La mafia ci rassomiglia

L’editoriale di Daniela Piesco, avvocato, su Il Corriere Nazionale.net, giornale internazionale on line diretto da Antonio Peragine
Vale la pena sottolineare che la ricerca dei significati del termine “Mafia” sia una ricerca necessariamente complessa, in quanto, da un punto di vista criminologico e socio-culturale, va di pari passo con la ricerca delle radici culturali, storiche e antropologiche del fenomeno sostanziale.

La mafia è un fenomeno antico, complesso e mutevole nel tempo, la cui esistenza per lunghi periodi è stata negata. 

È un fenomeno che cerca di rendersi invisibile ma al tempo stesso ha la necessità di essere percepito dalla società come presente e condizionante. È un fenomeno camaleontico e mimetico, nel contempo sempre profondamente uguale a se stesso, le cui specificità antropologiche, culturali e psicologiche caratterizzano il pensiero mafioso come unico ed inconfondibile.

La parola mafia cela uno stato d’animo, una filosofia della vita, una concezione della società, un codice morale, dati che costituiscono un modo di essere e di pensare che appartengono non solo agli uomini di una determinata organizzazione criminale ma che attraversa l’intera cultura locale.

Ciò premesso, l’approccio migliore per la comprensione del fenomeno è capire che l’identità e il modo d’essere di una persona si formano dall’incontro tra l’individualità psichica e biologica e la cultura di riferimento, prima di tutto la famiglia e i valori di cui essa è portatrice.

Questa area di indagine è stata definita da Innocenzo Fiore “il pensare mafioso”, quale sintesi dei significati relativi al modo di essere e di sentire, di guardare la vita, di creare e mantenere rapporti, di acquisire e trasmettere il sapere, tipici della cultura di appartenenza. E dunque prendendo a prestito le parole di Giovanni Falcone “se vogliamo combattere efficacemente la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro, né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.

L'illustre giurista, chiaramente si riferiva ad ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e disonestà che legittima i traffici economici e politici della criminalità organizzata e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.

Piuttosto, ancora, Giovanni Falcone, “per lungo tempo si sono confuse la mafia con la mentalità mafiosa”, poiché il mafioso non s’identifica col criminale in senso stretto ma con il cd ’uomo d’onore.' E dunque c'è la rappresentazione interna di un mondo buono formato da uomini d’onore (e perciò rispettabili) ed uno esterno malvagio (che costringe alla difesa dal diverso da sé) e l’identità mafiosa è l’alternativa “all’essere nessuno”.

La mafia ci rassomiglia in quanto indica un modus vivendi di cui tutti possiamo essere protagonisti con atteggiamenti e/o comportamenti che tendendo ai favoritismi e al clientelarismo, umiliano merito e capacità. In ogni caso rassomigliare non significa essere uguali. Un cambiamento è dunque possibile. 

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. La scuola è strategica per combattere mafia e il pensare mafioso perché le mafie si combattono e si vincono solo se si conoscono. 

Insegnare la cultura della legalità è diventato un compito difficile, nonostante il proliferare negli ultimi anni di associazioni e movimenti in suo favore. Appare sempre più evidente che educare le giovani generazioni al rispetto delle regole e alla convivenza, richieda dei processi lunghi e complessi, che non si esauriscono con delle sporadiche "giornate per la legalità". La soluzione verso un progressivo e lungo cambiamento risiede nelle limpide parole del giudice Caponnetto: "La mafia ha più paura della scuola che della giustizia". Ed è da lì che bisogna partire, dalla scuola, dall'istruzione, dall'educare le coscienze al giusto, dall'insegnare cosa siano le mafie, come agiscano, come si siano sviluppate e come continuano ad operare.

L'istruzione toglie il terreno sotto i piedi alla cultura mafiosa."

Se una società avesse come valori sono quelli che insegna (o dovrebbe insegnare) la Scuola la massima aspirazione di una persona non sarebbe la ricchezza, non il potere, ma sentirsi una brava persona, indipendentemente da tutto il resto.

La scuola ha il compito, attraverso l’educazione e la cultura, di insegnare ai più giovani quali sono i valori cui tendere.

Ecco, se la Scuola per assurdo riuscisse davvero a insegnare il rispetto di tutto questo, non esisterebbe la Mafia. Certo, questa, oggi, pare essere utopia. Però può e deve fare la sua parte. Come le altre istituzioni, prima tra tutte la famiglia. 

Daniela Piesco - www.corrierenazionale.net

redazione@corrierenazionale.net

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