«È una storia di emigrazione, amore e speranza in uno
dei più suggestivi paesi del pianeta che ho avuto la fortuna di visitare più di 10 anni fa» - di Andrea Giostra
Ciao Luca, benvenuto e grazie per aver accettato il
nostro invito. Come stai e come hai passato questi mesi di Covid-19?
Grazie Andrea, è sempre un grande onore. Sto molto
bene. Ho passato questo periodo scrivendo e registrando dei piccoli video con
mio figlio. Abbiamo letto tanto e ci siamo molto divertiti riscoprendo un vero e
solido rapporto padre figlio. Ci sono stati momenti di tristezza ma ricorderemo
sempre quando, in quelle notti silenziose e nerissime, il mio ragazzo di 7
anni, mi leggeva Lo scrivano fiorentino, L’infermiere di Tata o Dalle
Appennini alle Ande, e si entusiasmava di Bottini, di Franti, di De Rossi
sognando un ritorno a scuola. Avevamo ribaltato i ruoli ed era lui che doveva
farmi addormentare. Ho scritto tanto, davvero e ho ripreso anche questo vecchio
progetto ambientato in Laos.
Il tuo nuovo romanzo, “In Laos: Memorie di un
amore”, è appena stato pubblicato. Ci racconti come è nato, quale l’idea
dominante e quale il lettore che hai immaginato mentre lo scrivevi?
Da quando sono andato per la prima volta in America
per lavoro, mi sono sentito un emigrante e ho analizzato, compreso, capito
questa condizione schizofrenica, quella di essere scisso tra due mondi: quello
da cui provieni e quello che ti “ospita”. Nel 2014 ho pubblicato per Historica,
Pietre sull’Oceano. La storia di Giovanni
Esposito e Joe Petrosino, un romanzo che è stato un successo internazionale
e che raccontava dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti, quella che si
faceva sui bastimenti. Un’opera che si consumava in un arco di tempo lungo 120
anni, dall’Unità d’Italia del 1861 al terremoto in Irpinia del 23 novembre
1980. Sulle ali dell’entusiasmo, nel 2015 ho iniziato ad abbozzare altri due
romanzi su quella che doveva essere la mia trilogia
dell’emigrante. Il secondo romanzo dal titolo Il cane di stoffa, avrebbe dovuto raccontare dell’emigrazione in
Svizzera e in Germania nel anni ’60 e ’70, quella fatta in treno o in
automobile, accompagnati appunti dai cani di stoffa dalle teste a molla che “dicono
sempre sissignore o nossignore”. Una storia amara con personaggi da
commedia all’italiana e che segue le vicende pirandelliane tra Zurigo e
Norimberga del “magliaro” Nicola Loturco originario di Zagarolo. Ho deciso però
di accantonare un attimo questo secondo capitolo e di proporre prima il terzo, che
si concentra sulla nuova migrazione italiana verso i paesi asiatici, quella che
si fa per colpa della nuova crisi mondiale. Ho rimesso a posto i capitoli, ho
aggiunto qualche elemento che potesse anche velatamente avvicinarci a questo
periodo orribile della storia mondiale e ho deciso di pubblicare con Amazon Media
questo romanzo che è una storia sulla speranza, sulla diversità, sull’amore per
le piccole cose, sull’amicizia, sull’intolleranza, sull’ignoranza. Una storia
pensata per chi vuole comprendere quali siano gli ostacoli dell’amore,
ovviamente il tutto descritto con gli elementi che amo di più, quelli del noir,
del viaggio, della società cannibale e del senso di colpa degli uomini.
Qual è la storia di questo libro? Senza fare spoiler
ovviamente, ma solo per incuriosire il lettore di questa intervista.
