di Laura
Gorini - Il
termine cantautore oggi è molto abusato mentre prima la categoria
dei cantautori si riferiva anche ad un genere. Oggi il cantautore in
pratica è chi si scrive musica e testo, quindi siamo in tanti.
Non ha paura
di mettersi a nudo e di sperimentare quando scrivere una canzone
Marian Trapassi. Una cantautrice raffinata e preparata che in
“Bianco”, il suo nuovo album ha deciso di mettersi davvero in
gioco.
Marian,
ben tornata con un nuovo album! In che cosa e per che cosa- secondo
te- si differenzia in particolar modo dai precedenti?
Quando ho
iniziato a scrivere le canzoni per questo nuovo album mi sono
lasciata guidare dalla scrittura e da quello che pian piano è venuto
fuori; ho scritto tanto e alla fine sono state scelte 12 canzoni, è
rimasto quello che effettivamente volevo raccontare e nel modo in cui
sono adesso. Se nel precedente album “Bellavita, l’arancia e
altri viaggi”, ho esplorato un genere preciso, quello del teatro
canzone mettendoci molta ironia e swing, con “Bianco” torno alla
mia parte più riflessiva. Le canzoni sono storie, racconti
attraverso metafore che parlano della vita, del tempo che passa,
delle false aspettative, del destino inafferrabile, di
trasformazione, etc. E poi ci sono storie molto personali in cui
parlo di vita vissuta.
Tu sei
una cantautrice: che cosa significa esserlo oggi? Si rischia di più
a livello testuale quando si scrive oppure no?
Il termine
cantautore oggi è molto abusato mentre prima la categoria dei
cantautori si riferiva anche ad un genere. Oggi il cantautore in
pratica è chi si scrive musica e testo, quindi siamo in tanti.
Parlando di
quello che vuol dire essere una cantautrice oggi, una donna che fa
musica, penso che sia più difficile emergere, come del resto in ogni
ambito lavorativo: ci sono tante brave cantautrici in Italia, ma alla
fine si fa fatica ad affermarsi.
È stato
pure coniato un termine, il “cantautorato al femminile “, e
spesso quando mi è capitato di partecipare a rassegne di sole
cantautrici donne, il pubblico è sempre in maggioranza femminile,
come se le donne facessero musica per le donne.
L’ultima
parte della domanda era se si rischia qualcosa scrivendo, giusto?
Se sei un
artista rischi sempre e comunque, perché quello che fai ti
rappresenta, ti esponi, il lavoro artistico è soggetto al giudizio
altrui, in pratica lo consegni agli altri, non so se lo chiamerei un
rischio, fa parte del gioco, devi essere pronto alle critiche e anche
a volte a difendere quello che fai oppure a fare autocritica a
metterti in gioco ma anche al piacere di condividere e prendere la
gioia di poter emozionare gli altri.
Come si
può raccontare talvolta delle storie o degli avvenimenti che non si
hanno veramente vissuto sulla propria pelle? Tu ci riesci?
Spesso le
canzoni, soprattutto di un cantautore vengono viste come una sorta di
diario privato in cui l’autore riversa le proprie emozioni in cui
confida agli altri le proprie gioie e i propri patimenti.
Ebbene per
me ogni cosa può essere d’ispirazione, anche qualcosa che non si
ha direttamente vissuto: se si ha qualcosa da dire si può costruire
una storia un racconto e lavorare per metafore o per immagini. Il
contenuto, ovvero il messaggio della canzone sarà comunque qualcosa
che ti appartiene. Un autore di canzoni, così come un poeta, uno
scrittore, usa le parole per comunicare, per esprimersi, il come sta
alla creatività dell’artista. In ogni caso in ciò che si scrive
c’è sempre qualcosa di autobiografico.
Credi che
per farlo possa essere utile aver studiato recitazione?
Per la
scrittura è un discorso a parte, sia che si parli di un cantautore o
che si parli di un autore, l’importante, ripeto, è avere qualcosa
da dire, avere l’esigenza e la voglia di comunicare qualcosa.
La
recitazione o comunque aver studiato le basi del teatro sicuramente
aiuta nella performance, per stare sul palco e gestire le emozioni.
A me
personalmente cimentarmi anche nella recitazione e aver fatto un
corso di teatro mi ha aiutato.
Un
musicista e in particolar modo un cantante dev'essere in qualche
maniera anche un bravo attore?
Secondo me
sono due cose diverse, chi canta ha a che fare anche col linguaggio
della musica, l’interpretazione non può prescindere da questo.
L’uso della voce cantata è diverso da quella parlata o recitata.
Stare sul
palco è sempre una bella prova, più conoscenze si hanno e più
sicurezze si acquisiscono. Anche se la palestra più importante
rimane l’esperienza. Stare sul palco, grande o piccolo che sia, è
la più grande scuola.
E un
ottimo performer?
La risposta
per me è che ognuno deve trovare il proprio modo di proporsi che sia
il più autentico possibile.
Tu ami la
dimensione acustica oppure no? Che ne pensi di artisti che decidono
di offrire ai loro fan versioni dal vivo ben diverse rispetto a
quelle che si possono ascoltare su disco?
Mi piace
molto la dimensione acustica, si crea sempre una bella intimità col
pubblico.
Spesso, e
questo è il bello della musica, dal vivo le canzoni prendono altre
strade, ed è bello riproporre le canzoni in altre versioni, dal vivo
bisogna a volte dare quel qualcosa in più. Succede in ogni caso.
A
proposito di musica dal vivo: tu come ti prepari per un live? Con
quale criterio organizzi la scaletta?
La scaletta
è sempre una cosa che va fatta con cura, si modifica strada facendo,
pian piano, concerto dopo concerto, capisci cosa funziona di più.
Le prove con
la band sono importanti all’inizio per decidere gli arrangiamenti e
per creare un suono omogeneo, ma poi un altro tipo di lavoro sulla
voce e sulla memoria lo faccio autonomamente.
Ami
proporre anche delle cover?
A volte mi
piace cantare le cover, ultimamente dal vivo non le ho inserite in
scaletta, forse perché ho voglia in questo momento di cantare le mie
canzoni. (sorride)
Che cosa
ti auguri per te stessa di ottenere nei prossimi mesi?
Quello che
desidero e mi auguro è di stare il più possibile sul palco, fare
tanti concerti. Al momento non so dove mi porterà “Bianco”:
spero soltanto sia un viaggio lungo e soprattutto pieno di musica!
Foto di Ray Tarantino