Ecco alcune comunità umane vicine a tutti, a tutti conosciute eppure distanti e estranee: alludiamo ai figli di Abramo, ai figli di Partenope, ai figli di Saturno: gli Ebrei, i Napoletani e i Ciociari, quanto contigui e quanto simili.
I figli di Abramo da sempre, fino ad oggi, perseguitati e da tutti o quasi tutti, a seguito di accuse e tradizioni false e bugiarde, fatti segno dell’insulto, dell’oltraggio, della violenza gratuita, dovunque nel mondo, ieri come oggi. Se si chiede: ma perché tale odio? Perché di odio si tratta. Perché? Nessuno è in grado di rispondere, solo tanti pregiudizi, tra cui la storiella dell’assassinio di Gesù Cristo. La risposta vera è: violenza innata, la ferocia dentro ognuno di noi verso il diverso, anche se diverso non è, lo diventa perché si chiama ‘ebreo’ e non siciliano o pugliese o svizzero. In verità li temono, perché una esperienza secolare di soprusi, di violenze, di sofferenza, di emarginazione, di oppressione soprattutto dalla chiesa cattolica, li hanno temperati e preparati: ogni ebreo davanti alla porta ha sempre le valige pronte! Sono preparati a tutto, a tutto pronti! Nulla temono, solo la violenza cieca. Apertura mentale cosmopolita, universale. Con lo studio indomito, la preparazione profonda, la moralità e spirito religioso ineccepibili e rigorosi: le professioni che perseguono e che professano sono quelle che si possono esercitare dovunque, senza vincoli, sradicate: le artistiche, le scientifiche, le letterarie, quelle finanziarie e commerciali e imprenditoriali, nel segno della libertà al di sopra di tutti, come il suonatore di violino che vola sulle case, il loro simbolo. E quindi si assiste a che i grandi e spesso i più grandi, direttori di orchestra, violinisti, pianisti, scienziati, banchieri e finanzieri, scrittori, poeti, certe categorie di medici per esempio i dentisti, sono ebrei.
Il tempio di Saturno gigantesco e tramandato dalla storia e di cui si conservano le vestigia nel Foro Romano fu costruito dagli Atinati in onore di Saturno leggendario fondatore della loro città, in Valcomino: Saturno era un immigrato fuggitivo dalla Grecia, emigrante ed è qui, in Valcomino, coincidenza della Storia, che nasce la emigrazione in Italia: già alla fine del 1700 li cominciamo a incontrare per le strade di Londra o di Parigi o di Edinburgo nei loro abiti colorati e le strane calzature ai piedi e con l’organetto in mano, suonando per le strade: organetti a quattro massimo otto bassi, quindi facili a suonare… ed economici. A poco a poco si inseriscono nell’ambiente, con attività meno precarie e tra queste il commercio: saranno loro a diffondere in tutta la Scozia il consumo del gelato e in Irlanda i ristoranti e caffè di fish & chips, di pesce e patate, un piatto amato e ricercato dalla popolazione è quasi loro monopolio.
E i napoletani? Al di là della retorica diffusa la Unificazione portò a Napoli e non solo a Napoli, grande fame grande degrado grande miseria grande ferocia e poi disordini e perfino colera. E qui ci arrestiamo. E perciò iniziò il processo terribile della emigrazione, inizialmente poche migliaia ma poi numeri giganteschi al di là degli Oceani: certe statistiche non si conoscono o non si dicono ma certamente Napoli si svuotò! La diaspora napoletana dalla città e dalla sua regione fu una realtà triste e terribile come ogni fatto migratorio ma ebbe un qualcosa in più che in qualche modo la distingue e la innalza: il trauma della partenza e dell’addio, la rinuncia ad un luogo come Napoli unico al mondo, anche il napoletano ha avuto la fortuna o saggezza di temperarlo e di addolcirlo…con il mandolino, con la canzone! E quali canzoni! Le sole parole e la musica celebri ormai in tutto il mondo, oggi più che allora, sono permanente motivo di inaudita nostalgia e tristezza: quali parole!
Esodo e musica, la musica che consola e allevia il dolore della partenza: il violino per gli Ebrei, l’organetto per i Ciociari, il mandolino per i Napoletani!
Anche se una nicchia minuscola della emigrazione nazionale, merita menzione nel presente contesto migratorio…musicale, l’emigrante di Viggiano, un paesino a mille metri di altitudine in provincia di Potenza che verso la fine dell’Ottocento quasi si spopolò a seguito dell’esodo dei suoi figli: l’emigrante di Viggiano era accompagnato nella sua peregrinazione da uno strumento musicale dolcissimo, l’arpa, che fa parte della tradizione locale: aspetto curioso è che le arpe hanno diverse dimensioni, alcune più alte del musicista! e, seconda caratteristica, non pochi di loro così abili e dotati da divenire membri di filarmoniche e di orchestre dei paesi dove approdarono.
Michele Santulli