È una storia di emigrazione, amore e speranza in uno dei più
suggestivi paesi del pianeta che ho avuto la fortuna di visitare nel più di 10
anni fa. Armando Pacifico è un operaio
specializzato con 40 anni di lavoro e solo 17 di contributi versati. Gli avevano
sempre detto che lavorando a nero, avrebbe guadagnato di più. Gli avevano
mentito! Armando Pacifico oggi ha 59 anni, è in cassa integrazione da che la
crisi ha sbranato la sua stessa esistenza, ancora una volta, dopo quel tragico
terremoto del 1980 che lo spinse a lasciare la terra in cui era nato. Una prima
migrazione verso Ventimiglia con la famiglia superstite ed ora eccolo volare
ancora più lontano, per garantire lo stesso tenore di vita ad una moglie
pachidermica ed un figlio poco portato per lo studio. Nella città di Vientiane,
nel Laos uno stato a partito unico e poverissimo, lavorerà ad un tunnel idrico
per una ditta italo-canadese, giù sino a 4 km nelle viscere della terra in
compagnia di altri cinquanta operai. Molti sono italiani e tra di loro non
corre buon sangue, tra campanilismi e sete di rivalsa; i più squallidi trovano
sesso facile appena oltre confine, alcuni sono uomini abbrutiti dai vizi,
dediti a pratiche che li avrebbero fatti arrossire in Italia, altri vorrebbero
sparire per sempre, gli ultimi sognano l’Italia bella in cui erano nati e
vorrebbero ritornare per costruire futuro. In cantiere Pacifico trova un unico
vero amico, l’abruzzese Florindo, innamorato di Janel, una ragazza thailandese
troppo giovane e povera per desiderare un amore normale. Florindo è un “cuore
buono” e generoso a differenza degli altri che odiano il signor Pacifico, non
troppo ligure e non del tutto campano. Nel paese asiatico vige un’altra
cultura, un altro mondo ed una società attenta persino alle unioni tra forestieri
e locali che sembrano “tacitamente bandite”. «Una donna che ama un occidentale
non sarà mai una buona moglie!» ripete qualcuno al mercato della frutta. La
Repubblica Democratica del Laos ha una storia recente con numerose ferite non
ancora rimarginate, come quella di essere stata la discarica della “sporca
guerra” in Vietnam. L’odore del Napalm ritorna negli incubi sensori di troppi
locali e genera morti. Le foreste, le paludi, gli agglomerati urbani, sono
infestati di bombe inesplose e, di tanto in tanto, qualche locale ci salta
sopra; i meno fortunati, restano in vita ma menomati per sempre. Il popolo dei
disperati vive ai margini della città oltre la ex Bibliothèque Nationale dove,
ad incorniciare la polvere, sono rimaste solo le copertine dei gloriosi libri
che la coloravano. I luoghi della cultura sono mammut muffiti trasformati in
gelidi uffici governativi che si professano aperti “ufficialmente” al turismo.
Nella capitale, però, basta essere sorpresi con un libro di Marin Preda o una
frase di Bergson per sparire nel nulla. In questo luogo di silenzi ed odori
pungenti, Pacifico si vede circondato da un popolo felice seppur condannato
all’ oblio. Si dispensano inchini, sorrisi e vengono taciute le speranze intime
di futuro. Pacifico vorrebbe fare qualcosa, cercare l’anima della città e ben
presto prenderà a cuore la storia di Lei, una giovane “cameriera” con un nipote
vittima di una bomba inesplosa.
Qual è il messaggio che vuoi che arrivi a chi lo
leggerà?
Un messaggio di pace, finalmente, immagino un mondo senza più tensione e
senza menzogne perché le menzogne, soprattutto quelle dette dai potenti,
generano depressione sociale e negazione della libertà. Se il gesto di un
singolo può influenzare persone sino al sesto grado, le parole dei leader della
terra possono generare uragani irreparabili. Questo libro parla di amore, di multi
cultura, di diversità e delle menzogne generate da un sistema in cui lo stesso
sentimento sembra essere bandito. C’è quasi il divieto ad essere se stessi, il
divieto di amare, il divieto a leggere certi libri o a compiere azioni normali
perché considerate sconvenienti. Il divieto, insomma, ad essere liberi. Ecco In
Laos parla di libertà sociale contro una società che ci impone stereotipi e
uniformità. Io spero possa passare il messaggio di essere sempre se stessi, di
scavare nelle proprie emozioni per poter comprendere anche le vite degli altri.
Per questo ho ambientato il romanzo in uno dei luoghi che mi hanno affascinato
di più al mondo. Un luogo povero ma pieno di dignità e di storia che combatte
in maniera silenziosa per l’affermazione della propria libertà.
Una domanda difficile Luca: perché i nostri
lettori dovrebbero comprare questo romanzo? Prova a incuriosirli perché vadano
in libreria o nei portali online per acquistarlo.
Oltre a quello che ho già raccontato, credo che proprio questo libro, in
quanto oggetto, possa incuriosire il lettore. Ho pubblicato il romanzo in un
volume un po’ atipico e quando il lettore si troverà in mano l’opera nella sua
forma fisica non potrà fare a meno di notarne “la diversità”. È una
provocazione ma, allo stesso tempo, il far prendere coscienza a chi avrà in
mano questo volume che un libro se letto è compreso, è un oggetto
imprescindibile per lo sviluppo della nostra consapevolezza di esseri umani. I
buoni libri, e spero questo lo sia, sono i mattoni che ci fanno fare un
ulteriore passo verso una scala evolutiva superiore. Il libro è l’esperienza
altrui che rimane nel nostro Io, per questo ho scelto un formato “diverso”, a
sottolineare il peso e la presenza che la Cultura deve avere nelle nostre vite.
Ho voluto sperimentare questo nuovo formato perché sono convinto che il LIBRO
sia anche un amico e la sua presenza non dovrà mai lasciare le nostre vite, le
nostre case, le piccole cose, i nostri sguardi, il nostro cuore. Un LIBRO deve
essere un oggetto a cui affezionarsi per sempre, soprattutto dopo questo atroce
periodo. Credo che la copertina di In Laos si esplicativa, la foto di questa
donna che torna fiera dalle risaie la considero sia un'opera d'arte sia
l'inizio di un viaggio che un giorno potrebbe tramutarsi in un film. Confido in
un feedback sincero da parte dei lettori, solo così anche la mia
crescita come autore, sarà completa.
