«Credo che il vero talento sia essere persone di talento con chi ci sta vicino, con chi amiamo, ancor più che dietro a una macchina da presa» - di Andrea Giostra.
Ciao Samantha, benvenuta e grazie per aver accettato
il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Samantha
artista-della settima arte e Samantha donna?
Ciao Andrea, grazie. Si inizia subito con una domanda
difficile… Penso esista un solco profondo tra il mio approccio al cinema e il
mio modo di essere, di pormi. Tendo a trasferire la mia parte emozionale più
profonda in ciò che realizzo, mentre cerco di affrontare il mio quotidiano con
estremo equilibrio.
Tu vivi a Los Angeles, dove recentemente hai
realizzato un cortometraggio dal titolo “I Am Banksy”, che a Hollywood
ha avuto diversi riconoscimenti. Ci parli di questo film? Come nasce e qual è
il messaggio che vuoi arrivi al lettore?
Dunque. In realtà, solo “To A God Unknown”,
il mio nuovo lavoro, può essere considerato un cortometraggio made in USA, dato
che “I Am Banksy” tornai a girarlo in Italia. Si tratta di
una storia semplice che ruota intorno all’ostinazione di un giornalista
arrivista, interpretato da Marco Iannitello, deciso a scoprire
l’identità di questo misterioso artista. Il corto prese vita in una serata come
tante, insieme ad amici, con qualcuno che prende la parola e chiede ad alta
voce: «Secondo voi chi è Banksy?». Mi colpì la risposta di un’amica che
disse: «Forse Banksy non esiste. Oppure siamo tutti Banksy». Il
messaggio è semplice, ossia che ciò che viene smerciato per “puro” può comunque
nascondere lati oscuri… Però ci mancherebbe, è solo una storia.
Quali sono i premi e i riconoscimenti che questo corto
ha ricevuto negli Stati Uniti?
“I Am Banksy” ha vinto un totale di tredici premi… Oltre a tre
premi alla regia, i più importanti sono stati Best International Short
al Golden State Film Festival, al Los Angeles Theatrical
Release Competition & Award e al Marina Del Rey Film Festival;
Best Mystery Short al Olympus Film Festival e Best
Foreign Short al Los Angeles Independent Film Festival Award.
Non meno di peso credo sia stata la distribuzione nelle sale di Los Angeles.
Ci parli delle tue precedenti opere? Quali sono, qual è stata l’ispirazione
che li ha generati, quali i messaggio che vuoi lanciare allo spettatore o a chi
leggerà le tue sceneggiature?
Se
si escludono giusto un paio di cortometraggi, quasi tutti i miei piccoli lavori
non hanno mai proposto un genere narrativo quindi il messaggio non è mai
sociale, bensì intimista, o meglio, credo sarebbe presuntuoso da parte mia
anche solo sostenere che esista un messaggio portante, perché ognuno
eventualmente sente ciò che gli suggerisce il proprio percorso di vita. Non è
da escludere l’eventualità che tante persone non vedano proprio nulla nei miei
cortometraggi, che li ritengano pretenziosi. Sono critiche comprensibili e che
vanno accettate. Io non parlerei mai di ispirazione, non so, penso sia più un
ripiegarmi dentro me stessa, cedere al fascino di un’immagine, non so nemmeno
spiegarlo con esattezza. In parallelo ho un percorso documentaristico che
considero un’esperienza meravigliosa. Ho realizzato diversi video per artisti,
poi presentati nell’arco di diverse edizioni della Biennale.
Ormai dieci anni fa ho inoltre documentato i vari processi lavorativi della Via
Crucis realizzata dallo scultore Federico Severino e collocata
nel Pantheon di Roma. Mi scuote pensare che quando tutte le
persone che abbiamo lavorato a questo progetto non ci saremo più, la Via
Crucis sarà (spero) ancora esposta in un luogo tanto visitato…
Come e quando nasce la tua passione per la settima
arte?
Da bambina rimasi impressionata da un dialogo su Dio
tra un prete e una donna. In seguito avrei scoperto che si trattava di un film
di Ingmar Bergman, “Luci d’inverno”. La mia passione per
il cinema nasce dal mescolarsi con il mio amore per l’arte e la letteratura.
Qual è il percorso formativo ed esperienziale che hai
maturato e che ti ha portare a realizzare le tue opere?
Sono affascinata dal lato oscuro che prolifera nel
cuore e nella mente delle persone, dal mistero che si nasconde dietro agli
eventi, siano essi conseguenza del caso o determinati dal destino,
dall’impotenza di noi esseri umani al cospetto di quello “sguardo superiore”
che grava sulle nostre vite.
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei
secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione
meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il
discorso del metodo”, Leida, 1637). È proprio così secondo te? Cosa
significa oggi leggere un buon libro, un buon romanzo? Quali orizzonti apre, se
secondo te oggi, nell’era dell’Homo Technologicus, effettivamente la lettura di
buoni libri apre orizzonti nuovi?
