A teatro Melania Giglio e Edith Piaf sono una nell’altra, una sfida vincente. L'intervista di Fattitaliani


   
Al Teatro della Cometa di Roma, fino al 3 febbraio, “Edith Piaf l’Usignolo non canta più” con Melania Giglio e Martino Duane. Regia di Daniele Salvo.
Scene di Fabiana Di Marco. Costumi di Giovanni Ciacci.  


  Dopo Roma, saranno a Milano e continueranno a portare in giro questo spettacolo che piace molto al pubblico.  
   “I poveri piacciono solo quando sono nelle canzoni” e di povertà e fame la Piaf ne conosceva in abbondanza. La sua grande caparbietà e la sua meravigliosa voce, con la complicità del Fato o del Destino che dir si voglia, le avevano fatto scalare la vetta del successo.
In scena una Piaf logorata dall’alcool, dai troppi medicinali, dall’artrite, in vestaglia e ciabatte riceve Coquatrix l’impresario dell’Olympia di Parigi che la scongiura di tornare a cantare per risollevare le sorti non solo del suo Teatro ma anche le sorti di entrambi. Il successo che travolge e poi si trasforma in decadenza. L’ascesa e la discesa di un Mito.
Melania Giglio e Edith Piaf sono una nell’altra. La Giglio è anche autrice del testo e interpreta alla perfezione la Piaf. Straordinaria non solo come attrice ma anche con il canto.  L’emozione si mescola alla nostalgia, alla malinconia. Il pubblico è attento, silenzioso e non risparmia applausi a scena aperta.
   In settanta minuti siete riusciti a raccontare la Storia di un Mito. Bravura o cosa? Uno spettacolo è sempre il risultato di diversi ingredienti che poi magicamente riescono o meno a dare una ricetta perfetta. In questo caso direi che l’esperimento è riuscito perché è uno spettacolo che ha un grande equilibrio, un aspetto biografico ed emozionale e credo che renda giustizia a questa grande personalità della musica.
E’ l’incontro tra due vite in bilico, quella della Piaf e quella di Coquatrix, l’impres.ario dell’Olympia. Cosa rievocano?
Il coraggio di ricominciare anche nelle situazioni più difficili come la malattia, le fragilità, le difficoltà finanziarie o psicologiche. Il messaggio che danno è quello di una grande vitalità e della voglia di   reagire e ricominciare.
Edith Piaf era nata in una famiglia povera ma riuscì a diventare l’usignolo dalla bocca rosso fuoco. Fu senz’altro sostenuta dalla forza della mamma ma cosa fu determinante per diventare una grande Artista? Il successo è dovuto a diversi fattori e mai ad uno solo. La Piaf era molto caparbia e aveva un attaccamento smisurato all’Arte, alla Bellezza e alla Vita che sicuramente l’ha aiutata ad andare avanti. Era nata poverissima e in una famiglia molto umile. I suoi genitori erano Artisti di strada. Aveva avuto una vita molto difficile. Sicuramente la caparbietà e la forza nell’andare avanti, l’ha aiutata moltissimo e si è trovata nel momento e nel posto giusto. La sua grande voce ha fatto il resto. Era destinata a diventare grande.
Quando Le hanno proposto la parte, cosa ha provato? In realtà non mi hanno proposto la parte perché Silvano Spada il Direttore dell’Off Off Theatre che aveva visto “Il Funambolo” dove cantavo un pezzetto di La Foule, ha proposto a me e al Regista Daniele Salvo, di creare uno spettacolo sulla Piaf. La sfida ci spaventava un po’ ma allo stesso modo è stato stimolante ed esaltante poterla raccogliere. Lo spettacolo è nato da zero, su commissione. L’abbiamo scritto, pensato, immaginato parola per parola. E’ stata senz’altro una sfida molto entusiasmante e stimolante.
Soprattutto vincente… Sì! Speriamo continui così!
 
    Elisabetta Ruffolo

Fattitaliani

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