Andrea Giostra intervista Cecilia Crisafulli, violinista
e concertista veneziana di origini siciliane.
«Amo
stare sul palco. Suonare in teatri rinomati ma anche in quelli minori, più
familiari. … Ma il momento perfetto per me è quella piccola pausa di silenzio
prima dell’applauso dopo un solo o un brano particolarmente suggestivo.»
Ciao Cecilia,
benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Ai nostri lettori che
volessero conoscere qualcosa di te quale artista, cosa racconteresti?
Sono Cecilia, ho 36 anni, sono musicista di professione e
mamma di due meravigliosi bambini. Sono l’unica donna, l’unica italiana e
l’unica violinista della Palast
Orchester (Max Raabe è il
nostro cantante).
Il tuo cognome non
mente. Hai evidentemente origini siciliane. Da veneziana quale sei cresciuta,
come hai vissuto la cultura siciliana che i tuoi genitori ti hanno certamente
condiviso? E cosa vuoi raccontare ai nostri lettori delle tue esperienze di
“turista” nella tua terra di origine?
Credo che quello che mi hanno trasmesso i miei genitori di
veramente siciliano (a parte le innumerevoli ricette e un po’ l’aspetto direi)
sia il senso di apertura e ospitalità che si respira nel sud. Quel “fare
sentire a casa propria” chi ti viene a trovare. E l’essere pronti ad aiutare e
ad essere disponibili. Io ho sempre avuto la sensazione di poter liberamente invitare
a casa i miei amici, anche all’ultimo momento. I miei genitori ne sono sempre
stati felici. E anche ora che abito a Berlino quando posso invito gli amici a
pranzo o a cena o organizzo riunioni o a volte addirittura “giocate” in stile
siciliano con carte e quant’altro in periodo natalizio. Per passare invece alla
seconda parte della tua domanda, non mi ritengo una “turista” in Sicilia. Anzi!
Sicilia per me ha sempre voluto dire in prima linea FAMIGLIA. Una montagna di
parenti, che saremmo andati a trovare e che sarebbero venuti a loro volta.
Risate, coccole, divertimento, gioco e relax. Sicilia vuol dire MARE e
CAMPAGNA. Con i colori e profumi più svariati. Ho avuto la fortuna di
trascorrere le mie estati nella casa di campagna dei miei nonni materni. Oltre
a loro e a noi, c’erano mio zio (il fratello di mia mamma) e la sua famiglia.
Conservo ricordi meravigliosi di quegli anni: lo stare insieme, condividere i
pasti, i giochi, gli inviti, le feste, i bagni al mare e i piccoli concerti e
spettacoli che mia sorella, mia cugina ed io preparavamo per la nostra famiglia
e per gli ospiti del giorno. E ancora Sicilia vuol dire MANGIARE BENE. Potrei
andare avanti ore ad elencare quanti prodotti e ricette siciliane hanno
accompagnato (e lo fanno tuttora) la mia vita. Dalla granita caffè con panna
montata e brioche col tuppo la mattina, alla pasta alla norma o al forno
e piccola pasticceria a pranzo, per merenda il gelato gianduia e per cena
rustici (pitoni, arancini, mozzarelle in carrozza) e focaccia. Non proprio
leggera la cucina siciliana ora che ci penso, ma che buona! Già da bambina ho
girato molto l’isola. Ma anche ora con mio marito e i miei due bambini,
approfitto delle vacanze in Sicilia per ritornare in quei luoghi o visitarne di
nuovi. Ogni zona offre piccoli tesori da scoprire. Siracusa, Taormina, Trapani,
Agrigento, Palermo. E nominando le città non intendo solo le città ma anche i
dintorni. Perché ogni città e paesino piccolo o grande che sia, merita di
essere visto. Se non fosse anche solo per una spiaggia o cala, aerea
archeologica o museo, o perché produttore di pomodori piuttosto che di sale o
capperi o mandorle etc. A chi volesse fare una vacanza in Sicilia posso solo
dire che non è tanto importante per quale parte dell’isola ci si decida, quanto
il partire con le valigie vuote! Perché sono innumerevoli i prodotti del luogo
che si vorranno portare con sé. L’aglio rosa di Paceco, il sale di Mothia, le
paste di mandorla, le mandorle di Avola, l’origano, le lenticchie di Pantelleria,
i capperi sotto sale di Salina, la pignolata di Messina (per me quella della
pasticceria Irrera è superiore), le conserve, il pesto di pistacchio, il
pistacchio tritato di Bronte, le bucce di cannolo, la ricotta infornata, la tuma,
il primo sale, le acciughe sotto sale, i pomodorini secchi di Pachino…
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Foto di Gregor Honenberg |
Tuo papà Pierluigi,
oltre ad essere siciliano, è stato violinista al Teatro La Fenice di Venezia. A
8 anni ti ha regalato un violino e lì è iniziata la tua avventura di musicista.
