Giuseppe Maurizio Piscopo ha scritto libri, canzoni, ha composto musica, usando
tutto il potenziale che gli è stato regalato dai luoghi, dalla loro storia,
dalle persone che ha incontrato, dalla meravigliosa terra di Sicilia, vanto che
condivido con lui.
Ma diamogli voce per capire come ogni contatto con le
persone, con gli oggetti, con i posti ed i luoghi può diventare un mezzo
educativo, perché anche questo Lui è: un pedagogista.
Tu vivi in
una parte d’Italia che tutto il mondo ci invidia. Cosa ti rende orgoglioso di
essere un Siciliano?
Appartengo ad una storia millenaria quella della Sicilia, appartengo ad
una generazione che ha sofferto, che ha svolto tanti mestieri che ha girato il
mondo che ha conosciuto il dolore e la sofferenza. E come ha scritto Victor
Hugo: “Più grande è il dolore più grande è il vivere”.
Tu la sua
Poesia la vivi quotidianamente, guardandoti attorno, dipingi con le parole la
bellezza di ciò che ti circonda e rimani ancorato alla realtà,
all’apprezzamento per la vita, ai suoi valori fondanti. La loro
conoscenza ti permette poi di conquistare la realtà e aspirare al sogno. È cosi?
Ai bambini bisogna insegnare a
vivere la bellezza e a salvare l’ambiente. Noi viviamo in un mondo brutto,
certe volte crudele. Per sopravvivere in una città come Palermo spesso mi
estraneo con la musica, con la poesia leggendo e scrivendo dei libri. Gli
interessi del denaro, della popolarità non mi interessano. Certe volte mi
allontano dalla realtà e vivo in un sogno: in un mondo tutto mio fatto di
piccole cose. Mi basta suonare la fisarmonica con le musiche del mondo, per
viaggiare con la mente ed essere felice.
Ogni poesia
è un viaggio che tocca paesaggi, frontiere, percorsi, mete visibili e
invisibili. Verso l’altro, l’altrove, l’oltre. E alla fine del viaggio, cosa
deve esserci a parer tuo?
Alla fine del viaggio c’è il sogno, la poesia, la voglia di far del bene,
di abbracciare gli altri di qualsiasi colore siano, di aiutarli con tutte le forze,
sempre. Il mondo non si costruisce con i ponti ed il filo spinato. Già abbiamo
visto cos’è successo con le ultime guerre. Certe ferite con la Germania non si
sono ancora rimarginate. Si sta bene quando tutti stanno bene, il malessere di
uno si riflette su tutti gli altri.
Nello studio umano che
c’è alla base di ogni tua opera c’è un particolare sguardo ai bambini e riesci a carpirne
l’attenzione facendo leva su qualità meravigliose di cui siamo depositari da
piccoli e che, crescendo, purtroppo perdiamo. Cosa ti affascina, perché tanto
amore per loro?
“Gli
adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano
sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”, ha scritto Antoine de
Saint Exupèry ne Il Piccolo Principe. I bambini sono l’altra faccia del mondo.
Sono molto più avanti dei grandi. Gli adulti hanno un mondo fatto di
piccinerie, sogni piccini mentre i bambini pensano in grande e tolgono i grandi
dalle difficoltà. Se il mondo fosse fatto di bambini non ci sarebbero guerre ho
scritto nel libro: Le Avventure di Lino Panno.
Ho scritto questo libro composto da 31 storie dedicandolo a
tutti i bambini che ho conosciuto e a tutti i maestri italiani con i quali ho
lavorato, in genere ho lavorato solo con maestre, nella mia scuola sono rimasto
da solo. Con questo libro volevo richiamare l'attenzione affinché non
scompaia la figura storica del maestro nella scuola italiana. Ho conosciuto
tantissimi bambini e ogni volta che ne abbraccio uno ripercorro tutta la mia
vita. A loro è dedicato questo libro che meriterebbe di essere più conosciuto.
Sarà il primo dei cinque libri sul maestro Lino Panno.
Tu hai fatto tanti mestieri
ed è come aver vissuto tante vite: sei stato un barbiere, sei un suonatore
eccelso di fisarmonica, hai conosciuto la piccola aggregazione di un paese
siciliano ma anche la vastità della città americana, la melanconia dei vicoli,
delle arie di Parigi mentre pioviggina ed il bateau-mouche risale la
Senna. Scrivevi già allora e come
pensavi al tuo futuro?
