di Davide Pagnoncelli, psicologo e psicoterapeuta
Anno
Domini 9 maggio 2020, dopo Cristo e post covid-19
“Ogni uomo è colpevole di tutto il
bene che non ha fatto”.
(Voltaire, pseudonimo di François-Marie
Arouet,
filosofo e poeta francese,
1694-1778))
“La compassione sulla quale si
devono basare tutte le filosofie morali,
può raggiungere la massima
estensione e profondità
solo se riguarda tutti gli esseri
viventi,
e non solo gli esseri umani”.
(Albert Schweitzer, medico,
musicista, teologo,
missionario luterano franco-tedesco,
1875-1965,
discorso alla consegna del premio
Nobel per la pace, 1952)
“Se molta gente di poco conto,
in molti luoghi di poco conto,
facesse cose di poco conto,
la faccia della terra cambierebbe”.
(Roul Follerau, giornalista, filantropo
e poeta francese, 1903-1977)
“In virus stat veritas”.
(dal Web, detto latino
modificato con un gioco di parole)
Dopo il mio precedente articolo su
“Fattitaliani” del 7 aprile 2020 dal titolo “Quale prevenzione? Premesse per
approfondimenti e progetti post covid-19”, preciso alcuni punti per me significativi
per il dopo emergenza.
In una situazione drammatica come
quella attuale, non servono, né credo sia possibile formulare, soluzioni
definitive e rigide, per di più tramite un breve articolo. Non sono funzionali
soluzioni semplicistiche e burocratiche in presenza di problematiche complesse
e delicate.
Le decisioni e le soluzioni
potranno esserci dopo approfondimenti seri, documentati e onesti tramite
confronti e sintesi di parecchi punti di vista. Non sono ammissibili censure o
bavagli di vario tipo all’informazione.
Traccio in questa sede solamente
alcuni filoni di ricerca per avviare riflessioni che comportino, in futuro, modifiche
significative a stili di vita individuali e collettivi.
Parto da quattro presupposti.
A) Numerose fonti di varia
provenienza hanno formulato il messaggio che può essere sintetizzato nelle
parole di Papa Francesco: “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di
rimanere sani in un mondo malato”. Comunque la si pensi, uno dei punti di
partenza è questo per l’era dopo Cristo, post covid-19: il mondo ante covid-19
non era malaticcio, era malato seriamente.
Se il mondo era, ed è, malato,
dovremo prendere in cura, in terapia non solo i malati contagiati dal covid-19.
Pertanto urge una terapia… allargata al
contesto sociale e ambientale. Non è forse da incompetenti e da
inconsapevoli pensare di curare esclusivamente un pesce malato, sapendo che
nuota in un mare inquinato, mortifero e, per certi versi, patogeno?
B) Ne abbiamo sentite a sufficienza
di lamentele, parecchie giustificate e drammatiche, talune ridicole e assurde, sia
da parte di gente comune, sia da parte di cosiddetti esperti. Recenti ricerche
hanno evidenziato, tra l’altro, che chi passa il tempo esclusivamente a
lamentarsi danneggia il proprio cervello ed è nocivo anche per la società.
A mio parere dobbiamo formularci le
seguenti domande?
- Quale
contributo a breve, medio e lungo termine ognuno può offrire concretamente?
- Quale
contributo a breve, medio e lungo termine io posso offrire concretamente?
- Quale
contributo a breve, medio e lungo termine tu puoi offrire concretamente?
Queste domande indirizzano verso un impegno di gratitudine e di restituzione
per quanto abbiamo ricevuto dall’universo e dal nostro contesto di appartenenza.
Non offriremo, offrirò, offrirai…
chissà quando, bensì cominciamo a offrire, comincio io a offrire, cominci tu a
offrire. Partendo dalla prossima settimana, continuando nei prossimi mesi e nei
prossimi anni.
Dobbiamo sempre tener presente che
stiamo lavorando per i nostri figli, per i nostri bambini, per i nostri
giovani.
