Gaetano Aronica interpreta Varo: "Barbarians" ha scombussolato la mia vita con la potenza di un tornado. L'intervista di Fattitaliani al Presidente Fondazione Teatro Pirandello di Agrigento

Fattitaliani

Disponibile da venerdì scorso su Netflix, "Barbarians" ha subito ricevuto un grandissimo riscontro da parte del pubblico, tanto da risultare la serie più guardata durante il fine settimana. Sei episodi che culminano nella battaglia della foresta di Teutoburgo, una delle più grandi disfatte subite dall’esercito romano, avvenuta nell’anno 9 d.C., in cui le legioni di Publio Quintilio Varo furono annientate da una coalizione di tribù germaniche. Puntata dopo puntata, la storia diventa sempre più avvincente e coinvolgente per diversi espedienti narrativi efficaci e soprattutto grazie all'interpretazione dei protagonisti e di Gaetano Aronica, nel ruolo del governatore. L'attore agrigentino, Presidente della Fondazione Teatro Pirandello di Agrigento, racconta a Fattitaliani l'origine, lo svolgimento, l'impatto di questa esperienza sul suo percorso umano e professionale. L'intervista.
Come sei stato coinvolto nel progetto?
Nel modo più semplice che si possa immaginare. Sono stato contattato dalla mia agenzia, la Linkart di Roma, per un provino internazionale con Netflix. Essendo impegnato col Teatro Pirandello che per me è sempre al primo posto, ho fatto un selftape ad Agrigento, cioè un provino filmato da me stesso che la mia agenzia ha inviato all’ufficio casting. Dopo circa una settimana ho saputo che avevo sbaragliato la concorrenza e che i due registi, Barbara Eder e Steven Saint Leger mi avevano scelto di comune accordo e senza nessun dubbio: il mio provino era risultato il migliore, ma ancora in italiano e in inglese, nessun accenno al latino. Quello è avvenuto dopo, perché da quel momento è partita questa meravigliosa avventura che ha scombussolato completamente la mia vita privata e professionale con la potenza di un tornado. Mi sono ritrovato come nel film “Ritorno al futuro” dentro la macchina del tempo. E comunque, Agrigento mi ha portato fortuna. 
Che ti ha colpito subito del tuo personaggio e della sceneggiatura?
I personaggi non avevano ancora i loro veri nomi e all’inizio la storia era assolutamente coperta da segreto. Netflix e anche la Gaumont  erano molto attenti a questo aspetto. Avevamo l’obbligo di non far trapelare nulla, neanche di essere stati scelti. Per me non è stata una novità, ero già abituato con Tornatore a lavorare nella massima riservatezza. Lo trovo giusto: è il miglior modo per proteggere attori e progetto. La sceneggiatura era semplicemente meravigliosa. L’ho letta in inglese tutta d’un fiato. Era già cinema. Aggiungo che per me la sceneggiatura è tutto, o almeno, quasi tutto. Senza quella non si potrà mai realizzare un buon film, anche se hai tutti i premi oscar sul set.
Attraverso la serie hai conosciuto più "da vicino" la realtà dell'impero romano? 
Certo. È uno dei motivi per cui faccio questo lavoro; la possibilità di non arrugginirmi, di andare avanti con la ricerca, con lo studio, di colmare le mie lacune, di crescere, di capire di più. Ogni volta che affronto un progetto è per me l’occasione per approfondirne l’aspetto storico, culturale, antropologico;  ho letto Tacito e Giulio Cesare, ho cominciato ad appassionarmi a questa vicenda e mi dicevo: ma sto sognando? Davvero io sarò Publio Quintilio Varo? E perché hanno scelto proprio me in tutto il mondo? Una favola, una favola vissuta a cinquant'anni e anche più. Incredibile.
Secondo te, la serie potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione su come la storia viene raccontata e trasmessa? 
Sì. Succede anche a teatro quando si vogliono veicolare dei contenuti forti. Non bisogna dimenticare che lo spettatore ascolta e vede un’unica volta, dunque per evitare che si distragga bisogna avere una suprema perizia tecnica per rendere incisivo, spettacolare, unico, ogni passaggio. Netflix è stata fantastica e così registi, sceneggiatori e produttori; molto coraggiosi. I buoni e i cattivi non sono divisi a metà come due pezzi di mela, uno buono e uno cattivo, appunto. La complessità dei sentimenti, delle motivazioni, delle emozioni, delle scelte, rende l’ambiguità dei personaggi, ne mostra senza pietà i lati oscuri, ha il coraggio di rendere sgradevoli i protagonisti e anche molto umani, non sono dei personaggi da cartolina, inconsistenti e inutili. Ti rimangono impressi per questo.