C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a
realizzare e a scrivere questo libro? Se sì, chi sono queste persone e perché
le ringrazi pubblicamente?
Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno donato un
sorriso, quelli che mi hanno raccontato le proprie storie. Lo scrittore e amico
Draguo Cabasciula con cui ho fatto il viaggio in Laos e Luca Onesti, un mio
amico autore, un viaggiatore che è stato il primo a leggere il libro. Ringrazio
le persone sincere e, soprattutto mio figlio che mi ha fatto riscoprire la
voglia di sognare e di viaggiare anche restando chiuso in una stanza. Inoltre
ringrazio le persone come te, Andrea Giostra, che fanno tanto per la cultura e
per gli autori. Non ringrazio chi sta uccidendo la scuola, forse rea di non
produrre un PIL immediato, anzi condanno chi non mette al primo posto della
nostra rinascita la cultura e la formazione dei nostri ragazzi e spero che
saranno tante le voci che si faranno sentire in tal senso. Uno stato senza
istruzione è uno stato senza futuro e quindi senza economia del domani, spero
che questo venga compreso da chi ci governa.
Ci parli delle tue ultime opere letterarie? Quali sono
e di cosa parlano?
Ho molti inediti che presto pubblicherò, forse un paio
con uno pseudonimo oppure la gente si stancherà di leggere ancora il mio nome.
Presto ripubblicherò Credo in un solo Padre, un romanzo verista scritto
a quattro mani nel 2017 con Michele Ferruccio Tuozzo da cui è tratto il nostro
film dal titolo omonimo che uscirà a breve e che è stato già venduto in diversi
paesi. Si tratta di un libro e di un film contro la violenza sulle donne, la
violenza domestica, un film ambientato in un contesto rurale e durissimo. Una
storia tragica e attualissima. Il film sono sicuro che piacerà a tanti perché è
un vero pugno nello stomaco e che ha tra gli interpreti Massimo Bonetti, Anna
Marcello, Giordano Petri, Jonis Bascir, Cloris Brosca, Donatella Pompadour,
Chiara Primavesi, Silvia Bertocchi, Marc Fiorini, Aldo Leonardi, Maurizio
Ferrini, e tanti piccoli e straordinari interpreti come Alessandro Sorrentino,
Yuri e Sveva Rosa, Denis Tuozzo, tra le altre cose è l’ultima immensa
interpretazione del mio grande amico, il genio Flavio Bucci che ci ha lasciati
a febbraio.
C’è qualcuno di questi libri ai quali sei
particolarmente legato? Se sì, perché proprio questo?
Sono legato a L’amico speciale, un libro
ambientato a Palermo la città che amo di più e che mi ha regalato tante
soddisfazioni. Edito dalla Newton Compton e che presto uscirà anche in
audio libro edito dalla Emons.
Ti va di consigliare ai nostri lettori tre libri e tre
autori da leggere durante questa estate? E perché proprio questi libri e questi
autori?
Sono un grande cultore della letteratura delle
cosiddette minoranze anche se è un concetto davvero relativo, “dipende da che
parte guardi il mondo”, come cantava lo sfortunato poeta-cantante Pau Dones. Sono convinto che
il Sapere ci salverà quindi, piuttosto che rinnegare il passato senza capire
come costruire il presente, invece di bandire Via col Vento, i
cioccolatini o censurare Mark Twain, sarebbe bene andare a fondo alle questioni
sempre con la solita parola Cultura (lo ripeterò finché avrò voce) da inculcare
ad un’umanità che si sta imbarbarendo. Detto questo che è già un’ottima premessa,
direi di riscoprire la letteratura afroamericana e andarsi a leggere autori
come Richard Wright e William Baldwin. Nel dettaglio consiglio: L’occhio più
azzurro del premio Nobel Toni Morrison. I libri di Randal Kenan che
descrive cosa voglia dire essere afroamericano e gay negli Stati Uniti e che è
un aggiornamento del pensiero di William Baldwin. Infine un libro poco
conosciuto dal titolo I loro occhi guardavano Dio scritto da Zore Neale
Hurston una afroamericana repubblicana ma libertaria che portava avanti la
teoria dell’auto aiuto. Consiglio questi nomi oltre ai soliti Amatissima, Il
colore viola e Radici per comprendere
cosa voglia dire “rabbia” in tutti i sensi. Io che ho una famiglia come si dice
“mix-race” sto scrivendo un romanzo a riguardo, ancora top-secret. Attualmente
sto rileggendo L’estate di Watts di Robert Conot perché se non usiamo,
ancora una volta: LA CULTURA, la storia si ripeterà ancora più tremenda, vedi
l’orribile caso Floyd. Per ragionare sulla nostra vita non serve essere
scienziati, basta farsi solo una domanda: e se succedesse anche a me?
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi
dire ai nostri lettori?
Buon risveglio! Ricordatevi che non siete soli e anche
se a distanza vivete in un mondo in cui ci sono altri essere viventi. Non dico di amarli
tutti ma sappiateli almeno rispettare, solo così sarete rispettati.
Luca Guardabascio
Link del libro:
Andrea Giostra