rabbia da ostentare, una rabbia da passatempo. Si è affievolita gradualmente senza bisogno di incanalarla. Le decisioni, le attività, le scelte che ora reputo positive non sono derivate da una rabbia incanalata.
A
proposito esiste a tuo avviso anche la rabbia positiva? Quando può essere
definita tale?
Sì, esiste, penso a quando grazie alla rabbia trovi il coraggio di prendere una decisione che hai sempre rimandato, di troncare una relazione malata, di cambiare un lavoro che stride con le tue aspirazioni. È una rabbia che trasmette forza, energia e ti restituisce dignità. Quindi è positiva.
La
famiglia che aiuto può dare in tale direzione ai propri figli?
La famiglia dovrebbe essere garanzia di amore e
affetto, e non è un aiuto da poco. Tuttavia anche il troppo amore diventa
controproducente se ad esempio un figlio arriva a ricattare un genitore e a
tenerlo ostaggio abusando del suo amore. Gli esperti in rapporti tra genitori e
figli sottolineano il concetto di
reciprocità, in parole povere “io ti do
se tu mi dai”.
Ogni situazione famigliare è diversa ma esistono casi estremi in cui la famiglia viene risucchiata all’interno della valanga del malessere, con l’ossigeno in calo, impossibilitata a vedere come stanno le cose. In una tale situazione la famiglia non può aiutare nessuno e ha bisogno di soccorso.
E la scuola?
La scuola fornisce l’istruzione, che è importante, ma svolge altre funzioni altrettanto importanti: se la famiglia è il primo nucleo di affetto, la scuola è il primo modello di società, è l’ambiente dove si vive, si interagisce, si condividono esperienze con coetanei, si coltiva l’amicizia e il confronto, è un pilastro di formazione e di crescita. Purtroppo nella scuola bastano alcune distorsioni di equilibri, penso ad esempio alla piaga del bullismo, per capovolgerne le potenzialità.
Credi
che l'arte in tutte le sue svariate forme possa essere un valide strumento in
tale direzione?
L’arte potrebbe essere per il nostro vivere quello che la tovaglia, le stoviglie, l’allestimento della tavola sono per un pasto: danno valore al cibo. É un insulto servire una buona pietanza su una tovaglia macchiata, eppure conosco persone che non si lascerebbero suggestionare. Il dubbio resta: l’arte è di per se necessaria o crea valore aggiunto al necessario? L’unica certezza è che l’arte non può far male.
Quanto
è stata importante per te la scrittura per trovare un tuo equilibrio interiore?
Ho spesso
utilizzato la scrittura come metodo di autodiagnosi, per fare il punto, per
mettere nero su bianco tralasciando momentaneamente la parte grigia e ottenere
un quadro definito.
Rileggermi
è come vedermi dall’esterno.
Il primo comandamento nelle tecniche di problem solving è non rimanere dentro il problema.
Per
quale motivo ancora oggi non viene riconosciuto un lavoro serio quello
esercitato da un artista che viene etichettato come una sorta di saltimbanco?
Se la
domanda di prima era difficile, questa è da lascia e raddoppia. Io lascio.
La prima
cosa che mi viene in mente - ma la mia risposta potrebbe essere fuori tema - è
che l’etichetta di saltimbanco non è peggiorativa.
Infatti l’artista è un creativo, spaziare è una sua prerogativa, spaziare significa saltare, essere una sorta di saltimbanco suona perfettamente.
E l'
aurea dei poeti dove è finita?
Non è finita, ogni epoca ha avuto la sua espressione di poesia, con la sua poca o tanta aurea. Perché dovremmo smettere adesso?
E che
fine faranno gli scrittori e i libri in questo mondo sempre più tecnologico? Ci
sarà ancora posto per loro?
Se ci pensiamo, la macchina da scrivere deve essere intervenuta pesantemente nelle abitudini di uno scrittore che riempiva i fogli a mano. La videoscrittura ha sostituito la macchina da scrivere e ha rappresentato un ulteriore passaggio di consegne. L’ebook è anch’esso figlio della tecnologia ed è uno strumento che soddisfa le esigenze di spazio di archivio libri, sia in casa sia in valigia, un oggetto che consente di leggere alla luce e al buio, che permette di allargare il carattere quando la vista si fa debole.