Che ognuno, quindi, ci metta un po’
del proprio impegno e paghi qualcosa di persona. E non mi riferisco agli euro,
che qualcuno purtroppo non ha più o ne avrà davvero pochi; faccio riferimento
al fatto che ognuno possa mettere in gioco un po’ di tempo, un po’ di energia,
un po’ di competenze, un po’ di emotività e un po’ del proprio sentimento
sociale.
Nonostante le ferite personali,
famigliari o di altro tipo. Nonostante tutto!
C) Ognuno deve guarirsi, prendersi
cura di sé, cosa più che sacrosanta, però è
essenziale avere una visione d’insieme e la consapevolezza precisa che ci
salveremo solamente insieme. Si tratta di sviluppare
anche l’intelligenza sociale, non solo le altre intelligenze.
Sicuramente c’è e ci sarà qualcuno
che si sfregherà le mani in questa situazione critica per il fatto che ha fatto
e farà profitti e, in taluni casi, soldi a palate, speculando sui drammi
altrui. È già successo in ogni crisi o tragedia del passato e succederà purtroppo
ancora. Però non possiamo lasciare il nostro comune pianeta nelle mani di
speculatori di professione e sanguisughe del dolore.
Alfred Adler, uno dei
padri fondatori della psicologia del profondo assieme a Freud e Jung, ha
affermato: “Il sentimento sociale è il
barometro della normalità”. Più il sentimento sociale si affievolisce o
addirittura sparisce, più le problematiche psicosociali e le patologie
psichiche si aggravano.
D) La prevenzione non può essere
solo difensiva, cioè lottare contro qualcosa di negativo che minaccia la salute
psicofisica, ma deve essere una
prevenzione rafforzativa, che costruisce, che progetta in tempo.
La
prevenzione rafforzativa è molto accorta: si prepara e corre prima, per camminare dopo; a differenza di
chi cammina poco prima e deve correre dopo, pure con affanno. Un solo e semplice
esempio: le mascherine dovevano essere stoccate prima, in base al progetto
-rimasto sulla carta- per fronteggiare eventuali imprevisti; non è pensabile
che ci si debba affannare a cercarle dopo, con estrema difficoltà di
reperimento. E non sto parlando di grandi attrezzature.
Che fine ha fatto il piano per
eventuali emergenze sanitarie? Ogni buon padre e buona madre di famiglia
saggiamente sa che gli imprevisti possono verificarsi e fa il possibile per
premunirsi per tempo. Non servono
chiacchiere, ma investimenti di risorse e di personale formato con competenze sia
professionali che umane!
Non è più il tempo del solo
pensare, non è più il tempo del solo produrre con avidità, non è più il tempo
della sola tecnologia, non è più il tempo delle granitiche certezze e, come
scriveva Leopardi ne “La Ginestra o fiore del deserto”, delle “magnifiche sorti
e progressive”, non è più il tempo delle sole elemosine distribuite per lavarsi
la coscienza.
È, invece, il tempo anche del sentire e della compartecipazione emotiva,
magari con arte e creatività; è il tempo anche del recupero della nostra
autentica essenza rispetto al solo possedere; è il tempo anche del fare
comunità, con sentimento sociale e con tanta concretezza operativa; è il tempo
anche della ridistribuzione più equa delle ricchezze del pianeta; è il tempo
anche della costruzione di una maggiore consapevolezza individuale e collettiva.
È preferibile
vivere per costruire, per progettare, per prevenire piuttosto che vivere per
lottare contro qualcosa o qualcuno, dopo!
È meglio progettare per qualcosa di
positivo, piuttosto che lottare contro qualcosa di negativo, è più funzionale
attuare progetti preventivi piuttosto che combattere qualcosa di problematico
che non si è riusciti a bloccare in tempo.
Questo è il
tempo della vividezza, cioè dell’intensità, della chiarezza, della vivacità. Esattamente il contrario della mollezza, del grigiore, della
piattezza, dell’avvizzimento, dell’aridità.
E vengo a tracciare sinteticamente alcuni
filoni di ricerca che, ovviamente, andrebbero approfonditi nel tempo tramite
ricerche puntuali, in seguito supportate da progetti specifici.