Vuoi raccontarci questo cruciale episodio della tua fanciullezza che ha inciso
in tutta la tua vita?
Mio papà aveva provato già con mia sorella Valeria a
convincerla a suonare. Ma lei, che già suonava il pianoforte, ha preferito
impegnarsi nello studio di quello strumento. Il violino non le piaceva. Qualche
anno dopo (io e Vale ci passiamo sei anni e mezzo) ci ha provato con me. Mi ha
chiesto se volevo andare con lui a sentire un saggio di violino di bambini.
Nell’occasione mi ha presentato la maestra, Edda, e mi ha chiesto se avessi voglia di cominciare. Gli chiesi in
cambio un Polly Pocket “per tenermi
occupata durante il tragitto” aggiunsi. (Allora non esistevano i cellulari!) E
così fu. Quel Polly Pocket rosa ancora ce l’ho e ci sono molto legata. A Venezia
tutto va a rilento. I tragitti sono lunghi. E per noi che abitavamo al Lido,
arrivare a S. Tomà a casa della maestra era davvero un viaggio. Quasi un’ora
all’andata e un’altra al ritorno. Avevo il Polly Pocket e ci giocavo, ma non
sempre. Perché poi ho scoperto che mi piaceva quel viaggio una volta alla
settimana, con me c’era il mio papà e io me lo godevo tutto. Chiacchieravamo un
sacco e ci coccolavamo e a volte ci prendevamo la cioccolata calda dopo la
lezione, altre volte le caramelle, altre ancora addirittura le giostre per
premio. E poi lo studio a casa, la preparazione agli esami, il nervosismo misto
a eccitazione prima di un saggio…
Come è nata questa
avventura artistica? Cosa ci vuoi raccontare di questo bellissimo progetto che
hai abbracciato e che ti ha reso famosa in tutto il mondo musicale e non solo?
Mi ero trasferita a Berlino
nel 2002 per continuare gli studi e
perfezionarmi all’università delle arti di Berlino (UdK – Universität der Künste). Nel gennaio 2007 l’occasione di partecipare al concorso per diventare la nuova
violinista della Palast Orchester.
Intanto l’idea era un anno. Un anno di prova, di viaggi, avrei comunque fatto una
nuova esperienza. Ho partecipato senza pensarci troppo. E ho vinto! Da quel 17
gennaio mi sono fatta poi completamente travolgere dagli eventi. Avevo bisogno
di un passaporto perché di lì a poco saremmo partiti per il Giappone, poi per gli Stati Uniti… alla Carnegie Hall di New York avremmo addirittura inciso un CD dal
vivo! Ero eccitatissima, quasi confusa da tutto questo. Molti i brani da
preparare, ore ed ore di studio. Mi accompagnavo con le incisioni precedenti
dell’orchestra, volevo prepararmi al meglio. Quando faccio una cosa la faccio
bene. Non ci sono mezze misure. Ci ho veramente messo tutta me stessa. E il
lavoro è stato ripagato dai consensi positivi dei colleghi così come dei primi
giornalisti e non da meno del pubblico. Ero alle stelle. Mi sentivo, e lo ero,
molto fortunata, ero priva di esperienza e questa era un’occasione unica. A
parte il violino e lo studio, sono stata presa anche dalla preparazione
scenica. Dovevo sorridere, mi dicevo, rimanere concentrata sul palco, ma allo
stesso tempo sembrare rilassata. Poi c’erano gli abiti. Mi avevano dato il
numero di una sarta che avrebbe cucito degli abiti di scena apposta per me.
Wow! Che sogno! Il mio primo abito era stupendo. Mi sentivo una principessa.
Nero, lavorato con delle paillettes che lo illuminavano e di conseguenza
illuminavano me…
Cosa vuoi raccontare
ai nostri lettori della “Max Raabe & Palast Orchester”? Qual è la
sua storia e quali i suoi successi a livello internazionale? Vuoi infine dirci
dove si possono trovare i vostri dischi e le vostre produzioni artistiche
perché i nostri lettori ascoltino la vostra musica?
Max Raabe
e la Palast Orchester è stata
fondata nel 1986. Allora non erano
che un gruppo di studenti con l’idea di suonare musica anni 20 e 30. I primi
concerti, i varieté, si spostavano e dormivano in pullman o in stanze di
alberghi economici condividendo la stanza. Col tempo la bravura e l’originalità
del gruppo si è fatto strada tanto che ora, da anni ormai, ha il privilegio (e
io con loro) di suonare nei teatri più rinomati. E la stanza condivisa non è
più un tema da molto ormai. Innumerevoli le incisioni della Max Raabe und Palast Orchester.
