di Damiano
Conchieri - Disegna da quando ne ha memoria, Silvia Dotti, eppure ha
scelto inizialmente un'altra strada lavorativa. Ma poi ha deciso di
seguire finalmente il cuore! Oggi è una bravissima illustratrice e
ha uno studio insieme a colei che è stata la sua più grande
maestra.
Silvia,
quando e come è nata la tua passione per il disegno ad acquerello e
come sei diventata un'illustratrice?
Disegno
da che ho memoria. Mio padre e mia madre lavoravano presso una ditta
produttrice di colori per Le
Belle Arti e
ho sempre avuto colori e album da disegno a volontà. Passavo il mio
tempo tra tempere e pastelli colorati. La passione per l’acquarello
è venuta molto dopo, anche se ricordo che il primo acquarello in
assoluto l’ho realizzato alle elementari. La ditta presso la quale
lavoravano i miei genitori realizzava anche opuscoli e libri che
descrivevano approfonditamente tutte le tecniche pittoriche e vi era
anche il volume dedicato all’acquarello. Lo portai a scuola, e in
una pausa pranzo la mia insegnante mi fece copiare uno di quei
disegni. Era un paesaggio, e ricordo quella giornata con grande
piacere. La passione per l’illustrazione è cresciuta di pari passo
con quella del disegno. Ho sempre adorato le fiabe, e da piccola mi
divertivo a sfogliare i libri illustrati che avevo in casa e a
copiarne i disegni. Prediligevo le principesse. Nel 2012 partecipai
ad un concorso con un mio racconto per ragazzi e vinsi il secondo
premio. La casa editrice allora mi chiamò e mi chiese se volessi
realizzare io le illustrazioni della mia storia. Ovviamente dissi
subito di sì. Da allora realizzo illustrazioni ispirate al
fantastico, alla mitologia e al folklore che condivido sulla mia
pagina Facebook
www.facebook.com/SilviaDottiIllustration.
C'è
qualche fumettista o illustratore/trice alla quale ti sei
maggiormente ispirata per riuscire a concepire quello che poi è
diventato il tuo stile?
I
libri che preferivo in assoluto quando ero piccola erano Le Fiabe
Sonore (le ho tuttora) e sono contenta quando qualcuno, dopo avere
visto i miei disegni, mi dice che gliele ricordano. Oltre alle Fiabe
Sonore,
a casa ho una vastissima collezione di libri illustrati sempre con lo
stesso stile fiabesco e romantico.
"Silvia Dotti in un ritratto di Damiano Conchieri" |
Parlando
di arte in generale, anche nella storia, chi è il tuo pittore
preferito in assoluto?
Sono
due i pittori dei quali cerco di non perdermi nemmeno una mostra:
Klimt e Mucha, ai quali mi ispiro ogni tanto nei miei lavori. Di
Klimt amo la profusione d’oro e le fantasie accese, mentre Mucha
rispecchia il mio spirito romantico.
E
spostandoci invece sulla letteratura, il tuo scrittore o scrittrice
preferito/a?
Jane Austen
e le sorelle Brontë. Ho letto quasi tutti i loro libri, visitato in
Inghilterra i luoghi dove hanno vissuto, e visto le trasposizioni
cinematografiche dei loro romanzi (quella che preferisco è Jane
Eyre di Franco Zeffirelli). Le loro storie
parlano di un tempo passato e sono intrise di passioni e
romanticismo. Non ce n’è una nella quale non mi sia immedesimata,
e, naturalmente, sono state di ispirazione per i miei lavori.
Parlaci
un po' a ruota libera del tuo percorso artistico.
Come
già accennato, ho sempre disegnato fin da piccola. Avevo album e
colori ovunque. Ad un certo punto desiderai avere una tela.
Insistetti talmente tanto che mio padre me ne portò a casa una. Io
ero piccola e quella tela mi sembrava gigantesca. Ci feci su uno
scarabocchio ma fui molto soddisfatta. Alla fine della scuola media
scelsi di studiare lingue. Tuttavia, non volevo abbandonare la mia
passione. Mia madre prese quindi contatto con Gianfranca Baldini, che
allora aveva un piccolo studio di pittura a Paullo, la quale accettò
di darmi lezioni private. Divenni la sua prima allieva. E
quell’incontro sancì un’amicizia che dura tutt’ora. Con
Gianfranca, imparai a dipingere anche su legno, vetro, stoffa, e
porcellana. Non smisi mai di frequentare lo studio, anche se il mio
percorso di studi mi portò all’ Istituto Superiore di Interpreti e
Traduttori. Conseguito il diploma, cercai lavoro nel mio campo, ma mi
resi subito conto che non era ciò che volevo dalla mia vita.