Io non so quali siano i “buoni
libri”. Ho letto tutto Dostoevskij e buona parte di Steinbeck che
ero ancora una ragazzina, eppure questo non ha fatto di me una grande regista.
Certo, è scontato che esiste una letteratura alta e una inferiore. Ma ciò vale
per tutto. Siamo diversi, viviamo esperienze diverse, momenti di vita diversi.
Ora come ora sento la letteratura russa molto lontana da me, mentre mi sta
facendo sognare “The familiars” un libro consigliatomi dalla
veterinaria della mia gatta. Quindi io credo che nuovi orizzonti li possa
aprire leggere in generale ed entrando nello specifico qualsiasi cosa si legge,
in chi la legge, può lasciare qualcosa e da questa elaborazione possono aprirsi
nuovi orizzonti, i quali però resteranno sempre personali.
«Per scrivere bisogna avere
immaginazione. L’immaginazione non si impara a scuola, te la regala mamma
quando ti concepisce. Non ho fatto nessuna scuola per imparare a scrivere. Ho
visto tanti film e letto tanti libri.» (Luciano Vincenzoni (Treviso 1926), intervista di Virginia
Zullo, 12 aprile 2013, YouTube, https://www.youtube.com/channel/UCDiENZIA6YUcSdmSOC7JAtg ) Tu cosa ne pensi in proposito? Cosa serve per
scrivere bene, per scrivere sceneggiature originali e di successo come quelle
di Luciano Vincenzoni, uno dei più grandi sceneggiatori italiani del Novecento?
Non saprei, anche qui si apre un bivio, per
una buona sceneggiatura di successo si intende un film Marvel con grandi
incassi, o un film che vince la Palma d’oro a Cannes ma
che ha un incasso infinitesimale a confronto? L’immaginazione, il talento, sono
sicuramente due componente fondamentali. Poi, però, per arrivare al pubblico
devi scendere spesso a compromessi, devi capire “il tuo tempo storico”, ciò che
ama vedere la gente… Io credo in due categorie di film, in “film onesti” e in
“film disonesti”. La verità è alla base di tutto. Si può scrivere anche la
storia più dozzinale, ma se la si racconta con verità ne uscirà un buon film.
«Tutti i film che ho realizzato sono partiti dalla lettura di un libro.
I libri che ho trasformato in film avevano quasi sempre un aspetto che a una
prima lettura mi portava a domandarmi: “È una storia fantastica; ma se ne potrà
fare un film?” Ho sempre dei sospetti quando un libro sembra prestarsi troppo
bene alla trasposizione cinematografica. Di solito significa che è troppo
simile ad altre storie già raccontate e la mente salta troppo presto alle
conclusioni, capendo subito come lo si potrebbe trasformare in film. La cosa
più difficile per me è trovare la storia. È molto più difficile che trovare i
finanziamenti, scrivere il copione, girare il film, montarlo e così via. Mi ci
sono voluti cinque anni per ciascuno degli ultimi tre film perché è
difficilissimo trovare qualcosa che secondo me valga la pena di realizzare. (…)
Le buone storie adatte a essere trasformate in un film sono talmente rare che
l’argomento è secondario. Mi sono semplicemente messo a leggere di tutto.
Quando cerco una storia leggo per una media di cinque ore al giorno, basandomi
sulle segnalazioni delle riviste e anche su lettura casuali.» (tratto da “Candidamente
Kubrick”, di Gene Siskel, pubblicato sul Chicago Tribune, 21 giugno 1987).
Cosa ne pensi delle parole di Kubrick? Tu come fai a trovare belle e
interessanti storie da trasformare in sceneggiature che possano interessare un
produttore, un regista?
Certo,
penso che nel momento in cui si entra nel meccanismo produttivo, trovare la
storia giusta sia essenziale. Ora come ora, credo di non fare testo… Sto
scrivendo la mia opera prima ed è una storia che voglio produrre a livello
indipendente. Se andrà bene, che già di per sé è un punto interrogativo enorme,
in quel caso cercherò di conciliare la scelta mirata di una storia con le
esigenze dei produttori…
«Ho sempre detto che i due registi che meritano di essere studiati son
Charlie Chaplin e Orson Welles che rappresentano i due approcci più diversi di
regia. Charlie Chaplin in modo grezzo e semplice, probabilmente non aveva il
minimo interesse per la cinematografia. Si limita a schiaffare l’immagine sullo
schermo, e basta: è il contenuto dell’inquadratura che importa. Invece Welles,
al proprio meglio, è uno degli stilisti più barocchi nello stile tradizionale
del racconto filmico.» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di
Maurice Rapf, 1969). Tu cosa apprezzi di più di un film, l’immagine o il
racconto, l’inquadratura o i dialoghi? Oppure, per te, cosa è importante in un
film, per rimanere nelle parole di Kubrick?