1. La
salute in senso olistico.
Come affermava lo psicoanalista
Alfred Adler, ogni individuo è unico e irripetibile per cui la medicina non può
studiare solo il malato, senza considerare, per esempio, le specifiche e non
generalizzabili caratteristiche fisiche, il corredo genetico individuale,
l’ambiente di appartenenza, la fondamentale tipologia di alimentazione, il
microbioma intestinale, il particolare mondo esistenziale ed emotivo e i valori
che motivano a vivere e a reagire.
Da tempo la PNEI
(psico-neuro-endocrino-immunologia) studia l’integrazione dei sistemi e ciò
implica anche un’integrazione culturale e formativa. La medicina non può essere
insegnata solamente riferendosi a protocolli terapeutici, assolutamente
importanti per patologie acute, in fase di acuzie: è sempre più necessario
integrarli con l’apporto di varie discipline. Esiste un patrimonio
significativo, per esempio, legato alla saggezza e alle culture antiche, alla
psicologia del profondo e alla fisica quantistica. Abbiamo bisogno di
professionisti che non si rinchiudano nel loro piccolo orticello professionale,
ma che siano aperti a confronti transdisciplinari.
Le specializzazioni e le iperspecializzazioni
hanno consentito terapie innovative, ma queste sono solamente pezzi di un
puzzle che rimanda a una visione d’insieme, olistica. Servono ottimi solisti,
ma soprattutto serve un’ottima orchestra! Perfino negli sport di squadra si
lavora sul gruppo, sullo spirito di squadra, sapendo molto bene quanto conta e
quanto potenzia le prestazioni individuali: un gruppo, infatti, è ben di più
della somma delle singole parti.
Il paziente non è oggetto di
indagine, ma è soggetto della guarigione, e questa non può essere
esclusivamente fisica. Perciò le decisioni riguardanti la salute degli
individui non possono essere prese considerando solo i dati statistici o l’età
cronologica delle persone. No, grazie! Ogni individuo è un originale e non può
essere trattato in serie come le automobili o come le fotocopie.
La malattia attecchisce in un
substrato specifico: si ammala meno, chi ha l’organismo meno intossicato. Va
data attenzione ai microrganismi patogeni, ma anche al terreno, al livello di
infiammazione dell’organismo coinvolto, al rafforzamento del sistema
immunitario di ognuno.
Ne va della nostra salute,
specialmente quella dei nostri figli e nipoti.
2. La
scuola, l’educazione, la formazione.
La scuola è il luogo
per eccellenza di convivenza (o dovrebbe esserlo), di convivialità, di
compartecipazione emotiva, di sviluppo dell’intelligenza sociale.
La scuola è un luogo dove si affrontano tutte le emozioni,
anche quelle spiacevoli come per esempio la paura, dove si educano i
sentimenti; le emozioni sono variabili, fluide, passano; i sentimenti, invece,
vanno coltivati con molta cura. La scuola è un luogo dove ci si può sentire
sicuri e accolti, è un posto privilegiato da cui si può guardare il mondo e
costruire la propria identità, aumentando l’autostima.
La scuola non è solo
conoscenza e saper fare secondo un modello solo trasmissivo, ma è anche educazione dell’intelligenza emotiva,
stimolo per essere se stessi in modo autentico. D’altronde come noi ricordiamo
i nostri insegnanti? Per i “tipi” che erano e per la loro personalità, più che
per come spiegavano che per cosa spiegavano.
Informazione,
conoscenza, comprensione, saper essere, convivenza: da tutto ciò deriva la
saggezza.
Dalla scuola è essenziale partire per costruire progetti di
prevenzione e di formazione. Perché? Per il semplice
motivo che la scuola è l’unico posto dove passano tutti, proprio tutti, e tutti
ci stanno per molti anni. Diversamente la prevenzione diventa pura illusione,
mitologia consolatoria, pura petizione di principio; diversamente la
prevenzione del bullismo, del cyberbullismo, delle varie dipendenze patologiche
o di altri disturbi psicosociali risulterà inefficace, con conseguente spreco
di risorse umane e finanziarie.