Alla fine i "Barbari" sono chi: più i Romani o i Germani? 
Uno storico scrisse che dopo la battaglia di Teutoburgo il mondo non fu più lo stesso. Roma perse la Germania per sempre o … fu la Germania a perdere Roma? Erano due mondi troppo diversi. Per i Germani ciò che per i Romani era l’opera pubblica, la strada, la diga, la clessidra persino, era opera degli dèi, magia, qualcosa di soprannaturale che li sconvolgeva. Per il resto, in guerra l’uomo dà il peggio di sé, anche adesso, ai nostri giorni e i confini si confondono in un’unica scia di sangue.
Che rapporto personale intrattieni con il latino? ti è piaciuto recitare 'risuscitandolo'?
È stato bellissimo. Pensavo sempre a tutti i libri che riempivano la mia casa e la casa dei miei. Sono tutti ancora lì. Non ho il coraggio di toccarli. A casa mia erano sacri. Mio padre e mia madre potevano risparmiare su tutto, ma sui libri, sulle enciclopedie, persino sulle librerie che spesso dovevano essere ampliate, su tutto ciò che riguardava il sapere, non badavano a spese. La scelta del latino è avvenuta di notte, in contato telefonico con la regista Barbara Eder, la Gaumont e Netflix, una specie di intrigo internazionale. È stato meraviglioso. Non saprei dire altro.
E con Netflix?
Loro sono molto generosi con me. Rigorosi ma anche generosi. Posso dire di essere stato molto coccolato, lo ammetto. Non ho mai avuto un problema sul set, un’armonia straordinaria, mi adoravano e io li adoravo. Parlavo con tutti e con il mio inglese li facevo anche sorridere. Parlavo persino con il mio cavallo: Eko. Siamo diventati molto amici. Ogni tanto scappavo nei boschi con lui e sentivo dopo un po’ il megafono della regia che mi riportava all’ordine: “Gaetano, come back on the set, please  don’t  play with the horse, come on…”. Fantastico.  C’erano proprio tutti: tedeschi, russi, inglesi, irlandesi, francesi, americani, sudafricani, giapponesi, austriaci, c’era tutto il  mondo, io una macchina da spettacolo così non l’avevo mai vista e neanche immaginata. E ne ho fatti di film…

Puoi condividere con noi una curiosità legata a "Barbarians"?
Due curiosità: la prima è che ho vinto il provino su 400 attori sul ruolo solo in Italia, tutti di fama e di esperienza per ovvi motivi. Insomma, considerata la posta in gioco, questo provino lo hanno fatto veramente tutti. E non solo in Italia. La concorrenza era in tutto il mondo. E arrivare primi contando solo sulle proprie forze è una cosa molto importante. La seconda è che nel party di fine lavorazione film a Budapest, la produzione ha deciso di dare una password molto originale e per me lusinghiera agli invitati: VARUS, il nome del mio personaggio. Ho capito in quel momento di essere entrato nel cuore di tutti e questo avrà sicuramente un futuro. Io conosco un solo modo per andare avanti: lavorare bene, non so fare altro… In questo film me lo hanno permesso, non è poco, credetemi. Ti confido un segreto: Credo che mi abbiano scelto anche perché somiglio al Giulio Cesare di Asterix, ma non lo dire a nessuno, shh…. Giovanni Zambito.

Foto in copertina: L'espressione di un immenso Gaetano Aronica nella scena finale in cui attonito assiste alla disfatta.
Fattitaliani

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