Abbiamo CD, DVD, dischi in vinile, ma ovviamente ci teniamo al passo e molta la
musica che si può ascoltare utilizzando i mezzi più comuni oggi, quali YouTube e Spotify.
Qual è stato il tuo
percorso artistico e professionale?
Ho iniziato a quasi 9
anni prendendo lezioni private dalla maestra Edda Pittan Lazzarini. Poi ho studiato, sempre privatamente, prima
con il Prof. Dejan Bogdanovich, poi
con il Prof. Stefano Zanchetta con
cui nel 2002 mi sono diplomata al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.
Nel 2006 ho conseguito la prima
laurea in pedagogia del violino all’Università
delle Arti (UdK) di Berlino e nel 2008,
sempre all’UdK, la seconda con
indirizzo specialistico orchestrale, sempre accompagnata in questo mio percorso
a Berlino dal Prof. Axel Gerhardt.
Come definiresti il
tuo stile di concertista? A cosa e a chi ti ispiri?
Non saprei come definire il mio stile. Ma posso dire che
cerco quando studio e quando suono di prendere da tutto ciò che mi è stato
insegnato. Dai miei maestri così come da mio padre. E ci sono momenti in cui
studio, in cui sfrutto questo e quel trucchetto per risolvere una difficoltà
tecnica, altri sul palco, in cui mi devo concentrare e penso a papà che quando
ero piccola mi faceva esercitare per un pezzo che dovevo suonare a memoria,
passandomi davanti ballando, improvvisamente con un ombrello aperto in mano,
tossendo ad alta voce, facendo finta di parlare al telefono o ancora di
scartare una caramella e fotografandomi con il flash. “Niente può distrarti
quando suoni” ripeteva. E poi ancora, quando sto per finire un mio solo e la parte critica o più difficile
e superata mi dico in testa quello che mi ripeteva sempre lui: “Concentrata
fino all’ultima nota… solo dopo che l’ultima nota ha vibrato nell’aria, allora
hai finito e ti puoi godere l’applauso”.
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Foto di Ingo Schneider |
Chi sono stati i tuoi
maestri, quelli che ami ricordare e dei quali vuoi parlare con noi?
Mio padre ha sempre cercato gli insegnanti che riteneva più
adatti a me. Vorrei nominarne due: la prima e l’ultimo. Perché per me non sono
stati solo maestri di violino ma molto, molto di più. Ho cominciato con Edda Pittan. Edda ed io siamo tuttora
in contatto. È sempre stata molto affettuosa. Ancora oggi insegna e trasmette
ai suoi alunni la sua passione per lo strumento e per la musica in generale.
Ritiene fondamentale che chi si approccia a imparare il violino, in prima linea
si diverta. Non ricordo mai una critica o una frase detta con un tono che non
fosse quello di una persona felice di dedicarmi in quell’ora tutto l’amore,
l’attenzione e la serenità del trascorrere del tempo insieme e di imparare
qualcosa di bello. Sempre positiva, capace di far pensare a chiunque di essere
in grado di suonare, di migliorarsi, di arrivare, di essere degni di un
applauso dopo un’esecuzione. L’ho sempre ammirata per il suo entusiasmo.
Anch’io ho insegnato sia privatamente che in diverse scuole di musica, ho
cercato di portare nelle mie lezioni quello che Edda mi aveva trasmesso. MA non
è così semplice! La stanchezza, la giornata storta, la frustrazione di non
ottenere risultati dall’alunno che si ha davanti a volte mi rendeva anche
antipatica direi… ma Edda no! Lei è sempre allegra. Come fa, mi sono chiesta
tante volte? Credo che la risposta venga da sé. Edda è così. Meravigliosa, la
maestra perfetta. Un altro maestro che merita sicuramente di essere ricordato è
Axel Gerhardt, ex spalla dei secondi
violini dei Berliner Philharmoniker,
ora in pensione, e tuttora professore all’università delle arti (UdK) di
Berlino. Ricordo ancora quando ci siamo conosciuti, il 17 ottobre del 2002. Ci siamo capiti subito,
nonostante il mio tedesco fosse davvero scarno. Ci siamo intesi e insegnante
privato prima, all’università dopo, è nato tra noi un legame molto forte che va
ben oltre l’essere insegnante e alunna. È diventato a Berlino il mio punto di
riferimento, il mio papà tedesco. Presente in ogni momento cruciale della mia
vita, persino ad ogni trasloco da studentessa, al mio matrimonio ha suonato in
Chiesa, quando sono nati i miei figli è stato \ uno
dei primi a venire a trovarci in ospedale. Nel campo musicale è stato la mia
guida, ha sempre cercato di tirare il meglio dalle mie possibilità,
motivandomi, spronandomi, criticandomi quando necessario ma sempre in modo
costruttivo. Inutile dirlo, viene a sentirmi ai concerti ogni volta che può e
credo proprio di poter aggiungere che sia fiero di me. È una bella sensazione.
