Alle 18,45 ultima replica al
Brancaccino di Roma per “Scarti di Paradiso” con Alessandra D’Ambrosio che ne è
anche autrice insieme a Diana dal Monaco. Regia di Gianfelice Imparato. Aiuto Regia: Francesco D‘Avino. Musiche: Patrizio Trampetti. Scene: Clelio
Alfinito. Costumi e disegno proiezioni: Pina Sorrentino. Disegno Luci: Danilo
Cencelli. Voce Madre: Paola Fulciniti. Organizzazione: Tiziana Beato.
Il racconto si snoda su due binari paralleli, da una parte il Bordello
ricordato come un Circo ricco di piaceri e calze a rete ma in realtà un mondo
di sottomissione e sfruttamento che si ritrovano anche nel Manicomio dove i
sorprusi, gli elettroshock e la
lobotomia la fanno da padroni per imbarbarire i pazienti e assoggettarli. “Entrando
nel Manicomio il mondo te lo devi scordare perché il mondo fa presto a
scordarsi di te. Lì dentro sei solo un numero”.
Due mondi molto lontani ma che convivono dolorosamente nella mente e nell’anima
della stessa persona.
“In un Manicomio era facile stare soli tra soli!”. È quanto dice Privilegio,
nome d’arte di una donna che insieme alla mamma, lavorava nel Bordello di cui
era tenutaria la nonna Lulù. Privilegio è il nome d’arte che le aveva dato perché
chi la possedeva era privilegiato.
La scena è una stanza piastrellata sia sul pavimento che sulle
pareti dove in mezzo c’è un cerchio che prima è illuminato da una luce azzurra
ma alla fine diventa rossa ad evocare il misfatto appena compiuto..
Privilegio è lì perché ha un colloquio con lo psicanalista (Gianfelice
Imparato) che non vede ma di cui sente la voce.
Questi la sollecita a legare la parola che gli suggerisce a dei ricordi. Quando
dovrà ragionare sulla parola “Amore”, nella sua mente riaffiora la figura della
mamma e il suo ultimo insegnamento “Non esitare, non dubitare. Uccidi” prima
che gli uomini che si servono del tuo corpo possano catturarti anche l’anima.
Uccidi come fa la mantide religiosa che prima si accoppia e poi uccide il
compagno e così passa da vittima a dominatrice.
Nel cerchio si mostrano le sagome dei clienti e Privilegio ne ricorda i
soprannomi: Manolesta, il Nano, l’Illusionista, il Domatore…
“Non sperare, non sognare e così i giorni sono
tutti uguali…”
Il futuro? Privilegio non si arrende, la sua missione non si ferma lì perché
voi uomini volete essere amati senza amare”
Forte
ma liberatorio. La D’Ambrosio è bravissima in entrambi i ruoli. Gianfelice
Imparato con la Regia riesce a restituire al testo molteplici sfumature. Belle le musiche di Patrizio Trappetti.
La vita di “Privilegio” è su un doppio binario, prima il bordello e poi il
manicomio: in quale delle due parti è stato più difficile entrare e renderla tua?
Per il manicomio non è stato semplice rivivere
quell’alienazione ma lei comunque non si arrende e subisce tutte le violenze alle quali è
sottoposta perché è convinta di non voler dimenticare, di non voler accettare
mai passivamente, di resistere e quindi cerca di adeguarsi a quella
situazione.
Hai detto dimenticare: è più
difficile dubitare, dimenticare o esitare?
Forse è più difficile
dimenticare.
Il destino di Privilegio è
quasi segnato perché la nonna è tenutaria del bordello e lì ha lavorato la
mamma e lavora anche Privilegio. Cosa le differenzia o le rende simili?
La mamma probabilmente è stata
una vittima di questa situazione perché viene descritta anche come una persona
sempre da sola, non completamente integrata in quella situazione. La immagino
come una persona che ha dovuto subire quel destino, probabilmente ha dovuto
subire anche la figlia perché è sempre distante da lei e anche il testamento
morale che le lascia, è un testamento di una crudeltà incredibile. Lei non dice
“salvati, sii felice” ma “vendicami” che per Privilegio è l’unico modo per
farsi amare e rendersi visibile. Privilegio alla fine si ribella, la nonna
forse era convinta di quello che faceva invece la mamma aveva subito e non era riuscita
ad andare oltre.
Privilegio in tutta la sua vita ha cercato di conquistare l’amore della mamma
ma non c è riuscita!
Amare ed essere amati che
colpa è per rinchiudere una ragazzina in un manicomio?
Era considerata ribelle e soltanto
per questo era da rinchiudere, da guarire. Chiaramente per una ragazzina è
inspiegabile, innamorarsi e non volersi adattare alla volontà dei genitori. I tempi
erano diversi. Lei si ribellava a tutto a ciò che la società imponeva. Lei
stessa dice che ribellarsi agli schemi imposti era una malattia diabolica da
guarire!”
Come reagisce il pubblico e
soprattutto sono venuti dei ragazzi a vederlo?
Per ora il pubblico non è
stato molto numeroso. Chi è venuto si è molto emozionato ed era quello che
volevamo.
Avrete una tournée dopo il Brancaccino?
Saremo a Napoli al Teatro
Sanità dal 26 al 28 aprile e poi stiamo lavorando per inserirlo in qualche
Festival, probabilmente all’OPG di Napoli faremo un evento anche se ancora è
tutto da definire.
Elisabetta Ruffolo