Non c'ero mai stato di Vladimiro Bottone, La narrazione al servizio del senso umano più profondo


Scrivere un giallo-noir non è affatto un gioco da ragazzi, anzi richiede doti affabulatorie e di organizzazione strutturale assolutamente non di poco conto.
Procedimenti che, però, possono vivere forti di una lunghissima storia letteraria alle loro spalle, dalla quale poter attingere a piacimento per la trattazione di particolari argomenti o anche semplicemente per esercizi di stile che fanno proprio della struttura il principale campo d'azione.
Ma scegliere di cimentarsi nel campo del giallo-noir abbracciando solidi valori psicologici ed esistenzialisti per tirarne fuori un'opera universale in grado di coinvolgere varie tipologie di lettori (anche solo grazie a un dato contenutistico di livello superiore a semplici battiture dispiegate su carta), converrete, non è affatto comune tra gli autori meglio disposti a non ingraziarsi a tutti i costi ampie fette di pubblico generalista. Anzi, i migliori autori di post-noir esistenzialista – chiamiamolo pure così – sono proprio quelli che rifuggono dalle scappatoie stilistiche da stampino per accasarsi nei palazzi diroccati del senso umano più profondo, quella costante ricerca del sé universale capace di fronteggiare i propri stessi limiti fuoriuscendo dalla pagina per entrare con forza nelle vite quotidiane di chi davvero vuole lasciarsi approfondire dal testo per poi donarsi alla condivisione di questa o quella caratteristica diegetica da confrontare con la propria personalissima condizione terrena.

Ed è proprio quello che – in parallelo ma senza nulla da invidiare a diversi grandi maestri – riesce a fare Vladimiro Bottone col suo nuovo interessantissimo romanzo Non c'ero mai stato (Neri Pozza editore), ponendo sullo stesso livello esistenziale due figure caratterialmente divergenti ma, nella sostanza – e in seguito ad una abilissima costruzione di senso per tramite della parola scritta – complementari laddove l'una arriva in soccorso delle esigente interiori dell'altra e viceversa.
Ernesto Aloja, ex editor letterario con alle spalle una vita trascorsa a correggere e far emergere romanzi di altri senza aver mai avuto la forza (o il coraggio?) di portarne a termine uno tutto suo, viene letteralmente catapultato in una spirale vorticosa di eventi sia materiali che – soprattutto – interiori in seguito all'incontro con una giovane scrittrice, Lena di Nardo, che di vita ne ha da vendere, anche e soprattutto da una prospettiva particolarmente difficile da sostenere se non con un enorme bagaglio di coraggio e di rinnovata volontà nell'affrontare le insormontabili intemperie della vita (morale e intellettuale) contemporanea. Bagaglio che Ernesto, in realtà, ha all'attivo da diversi decenni, anche se non ne ha mai fatto verbo nemmeno con le sue due docili amanti, pur non riuscendo mai a far espatriare dal suo percorso esistenziale una considerevole stirpe di demoni e fantasmi reali.

Lo scontro caratteriale tra i due è inevitabile, ma non avrà mai il peso piuma di un semplice rapporto professionale, anzi sfocerà in una simbiosi intellettuale e spirituale che riporterà Ernesto faccia a faccia con quei terrificanti demoni di cui si è sempre illuso di saper fare a meno. Sullo sfondo di una Napoli tetra, oscura e poco promettente in termini di solarità da mera canzone d'antan, l'orlo del precipizio raramente appare così a portata di mano in quanto unica possibilità di salvezza dal tormento di un sé che torna a chiedere il conto.

Titolo: Non c'ero mai stato
Autore: Vladimiro Bottone
Genere: Narrativa contemporanea
Casa editrice: Neri Pozza (collana Bloom)
Pagine: 400
Codice ISBN: 978-88-545-20-295

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