Charles Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto
geniale quanto dissacratore, in una bella intervista del 1967 disse… «A cosa serve l’Arte se non ad aiutare gli
uomini a vivere?» (Intervista a Michael Perkins, Charles Bukowski: the
Angry Poet, “In New York”, New York, vol 1, n. 17, 1967, pp. 15-18). Tu cosa ne
pensi in proposito? Da questa prospettiva, a cosa serve la tua arte, ovvero, la
musica?
Io vedo che le persone nel pubblico sono serene, si
divertono, si rilassano, a volte si commuovono. Direi che riusciamo nel nostro
intento di musicisti e artisti sul palco, se riusciamo ad ottenere questi
risultati.
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Foto di Majiid Moussavi |
Cosa ami della tua
professione di concertista e di violinista affermata a livello internazionale?
Quali sono i tuoi
prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti artistici? A cosa stai
lavorando adesso e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Da poco con Max Raabe
e la Palast Orchester abbiamo
inciso un nuovo cd/dvd che uscirà il 22
novembre. Si chiama MTV Unplugged.
Abbiamo lavorato con ospiti di diverso genere, uno più bravo dell’altro.
Attualmente sono usciti due dei singoli previsti aspettando il 22 appunto. Ci
tengo a ricordare le date in Italia:
il 25 novembre suoneremo al Teatro dal Verme di Milano, il 26 al Kursaal di Merano. Da gennaio partiremo con un programma tutto
nuovo che prenderà il nome da uno dei singoli Guten Tag, liebes Glück (Buongiorno, cara felicità). Invito
i lettori ad ascoltarlo su Spotify. Giuro che la lingua tedesca non è poi così
“dura”. Anzi! Sarà che io adoro il tedesco… A marzo saremo in Inghilterra, ad aprile negli Stati Uniti (persino nella rinomata Carnegie Hall di New York) e in Canada, a ottobre in Scandinavia. Gli appuntamenti in Europa e non, sono tanti e le occasioni
per sentirci non mancano. In Italia però suoniamo poco. E questo è un fatto che
vorrei cambiare.
Come vuoi concludere
questa chiacchierata? Cosa vuoi dire ai nostri lettori?
Vorrei aggiungere che sono mamma. Ho due bambini: Julia (4 anni) e Nicolas (17 mesi) mi seguono quando è possibile in tournée. E
spesso sono presenti alle prove. Julia ha imparato a gattonare sul palco e
sembrava lo facesse a tempo di musica. Ma lo racconto perché voglio aggiungere
che anche quando non lavoro, non faccio mancare la musica ai miei figli. Né in
casa, né fuori. In casa mio marito ed io proponiamo loro i generi più svariati:
dalle canzoncine per bambini, alla classica sia per radio che seguendo i
concerti che vengono trasmessi in televisione, al rock anche in macchina mentre
li portiamo all’asilo. Quando se ne offre l’occasione li portiamo a sentire
concerti o spettacoli musicali adatti alla loro età, Berlino offre molto. Ho
violini di tutte le misure, l’ukulele, la chitarra, il pianoforte, la fisarmonica,
l’armonica a bocca, vari tipi di fischietti e flauti e svariati piccoli
strumenti a percussione che lascio sempre a disposizione dei bambini. Mi
rivolgo soprattutto alle famiglie che non hanno ereditato la musica e che a
volte, si trovano in difficoltà davanti al desiderio di un bambino di suonare
uno strumento. Provate! Prendete l’iniziativa, se non è il bambino stesso a
chiedervelo, e cercate nella vostra città esperienze musicali adatte all’età
dei vostri figli. Portateli a teatro a sentire l’opera lirica. Mia mamma prendeva
i biglietti nella barcaccia alla Fenice così che avessimo anche la possibilità
di guardare il nostro papà e gli orchestrali e per avere un pochino di spazio
in più per muoverci. La mia prima opera a 5 anni è stata la Bohéme di Giacomo Puccini. Ad un certo punto mia sorella Valeria (allora aveva 11 anni) si è messa a piangere e io le ho
detto che era tutta finzione, che Mimì
non stava morendo davvero. E lei mi ha risposto: “Ma io non piango per
quello, piango per la musica”. Eravamo entrambe piccole, eppure ce lo
ricordiamo ancora. Queste sono esperienze che non si dimenticano. La musica non
dev’essere un privilegio, ma un diritto di tutti. E dato che purtroppo nel
sistema scolastico italiano è stata cancellata, è nostro compito di genitori,
nonni, zii etc. far sì che i nostri bambini vengano a conoscere la nostra
storia della musica, gli autori, le canzoni, i compositori di cui ci vantiamo
in tutto il mondo.
Cecilia Crisafulli
Max
Raabe & Palast Orchester
Andrea Giostra
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