Ian McKinley si confessa al The Guardian, non trascurando il suo impegno nel sociale per la Fondazione italiana Laureus Sport for Good
In tempi di incertezza e precarietà, sanitaria ed economica, una voce di speranza si leva dalla mischia, non solo del rugby, il primo sport in Italia che ha deciso di chiudere anzitempo la stagione agonistica a causa dell’emergenza Coronavirus. È la voce perentoria, ammorbidita dal frequente uso di inglesismi, di Ian McKinley, mediano di apertura del Benetton Treviso e della Nazionale italiana, ambasciatore della Fondazione italiana Laureus Sport for Good, che sulle colonne del The Guardian, l’autorevole quotidiano inglese, si è confessato a cuore aperto. La sua è una testimonianza di resilienza, che documenta concretamente come si possano placcare le avversità, proiettandosi di gran carriera verso la linea di meta. La corsa a ostacoli di Ian inizia, a Dublino, nel 2010, quando un infortunio di gioco gli procura il distacco della retina dell’occhio sinistro e lo costringe al ritiro l’anno successivo. «Quell’incidente mi ha completamente stravolto l’esistenza. Ho deciso di abbandonare tutto e di trasferirmi a Udine a soli 22 anni, dove ho iniziato ad allenare la squadra locale. Né Cordelia, oggi mia moglie, né io sapevamo una parola di italiano. Ma in queste situazioni o affondi o impari a nuotare. Sono riuscito ad adattarmi e così ho creato relazioni che dureranno per tutta la vita». Positività chiama positività e così nel 2014, grazie al parziale recupero della vista all’occhio sinistro e all’utilizzo di speciali “rugby goggles”, gli occhiali protettivi approvati per la prima volta dalla Federazione internazionale, Ian torna all’attività agonistica, un sogno che solo quattro anni prima sembrava precluso per sempre. «Ancora oggi, ogni settimana, ricevo messaggi di persone che hanno subito un infortunio simile al mio. Mi gratifica sapere che 2 mila ragazzi in tutto il mondo possono giocare a rugby indossando i miei stessi occhiali. A mio modo mi sento un pionere. Sono stato molto felice quando ha iniziato a usarli anche Ardie Savea (uno dei giocatori cardine degli All Blacks, ndr)». L’esistenza vissuta perennemente sulle montagne russe conduce Ian alla realtà di oggi, vissuta nuovamente nel segno dell’incertezza. «Non ho disputato molte partite in questa stagione. In Italia, a differenza del rugby inglese e irlandese, non ci sono seconde squadre. Le rosa della Benetton Treviso è composta da 52 giocatori, ma solo 23 si possono presentare in campo. Quest’anno ho vissuto molti alti e bassi. Ho ancora un contratto in essere, ma non so cosa sarà di me in futuro, visto che adesso le persone non possono dare garanzie. Molte persone stanno perdendo il loro posto di lavoro e tra queste c’è anche mia moglie». Una condizione che stimola, se possibile, ancora di più McKinley a battersi per la Fondazione italiana Laureus Sport for Good, di cui è ambasciatore. «La Fondazione mi ha aperto nuovi orizzonti. È emozionante vedere come il suo lavoro in tutto il mondo aiuti milioni di bambini, grazie alla pratica sportiva, ad affrancarsi da violenza e discriminazione. In Italia, in particolare, in cui la Fondazione è attiva nelle periferie di Milano, Torino, Genova, Roma e Napoli, neanche durante questa emergenza il lavoro di squadra di educatori, maestri e allenatori e psicologi dello sport si è mai fermato, in modo da raggiungere anche i bambini più distanti, sprovvisti di una connessione Internet, e quelli più in difficoltà, che vivono situazioni famigliari di forte disagio. Anche per questo motivo invito tutti a sostenere Laureus e tutte le realtà che collaborano con la Fondazione nei territori più a rischio».