Che fine ha fatto la
Medicina Scolastica? E i progetti per istituire un Servizio Psicologico Scolastico
che, in modo sistematico e con monitoraggi lungo tempi medio-lunghi, intervenga
con alunni, genitori e insegnanti?
La scuola è confronto
dialogico: al di là dei contenuti, dei programmi e di quant’altro la scuola è essenzialmente relazione, cioè
convivenza, condivisione, compartecipazione emotiva. Quello che non è
possibile togliere alla scuola è la comunicazione corporea tra persone,
comunicazione che struttura relazioni. Prima dei contenuti, prima delle
metodologie, prima della tecnologia, prima di tutto la scuola è relazione!
Un’ottima offerta formativa online
non potrà che soddisfare solo in parte i bisogni educativi e didattici degli
alunni. Ogni strumento tecnologico può offrire opportunità formative
interessanti, ma val la pena di non dimenticare mai la relazione, la corporeità
(corpo + emozioni) della relazione, perché noi abitiamo nella corporeità, con
tutti i sensi e i vissuti esperienziali.
3. La
natura.
Le giovani generazioni hanno
bisogno di più natura assieme alla tecnologia. Nel giugno scorso sono stato
invitato come relatore al Simposio di una scuola biocentrica di Torino, il
titolo della mia relazione sintetizzava l’importanza della natura inserita
concretamente nei progetti formativi: “Un bosco per ogni scuola!”
In effetti, i boschi non hanno
bisogno degli uomini, sono gli uomini ad aver bisogno dei boschi. Dobbiamo
ampliare quantitativamente e qualitativamente le opportunità educative e
formative che sollecitano connessioni profonde con i vari elementi vitali del
nostro pianeta. Tra l’altro, la natura ha frequenze armoniche particolari e il
contatto con essa rende più felici e contribuisce a rafforzare il sistema
immunitario.
È assolutamente possibile
realizzare ciò, basta dotarsi di flessibilità e di creatività: alcune scuole
hanno già realizzato sperimentazioni molto interessanti.
4.
L’economia.
Sarà necessaria una poderosa riconversione ambientale delle
attività produttive, dai modelli di sviluppo fino alla strumentazione
tecnologica, che azzeri -o quasi- il consumo di suolo e di vegetazione. Per
esemplificare, se l’uomo devasta le foreste è molto più facile che
microrganismi e altri animali invadano le città. Occorre saper imparare a
gestire molto meglio le risorse disponibili, se si vuole aumentare la qualità
della vita di tutti e non solo di pochi. La logica dei pochi è la logica del
tumore che si nutre a scapito dell’organismo; alla fine se l’organismo viene
distrutto, anche il tumore perisce. Perciò la logica del tumore è
autolesionista.
5. L’arte.
L’arte può aiutare a far riscoprire
in se stessi la propria bellezza: chi non la vede, chi non la nota, chi non la percepisce
dentro di sé difficilmente sarò pronto per gustare appieno la bellezza esterna,
del mondo e del genere umano. Noi
sappiamo più di quello che comprendiamo, ecco perché l’arte non va tanto
spiegata quanto vissuta, percepita, sperimentata. L’arte va gustata con tutti i
sensi… e con altro ancora.
L’arte allarga i cuori, affina lo
spirito ed è il carburante dell’intelligenza emotiva.
6. Il tempo
libero.
È il tempo delle amicizie, delle
attività appaganti e degli hobby gratificanti: non a caso si definisce libero.
Purtroppo, però, verifico frequentemente che per molte persone questo tempo non
è sempre autenticamente libero, anzi diventa tempo vuoto, noioso, da riempire
in qualunque modo. Esiste anche una sorta di patologia del tempo libero, che
diventa tempo critico, talora stressante. Non poche individui non si godono
pienamente quanto fanno nel tempo libero, anche se si tratta di attività
piacevoli.
Il tempo libero è il tempo più adatto
e opportuno per assaporare e per degustare quanto maggiormente piace a ognuno,
appunto liberamente.