Nel
2008 proposi alcuni miei lavori per una mostra a Palazzo Spinola a
Genova e vennero accolti. Quella di Palazzo Spinola fu la prima di
una serie di mostre collettive alle quali ho partecipato sia in
Italia che all’Estero (Milano, Roma, Desenzano, Bruxelles, Udine).
Nel 2013-2014 partecipai anche ad una collettiva durante le edizioni
primaverili ed autunnali di Elfia,
il festival fantasy più grande d’Europa, che si tiene in Olanda.
Vedere i miei lavori esposti insieme a quelli di Linda Ravenscroft,
Stephanie Pui-Mun Law e Amy Brown fu un’emozione immensa. A quel
punto compresi che dipingere era proprio quello che volevo fare e lo
scorso anno feci il “grande passo”: lasciai il mio lavoro di
impiegata per iniziare una vita nuova nello studio di pittura insieme
a Gianfranca. Oggi trovate me e Gianfranca nel nostro studio in via
Matteotti, 13 a Paullo. Realizziamo creazioni uniche, dipinte a mano
e offriamo corsi di pittura per ragazzi, un’esperienza davvero
arricchente. In parallelo proseguo la mia attività di illustratrice
legata al mondo fantastico, alla mitologia e al folklore e gestisco
un negozio online dove, oltre alle mie opere originali, sono presenti
anche stampe e cartoline (www.etsy.com/shop/silviadotti).
Quali
sono state le più importanti case editrici per le quali hai lavorato
e che ti hanno maggiormente resa orgogliosa?
Il
mio primo libro (quello del concorso di cui ho parlato) fu edito da
Badiglione Editore. Successivamente partecipai ad altri concorsi e
pubblicai con Edigiò e Tomolo Edizioni, con le quali ho lavorato
molto bene e con le quali si è creato un bellissimo rapporto.
Parallelamente ho lavorato anche per privati. Nel 2013 mi contattò
una scrittrice americana (D. D. Solomon), per la quali illustrai tre
libri della collezione Expeditions
in learning.
Erano storie ambientate in Vietnam, Nepal e Nicaragua ed insegnavano
ai piccoli lettori aspetti della cultura locale. Per rendere le
illustrazioni più realistiche la Solomon mi inviava le foto dei suoi
viaggi in quei luoghi, foto che ritraevano paesaggi, edifici e
persone. Un’altra esperienza che non dimenticherò è stata lo
scorso anno, quando Tomolo Edizioni mi propose di illustrare una
leggenda giapponese: La
Principessa della Luna.
Per realizzare le illustrazioni mi sono ispirata agli ukyo-e e mi
fece piacere quando mi dissero che i costumi dei personaggi erano
storicamente accurati.
Sappiamo
anche che hai vinto un premio recentemente, ce ne vuoi parlare?
A febbraio ho partecipato al concorso “Quattro
Castella in fabula” indetto da Tomolo Edizioni e mi sono
classificata prima nella sezione albi illustrati. Il tema del
concorso era Matilde di Canossa, storie o leggende ispirate alla
Contessa. Ne conoscevo una, quella del miracolo di Orval, in cui una
trota recupera la fede nuziale che la Contessa perde in un ruscello.
La trota con in bocca l’anello è divenuto anche il logo della
birra Orval, prodotta nell’omonimo monastero. Matilde è una figura
a me molto cara, una donna di grande carisma ma estremamente sola,
che incarna perfettamente lo spirito dell’uomo medievale.
Hai
pensato di scrivere e illustrare una storia tutta tua al 100%? E se
hai già avuto il piacere di farlo parlacene pure liberamente.
I
libri che ho pubblicato con Edigiò e Tomolo Edizioni sono tutti
scritti da me. Le mie storie generalmente si ispirano a leggende,
come appunto quella che ha per protagonista Matilde di cui ho parlato
poco fa. Altre storie ispirate a leggende sono “La principessa
Sabra e il Drago” – Edigiò (una rivisitazione della leggenda di
San Giorgio), “Il Gallo di Barcelos” – Edigiò (una leggenda
portoghese) e “La Ballata di Fiordispino – Edigiò (leggenda di
Corneliano Bertario, in provincia di Milano). Trovo che le leggende
dicano tanto di un popolo e del suo passato. Ad esempio, nella
leggenda di Matilde, il miracolo avviene in acqua e l’acqua non
solo è legata alla vita ma nelle civiltà antiche è anche uno dei
luoghi di passaggio tra i due mondi (l’aldiquà e l’aldilà),
quindi ha una simbologia molto intensa.