Ho
scritto sempre sin dalle scuole elementari. Sono nato in un paese difficile ed
amaro. Un paese respingente, di violenza e sopraffazione. Qui ho conosciuto la
durezza della storia e la veemenza dei sentimenti. Ad un certo momento della
mia vita ho pensato di trasferirmi a Parigi come unica culla possibile,
incarnando la figura del bohèmien come ha scritto il critico letterario
Salvatore Ferlita. A New York ho voluto ripercorrere il viaggio degli emigranti
ed ho acquistato la fisarmonica della mia vita da un barbiere siciliano Frank
Castelli per il costo di 350 dollari, storia che ho raccontato nel libro Musica
dai saloni (intervista di Fattitaliani).
Per certi aspetti
conoscerti fa riesumare alla memoria una storia che tutti conosciamo: “Il
Piccolo Lord” perché in essa vincono i buoni sentimenti: la bontà sulla
cattiveria, il perdono sull’arroganza e l’amore sull’odio. Cosa sei andato a
cercare in America e da cosa volevi allontanarti?
In
America cercavo le radici della mia infanzia. Molte persone del sud e di Favara
in particolare sono partite alla ricerca di fortuna per la lontana Merica,
quando i migranti eravamo noi, quando non conoscevamo una parola di italiano,
né una di inglese ma applicando alla lettera quel proverbio siciliano che così
recita:” Cu avi lingua passa u mari”, di mare ne passammo tanto, attraversammo
l’oceano.
Mi sento di ripetere
una frase di Gesualdo Bufalino: “Non sono complicato, ma contengo una dozzina di anime semplici
insieme”. Può essere il tuo caso?
Ho conosciuto ed
apprezzato molto lo scrittore di Comiso. Mi ritrovo in questa espressione ed
anche in un’altra, quando rispondendo alla domanda pungente di un giornalista
che chiedeva chi avrebbe sconfitto la mafia in Sicilia, lo scrittore ha
risposto così: “Un esercito di maestri elementari un giorno sconfiggerà la
criminalità di questo nostro Paese”.
La tua
formazione letteraria è invidiabile, sei cresciuto in un contesto letterario
che il mondo ci invidia: Sciascia, Bufalino, Buttitta. Come sopravvive il loro
pensiero nella Sicilia di oggi?
Penso
che in Italia ci sia una grandissima attenzione per la Cultura e per i nostri
grandi scrittori. Un indegno ministro della pubblica istruzione si è permesso
di togliere dalle Antologie i grandi scrittori siciliani. Questo fatto la dice
lunga sulla considerazione che i politici hanno della Cultura del Sud e della
Sicilia in particolare, dove i ministri vengono a raccattare i voti per essere
eletti a Roma e un minuto dopo essere stati eletti vanno in Tv ad umiliarci e
raccontano una Sicilia non vera che invece si dovrebbe ribellare ogni giorno.
L’insegnamento è un
impegno a cui tu tieni in modo particolare, hai fatto centinaia di incontri con
giovani studenti. Cosa hai portato con te da questi incontri e cosa pensi dei bambini
di oggi? Sono più felici di quanto lo siamo stati noi?
I
bambini di oggi sono molto sensibili e problematici. Possono insegnare tante
cose agli adulti. Hanno un grande senso dell’amicizia, dell’ospitalità, della
giustizia e non sono assolutamente razzisti. Accettano tutti con grande dignità
e soprattutto sono molto saggi. Spesso mi chiedo se un maestro debba educare
prima i bambini o i genitori? Non sarebbe sbagliato avere i genitori una volta
al mese in classe per educarli e istruirli insieme ai loro figli.
Qual è la salute della
Cultura siciliana oggi?
C’è
vivacità, confronto. In città ogni giorno si presentano molti libri alla
presenza degli Autori, le scuole sono vive e fanno un lavoro encomiabile, in
città i registi vengono a girare molti film e a discutere. La Sicilia in parte
mostra grande vivacità culturale, poi persistono sacche di disoccupazione
giovanili, altri sono costretti a studiare al nord per trovare prima un lavoro.
E vi sono problemi di sopravvivenza, mancanza di alloggi e molti vivono alle
soglie della povertà.
Che nesso
c’è tra comporre un’aria e suonarla con la tua fisarmonica, scrivere un
romanzo, una poesia, fare un dipinto? Cos’è per te l’Arte?
L’Arte è la vita. La ragione di
esistere. Sì, per me è tutto legato. Ogni volta che scrivo un libro compongo una
musica con lo stesso titolo per avvicinare e raccontare al pubblico alla storia
senza l’uso delle parole. E funziona, quando uno vuole andare oltre, quando le
parole non bastano mi viene in aiuto la fisarmonica, la porto sempre con me.
