Anna Cantagallo e il 1° romanzo "Arazzo Familiare" ispirato dalla maturità. L'intervista

Abbiamo intervistato per i nostri lettori la scrittrice romana Anna Cantagallo, che ci parla del suo romanzo “Arazzo Familiare” (Castelvecchi), candidato al Premio Campiello 2021.

Una saga al femminile, costruita in un gioco sapiente di piani temporali, ricca di colpi di scena e intriganti segreti.

Che cosa o chi ha ispirato il suo romanzo?

Posso dire la maturità. Con gli anni, infatti, avevo elaborato dei pensieri che volevo esprimere non solo nelle discussioni tra amici. Quando ho capito che la forma migliore sarebbe stata la scrittura mi sono un poco spaventata. In fin dei conti, non mi ero mai cimentata in quella letteraria, pur avendo esperienza della divulgazione scientifica e della scrittura teatrale. Tuttavia, un pensiero che ritornava sempre più pressante era quello della consapevolezza della donna d’oggi. Per ricercane la genealogia sono andata indietro nel tempo, nella convinzione che il percorso femminile verso l’autonomia sia iniziato nel secondo decennio del Novecento. Gli eventi importanti dello scorso secolo, come le due guerre mondiali e i moti del ’68, pur nella loro drammaticità, hanno in qualche modo favorito la presa di coscienza femminile. Per questo motivo ho costruito una saga familiare in cui si parla di tre donne (nonna, mamma e figlia) le cui vite si intrecciano con tali avvenimenti. 

Qual è stato il momento più difficile da superare durante la stesura del suo libro?

Senza ombra di dubbio è stata la ricerca storica.  Ho dedicato molto impegno a studiare gli eventi storici maggiori e quelli meno noti del Novecento, come a documentare abitudini e usanze che appartenevano ai miei ricordi personali. Era un percorso necessario per descrivere un contesto storico e sociale credibile e verosimile. Mi sono anche appassionata della ricerca, confermando quanto il passato sia dentro di noi e così necessario a comprendere il presente.

Può raccontare ai nostri lettori il senso del titolo "Arazzo Familiare"?

Nel costruire la saga non ho voluto seguire la successione cronologica degli eventi. Ho preferito usare piani temporali sfalsati, modalità che mi ha permesso di coprire agilmente un arco temporale di ottanta anni. Con le tre storie che procedono autonomamente, fino a fondersi nel finale, questa architettura diventa la metafora dei fili che, intrecciandosi, formano il disegno di un arazzo. Il fil rouge che lega le tre donne è quello delle ricette di cucina trasmesse da una generazione all’altra.

Con questo romanzo è candidata al Premio Campiello. Che emozioni sta provando con questa candidatura?

Sono onorata di partecipare a un premio di tale levatura. Mi auguro che la giuria dei Lettori apprezzi interamente il romanzo, dall’obiettivo che mi ha spinto a scriverlo al contesto storico, espressione di un passato recente di cui ormai non si parla più. Il mio impegno è stato quello di far rivivere nel lettore le tracce seppellite nella memoria di abitudini, usanze e, soprattutto, di evidenziare le scelte di vita di chi ci ha preceduto, per mettere in luce il difficile percorso verso l’autonomia femminile. La condivisione del passato è una ricchezza che è dentro di noi, da utilizzare nel presente per migliorare il futuro. 

Scrittori si nasce o si diventa?

Questa è una domanda a cui non è così semplice rispondere. Ci sono persone che hanno una grande facilità con la parola scritta già dagli anni giovanili; altri che fino a una certa età non hanno mai scritto niente e poi sono letteralmente esplosi.

Chi per lavoro ha molta dimestichezza con la scrittura non è detto che possa diventare un bravo scrittore.

Credo che per scrivere da “scrittore” ci vogliano dei requisiti. Il primo è l’atteggiamento visionario, cioè la capacità di riconoscere quello che ancora non appare agli altri, andando incontro a un bisogno inespresso del lettore. Osservare la società e analizzare se stessi permette la creazione. Lo scrittore, infatti, crea con le sue storie una nuova realtà, quella che prima non c’era.

Il secondo è la capacità di comunicare il suo pensiero con un linguaggio limpido e accessibile, lontano dal narcisismo del suo sapere. Lo scrittore dovrebbe creare un clima di empatia affinché, attraverso le emozioni disseminate nel testo, il lettore possa condividere i suoi pensieri.

Infine, lo scrittore deve possedere la proprietà linguistica. Questa si può acquisire con una buona base culturale e con la lettura. Chi legge molto quasi passivamente introita un tipo di linguaggio che gli sarà utile per la scrittura.


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