Sono ossessionata dalla pulizia delle
inquadrature… Per me sono un dramma gli interruttori della luce, i termosifoni,
o qualsiasi cosa che potrebbe “sporcare” un’immagine in modo non funzionale…
Poi certo, apprezzo altri aspetti, i dialoghi ad esempio.
«Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto
una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una
limitazione.» Bernardo Bertolucci (1941-2018). Qual è la tua
posizione da addetto ai lavori, di chi il cinema lo vive come professione ma
anche come passione, rispetto a quello che disse Bertolucci? Oltre ad essere
un’arte, cos’è il cinema per te?
Il cinema, se sei o vuoi provare
a diventare un regista, penso sia un qualcosa che inevitabilmente ti porti
dietro durante le giornate. Per dire, io non sono certo Bertolucci, ma mi rendo
conto che in alcuni momenti della giornata, mentre sono in compagnia, non sono
totalmente presente, ascolto quello che mi si dice, ma non fino in fondo. Dopo
ripensandoci mi sento in colpa, ma le storie che sto scrivendo, le immagini che
mi evocano alcuni punti, si mescola con le mie giornate. Il cinema per me
diventa un dialogo interiore, una solitudine che condivido con i personaggi di
cui sto scrivendo. Resta il fatto che non prendo troppo sul serio certe cose,
potrei pure diventare una buona regista, ma eviterei di parlarne troppo perché
credo non sia un aspetto di cui andare così fieri. Il cinema non è tutta sta
cosa, credo che il vero talento sia essere persone di talento con chi ci sta
vicino, con chi amiamo, ancor più che dietro a una macchina da presa.
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi registi
preferiti, quelli con cui ti piacerebbe lavorare?
Nel cinema amo i registi che riescono a
produrre bellezza visiva… Adoro Malick, Bergman, Kieslowski, Tarantino,
Kubrick, Lynch, P.T Anderson, Scorsese, Visconti, la prima Campion,
diversi film di von Trier e Tarkovskij. Con chi mi piacerebbe
fare una co-regia? Sinceramente è un aspetto a cui non ho mai pensato…
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre
libri e tre autori da leggere, quali consiglieresti e perché proprio questi?
Tre libri è veramente poco ed è difficile dare
consigli perché leggere è una disciplina e tre titoli giusti per me non è detto
lo siano anche per altri… Comunque direi “La Signora Dalloway” di
Virginia Woolf, “Assalonne, Assolonne!” di William
Faulkner e la saga di Harry Potter. Trasudano di emozioni e
sentimenti forti: sono libri formativi, carichi di passione, di tragedia, di
amore, di speranza, di disperazione.
“The Tree of Life”
perché credo sia un’opera al limite del definitivo per il cinema. “The
Hours” perché è poesia e perché vi recitano le due attrici viventi che
trovo le migliori in assoluto: Nicole Kidman e Julianne Moore. “Welcome
to the Rileys”, non perché sia tra i miei film preferiti, non è nemmeno
in top 50, ma perché James Gandolfini offre una interpretazione stupenda
e perché troppe persone ancora sminuiscono Kristen Stewart, mentre è
l’attrice di maggior talento della sua generazione.
Una domanda difficile Samantha: perché i
nostri lettori dovrebbero vedere i tuoi film? Prova a incuriosirli perché li
cerchino e li vedano nei canali online dove sono disponibili.
A questa domanda non so proprio rispondere perché
credo sia un processo che deve avvenire in modo fluido. Sarei felice se
facessero qualche ricerca, che provassero a vedere qualcosa, poi se
interrompono la visione dopo due minuti, può succedere.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi
prossimi appuntamenti di cui ci vuoi parlare?
Il 26 febbraio al Chinese Theatre,
in occasione del Golden State Film Festival, verrà presentato il mio
nuovo cortometraggio “To A God Unknown”. Ho già avuto notizia di
tre premi vinti come miglior corto sperimentale, regia femminile e fotografia
al Independent Shorts Awards; un Festival che si terrà a marzo ai
Raleigh Studios di Hollywood. Sto poi scrivendo la
sceneggiatura di quello che spero sarà il mio primo lungometraggio… In realtà
ho tre film che sto un po’ valutando…
Dove potranno seguirti i nostri lettori e i
tuoi fan?
Cerco di aggiornare i miei spazi social, da
Facebook, a Instagram a Twitter… Su Instagram cerco di pubblicare anche qualcosa
dei luoghi e delle cose che più amo. C’è poi un blog, in cui ho scritto diversi
articoli biografici su personaggi per cui ho un debole, anche del mondo dello
sport.
Come vuoi chiudere questa chiacchierata e cosa
vuoi dire ai nostri lettori?
Beh, ringrazio chiunque sia arrivato alla fine
di questa intervista. Ovviamente mi farebbe piacere se qualcuno seguisse un po’
il mio percorso, soprattutto in previsione del mio primo film. Il vero motore
trainante del cinema rimane il gradimento del pubblico, a qualsiasi livello.
Samantha Casella
Andrea Giostra