Fino al
sei ottobre al Teatro Hamlet “Oscuramente” scritto da Angela Turchini. Regia e adattamento di Marzia Verdecchi. Con Carlotta Mancini, Riccardo Rendina e Italo Amerighi. Tecnico audio e luci: Emilio Caro
Una dinamica familiare che potrebbe appartenere ad
ognuno di noi. Un gioco a tre che gioco non è! Un’atmosfera “Noir” ma non
troppo. Distorsioni affettive e psicologiche, Manipolazioni e tant’altro! Fattitaliani ha intervistato Angela Turchini.
A cosa è
dovuto il titolo “OscuraMente” e di cosa parla?
E’ un
modo per richiamare quello che c’è di oscuro nella mente che di solito sfugge
alla comprensione!
Parla di una dinamica familiare: madre, padre e figlio che non avendo la
capacità di relazionarsi nella loro quotidianità neanche affettivamente, nutrono
delle distorsioni affettive e psicologiche e questa situazione li porta a
manipolarsi. C’è un momento in cui parte questa situazione e diventa un gioco a
tre. Ognuno di questi personaggi crede di essere lui a gestire il tutto. In
realtà lo snodo è un altro E’ un’opera che parla anche dell’incapacità di
manifestare i sentimenti e di affrontare i problemi. È una dinamica
psicologica abbastanza frequente nella realtà. È un thriller, ci sono delle
situazioni abbastanza paurose che ci richiamano cose che capitano nella realtà.
L’opera è partita da un’osservazione sulla realtà di essa. Di alcuni fenomeni
noi vediamo soltanto il finale perché a volte quando si sentono i racconti
ognuno la pensa in maniera diversa ed esprime dei commenti. In realtà, la
volontà era quella di far accadere tutto davanti agli occhi. È un modo di
proporre una dinamica manifesta ma giocata in tante situazioni.
La regia l’ha messa in scena con giochi di luce e ombre e con un gioco di schermi
di luce richiamando quindi il fatto che la mente in qualche modo si trova o
nella luce o nell’ombra.
Ti sei ispirata ad un fatto realmente
accaduto?
Non c’è un evento specifico! Mi sono un po’ ispirata alla realtà.
Mi piacciono molto i thriller. Ho scelto questo argomento perché mi colpisce
come in una mente normale possano manifestarsi comunque alcuni fenomeni.
Da lì ho cominciato a pensare ad una dinamica, a costruire questa storia e a
vederci un epilogo. Mi piacciono le atmosfere alla Edgar Allan Poe. Mi
piacciono i gialli classici. Questo non è un giallo alla Agatha Christie perché
si sviluppa diversamente ma mi piace questa sospensione-emozione che nasce da
qualcosa che deve accadere e il pubblico si chiede cosa sia. Volevo avvicinarmi
a questo mood.
Qual è il tuo film preferito?
A parte i noir tipo “Angoscia” con Ingrid Bergman, diretto da George Cukor. È un film del 1944. Mi piacciono molto i film un po’ vecchia maniera. Oggi dello stesso genere non
mi attrae quasi nulla. In Angoscia c’era questa persona che veniva indotta a credere che fosse folle.
In realtà c’era una macchinazione, una manipolazione da parte di altri. “La casa delle finestra che ridono” di Pupi Avati era molto particolare,
strutturata e surreale in alcune cose. E’ la storia di Stefano chiamato a
restaurare un affresco in una casa di campagna, terrificante opera di un folle
morto suicida. Gli abitanti del luogo manifestano comportamenti sempre più
strani e il ragazzo comincia a temere per la sua incolumità.
A cosa è dovuta la scelta di una Regista?
In questa pièce anche il ruolo
della donna è molto complesso, secondo me la presenza femminile ha dato quella
chiave di lettura diversa e più profonda rispetto alla storia. C’è il gusto
della ricerca del particolare e del bello anche nel movimento. Marzia Verdecchi
è molto brava a creare dei movimenti molto artistici.
Elisabetta Ruffolo