Una delle cinque fisarmoniche la tengo in classe e la utilizzo come un sussidiario
con i bambini per raccontare le storie del mondo e per raccontare tutto quello
che non si trova nei libri di testo che sono stati disossati resi inerti e
insignificanti, proprio per non farli pensare e per non avere un pensiero
critico contro il potere dominante.
Quale fu il
primo libro che hai letto? E quello che stai leggendo?
Ho letto Le avventure di Pinocchio di Collodi. Alla biblioteca Mendola di
Favara dove trascorrevo buona parte del mio tempo. A casa mia non c’erano
libri. Non li potevamo comprare e poi nel mio paese c’erano solo negozi di armi
e nessuna libreria.
Se potessi
invitare a cena un personaggio di oggi o del passato chi sceglieresti?
Inviterei Federico Fellini un grandissimo regista che stavo per
intervistare quando collaboravo ai programmi della Rai siciliana nella sezione
radiofonica. Avevo letto molti libri su Fellini prima di realizzare l’intervista
telefonica, poi si è ammalata la moglie Giulietta Masina ed il regista mi ha
detto che non era più il caso. L’avrei invitato a cena per ringraziarlo per
quello che ha dato al mondo con i suoi film. C’è chi racconta con la penna, chi
con le fotografie, chi con la musica. Fellini ha raccontato il mondo italiano
con la macchina da presa. I suoi film sono dei capolavori: da La Dolce Vita,
Amarcord, La città delle donne, Le notti di Cabiria, Ginger e Fred. Per me
Fellini è stato straordinario nella scelta delle immagini e soprattutto delle
musiche con Nino Rota prima e con Nicola Piovani. Se un giorno realizzerò un
film con Rosario Neri lo dedicherò a lui.
Cos’è per te
la Fede e in che cosa la ritrovi?
Io credo in Dio e nei bambini. La fede l’ho scoperta in un viaggio ad
Assisi nella città di San Francesco. Per me la fede è la speranza che tutto
quello che facciamo non è perduto, che non si perderà nemmeno quando non ci
saremo più. La cosa importante della vita è agire e fare del bene a tutti e saper
chiedere perdono degli errori che facciamo.
Parlaci
della “Sicilianità”, in che cosa la ravvisi?
La Sicilianità è fatta di tante cose. Dal clima alla cucina, ai dolci,
dal dialetto all’uso di parole che non si usano più, è fatta dei rapporti tra
le persone, delle tradizioni che ancora rimangono. Se nel mio paese dovessi
dire ad un amico mettiamo per iscritto un accordo verbale quello si
offenderebbe a morte e non mi saluterebbe più. La parola vale ancora tra le
persone soprattutto a Favara.
L’Associazionismo
dovrebbe essere un’esperienza che aggrega, quindi che unisce sinergie. È così
in Italia o c’è ancora della strada da fare per superare la competitività?
L’Associazionismo è un’esperienza molto positiva che ha bisogno ancora di
crescere e che può dare i suoi frutti nella ricerca di lavori alternativi per i
giovani e non solo. Il mondo è cambiato, le esigenze della società sono
cambiate e quindi bisogna inventare nuovi lavori che occorrono, dal sarto al meccanico,
dall’idraulico al barbiere. A Milano ho visto le sarte cinesi e i barbieri
turchi. In alcuni paesi della Sicilia mancano i barbieri e la loro musica.
Progetti in
itinere o appena portati a termine?
Il 1° giugno all’Auditorium della Rai di Palermo insieme alla Compagnia
popolare favarese gruppo storico che ha 50 anni di attività presenterò lo
spettacolo: “Le musiche dei barbieri 10 anni dopo”. Il 20 giugno sarà
pubblicato un libro per i tipi di Spazio Cultura con le fotografie di Angelo
Pitrone dal titolo: “Favara storia di una rigenerazione possibile” con un mio
testo, uno di Salvatore Ferlita, uno di
Armando Sichenze e un testo di Andrea Bartoli. Infine, a breve acquisterò un Lapa
Porter a quattro ruote per girare la Sicilia e portare i libri e le mie storie
ai bambini accompagnandoli con tre note della più antica fisarmonica della
Sicilia.
Grazie per averci regalato un momento di incontro che ci ha
fatto capire che ciascuno di noi è frutto delle proprie radici, che vivere
significa curarle e trasmetterne il seme ai piccoli che saranno il nostro
domani. Chiudiamo con una frase del nostro amato Pirandello:
“Io sono vivo e
non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero,
respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani
libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo”.
Caterina
Guttadauro La Brasca