7. La
morte.
Cito l’ipotesi di un mondo
immortale descritta dallo scrittore Davide Maria Turoldo in un suo libro: “La
morte dell’ultimo teologo”. L’autore descrive un’isola in cui il tempo
trascorre, gli uomini invecchiano e non muoiono mai, pure i sentimenti
appassiscono. In tal modo gli uomini perdono il gusto di raccontarsi perché
sanno già tutto di tutti. Scompare perfino il senso di tenerezza, di
compassione e di pietà per il fatto che, anche in presenza dei dolori più cupi
dei propri cari, si afferma: “Tanto non muore!” Si arriva così fino al punto di
desiderare che ognuno riprenda a morire, proprio per assaporare “l’emozione di
vivere”.
L’uomo non può che manifestare un
forte istinto di vita, specialmente se vengono favorite alcune condizioni
fondamentali: riscoprire l’aspetto sociale della morte, valorizzare il
sentimento sociale pur in presenza di situazioni drammatiche o pandemiche,
focalizzare l’attenzione sulla rielaborazione collettiva del lutto e aumentare
concrete possibilità, anche rituali, di compartecipazione emotiva. Bisogna che
sia veicolato il messaggio che, accanto a ogni tomba o colombario, esiste una
comunità di viventi.
Non è pensabile ripetere in futuro
modalità anonime, solitarie e disumane di accompagnamento al cimitero,
sottoponendo chi è in lutto a un doppio trauma di una morte solitaria e senza
una ritualità rielaborativa del dolore. Con un po‘ di fantasia e di flessibilità
si può, senza alcun dubbio, coniugare sicurezza e accompagnamento funebre dei
propri cari. Come il lutto provoca caos
e destrutturazione, tanto il rito funge da riordinamento dello scombussolamento
provocato dal trauma e aiuta a rielaborare la perdita e a continuare a vivere.
Vanno riprese e riaffrontate tutte
le tematiche correlate alla morte: questa è parte della vita. Accettare di parlare della morte, significa
accettare appieno la vita e l’uomo in quanto essere mortale che desidera vivere
il più intensamente possibile.
In tal modo, il thanatos, la
cosiddetta pulsione di morte, il ritorno all’inanimato si confermano concetti
estranei ai progetti umani, tranne che in casi eccezionali e patologici. Il
discorso sulla morte, quindi, non può che essere un discorso indiretto sulla
vita, morte e vita risultano strettamente connesse.
8. La
spiritualità.
Comunque uno la intenda, la
spiritualità aiuta a procedere in una dimensione di trascendenza, al di là dei
confini del visibile, in un ambito dove il silenzio parla. E sgorgano silenzi
stupendi che fan risuonare echi profondi, silenzi pregnanti che dialogano col
proprio Sé profondo.
La spiritualità andrà tradotta meglio con
modalità sensoriali, corporee, maggiormente consone ai bisogni profondi dell’umanità
e compartecipate con coscienza aperta e libera.
Ci si può fermare, a modo proprio si
può. Chi periodicamente non si ferma, è perduto! Ci si ferma per recuperare la
propria ricchezza interiore e riprendere a vivere.
Recita un detto orientale: “Conosce
meglio la strada la lepre o la tartaruga?... Dobbiamo imparare ad armonizzare
la nostra lepre interiore con l’altra parte di noi, la tartaruga capace di
degustare gli eventi con positiva lentezza.
Per concludere: non ci vuole
spensieratezza incosciente, bensì ci
vuole molta coscienza spensierata; non ci vuole libertinaggio insicuro,
bensì sicurezza un po’ libertina,
spinta da sana curiosità di ricerca e sostenuta da un cervello...largo.
Altrimenti vivremo rallentati, frenati,
chiusi, isolati nell’enorme rete web di sole comunicazioni virtuali, tormentati
e logorati da oscillazioni repentine tra paura e speranza, disorientati nelle
decisioni da assumere di fronte alle diverse stagioni dell’esistenza.
Non siamo nati per tramontare, ma
per risorgere!
Email: allargacervelli@gmail.com