Altri
racconti come “La Curiosità e il Gatto” – Edigiò e “Babbo
Natale e gli Elfi”- Edigiò sono completamente inventati.
Tutte
le mie storie sono scritte in rima, alternata o baciata. Amo scrivere
in rima perché ha un sapore di altri tempi e la rima colloca la
narrazione in un tempo indeterminato.
Diverso
è il caso di “Tails from pond”, il mio primo libro scritto in
inglese su idea di Marzio Salatino e il cui titolo di per sé è un
gioco di parole. Il racconto narra le disavventure di un papero che
rischia di diventare un succulento pranzetto per la regina
d’Inghilterra, finché non viene liberato dalla figlia del cuoco.
Da qui cominciano una serie di disavventure e di incontri che
porteranno Squeako (il nostro protagonista) a comprendere il vero
significato di lealtà e amicizia.
Quale è
una favola famosa che ti piacerebbe in modo particolare illustrare in
una possibile nuova riedizione?
La
fiaba famosa che più di tutte mi piacerebbe illustrare è “Ad est
del sole, ad ovest della luna”, ovvero la fiaba norvegese
Kvitebjørn kong Valemon. La prima metà è
molto simile alla Bella e la Bestia: una giovane fanciulla si trova
ad essere prigioniera di un orso. Questi però altri non è che un
principe vittima di una maledizione, di giorno orso, di notte uomo.
C’è solo un modo per rompere l’incantesimo: la fanciulla deve
promettere che di notte non vedrà in alcun modo le sue sembianze
umane. Tuttavia, presa dalla curiosità, la ragazza rompe il
giuramento e il principe viene catapultato in un luogo lontanissimo,
ad est del sole e ad ovest della luna. La fanciulla, innamorata,
viaggerà per sette anni, per ritrovare l’amato e sciogliere la
maledizione. E’ una storia diversa dalle altre e parla di un grande
amore. C’è anche un’altra fiaba che mi piacerebbe illustrare.
Una fiaba che mi raccontava mio padre quando ero piccola “Sbranafer
e Quel-che-fila-cume-il-vent”. Sbranafer e
Quel-che-fila-cume-il-vent sono due cani (i nomi sono in dialetto
milanese e significano “Sbranaferro”- ad indicare la fame vorace
del primo cane, e Quello-che-corre-come-il-vento, ad indicare la
velocità del secondo). Insieme al loro padrone riusciranno ad
uccidere il mostro dalle sette teste che sta per sposare la figlia
del re, liberando la fanciulla dal suo triste destino. Ho tanti bei
ricordi legati a quella fiaba. Non molto tempo fa l’ho trascritta,
ed ora mancano solo le tavole.
Quale
tecnica prediligi in particolare per il tuo lavoro da illustratrice?
L’acquarello.
Amo la sua trasparenza e la sua versatilità. E quando sono in
viaggio, ho sempre il mio astuccio portatile. L’acquarello è
freschezza. Da qualche anno uso anche l’inchiostro. Un Natale mio
marito mi regalò un corso di pittura orientale (il regalo più bello
che abbia mai ricevuto), ed è lì che entrai in contatto che questa
splendida tecnica. Anche l’inchiostro è freschezza e trasparenza.
In questo
periodo di pandemia - secondo te - il tuo lavoro ti ha in qualche
modo aiutata ad “evadere” con la mente e a non sentire il peso
del lockdown, al quale siamo stati tutti costretti?
Indubbiamente.
In questi due mesi di lockdown ci siamo trovate costrette a chiudere
lo studio. Non ho esitato un istante, mi sono portata a casa i miei
album e i miei acquarelli e ho sempre dipinto. Ho portato a termine
tutti quei progetti che avevo in cantiere da tempo e che non ero mai
riuscita ad ultimare, in particolare una serie di acquarelli dedicati
alle varie divinità primaverili europee e alla mitologia
greco-romana. I colori mi hanno aiutato a rendere meno grigio questo
bruttissimo periodo.