Opera Bruxelles, Il flauto magico di Castellucci: "La realtà, chiave di accesso alla profondità di Mozart". La recensione di Fattitaliani

Fattitaliani
Viviamo dentro schemi, linee e percorsi obbligati scritti nel cervello dalla nostra genetica, dalla nostra esperienza, dalla nostra cultura, dai nostri incontri, dalle nostre relazioni significative; nel corso del tempo si sono creati archetipi funzionali che ci guidano dentro l'enorme massa amorfa della realtà delle esperienze creando relazioni che generano significato, chiavi di lettura, sistemi di pensiero, percorsi e vie per non smarrirci.

Romeo Castellucci ha voluto rompere gli schemi con cui ascoltiamo Mozart, schemi che si sono formati in noi - e anche in lui stesso - per accumulo di ascolto negli anni. Racconta: "Ecco come mi ci sono approcciato: mi perdo nel bosco, ascolto le registrazioni del Flauto magico un numero incalcolabile di volte. L'obiettivo è di scombussolarmi, di disorientarmi, di rimettere in questione - radicalmente - quello che conosco, quello che ho letto e appreso dalle mie letture, i simbolismi egiziani e i luoghi comuni, quello che io ho visto di questa opera al cinema, in scena. Mi spoglio di tutto le chiacchere. Ho bisogno di interrogare questo Flauto, di vederlo e di ascoltarlo come per la prima volta".
Da questa immersione nell'ascolto alla ricerca del principio attivo della musica Mozartiana, del suo magma fondamentale, Castellucci è riemerso con una porzione di questa materia e ha deciso di modellarla in una forma nuova che ne rendesse leggibile gli elementi primigeni che la compongono.
Gli uomini, in quanto spirito incarnato in un corpo, non abbiamo accesso a questo "magma"/significato interiore se non attraverso dei significanti, che si organizzano in chiavi, in schemi: non si può fare diversamente; la nostra anima comunica col mondo attraverso i nostri sensi, e i sensi per accedere al significato hanno bisogno dei significanti, in una continua inesplicabile ma imprescindibile correlazione.
Castellucci ha preso il significato - la divina e completamente umana musica mozartiana - e ha cercato di creare dei nuovi significanti.
Con una operazione a mio avviso geniale il nostro regista ha creato due mondi, due significanti, perfettamente sovrapponibili alla stessa musica: il mondo del primo atto e il mondo del secondo atto, mostrando come il significato/musica di Mozart li contenesse perfettamente entrambi.
Nella prima parte ha creato una sorta di archetipo dei significanti creati nel corso dei due secoli ultimi per mettere in scena Mozart, in una specie di ricostruzione sintetico-emozionale delle rappresentazioni che abbiamo già visto. Ha creato una forma completamente nuova per creare in noi una sorta di dejà vu mozartiano. Il tutto rappresentato dietro un velo scenico sottile messo lì come una sordina visuale, che attende di essere tolta per esplodere in pienezza.
"La musica di Mozart è a 360°", aveva anticipato cripticamente il notevole maestro Manacorda parlando di quest'opera. Nella seconda parte, spazzati via tutti i settecentismi stereotipi che sviliscono questa musica, Castellucci ha mostrato gli altri 180° della sua visione: ha tolto la sordina creata dal velo e dalle rapprensentazioni consuete per raccontare storie vere, agghiacciantemente vere, di persone accecate e bruciate dalla brutalità del reale. Queste vicende, portate in scena da uomini e donne di commovente coraggio, si sono mischiate alle vicende del libretto mozartiano a creare un significante/realtà del tutto nuovo, insaspettato e certamente scioccante, per farci accedere al significato di una musica perfettamente aderente a questo reale, una musica che parla all'uomo dell'uomo, col suo mistero di sofferenza e speranza che tutti i giorni viviamo.
Ho sentito molte persone profondamente commosse ma ho anche letto critiche assai negative, che sono l'espressione dei volti tesi che ho colto durante la rappresentazione dei molti che si aspettavano rococò e crinoline: è stata una performance nella performance osservarli smarriti, segretamente arrabbiati e un po' sofferenti: si aspettavano il piacere consueto della leggerezza, da vivere come evasione, invece l'hanno trovato mischiata con la bellezza dura della realtà; si aspettavano lo stereotipo, hanno trovato - loro malgrado - la profondità di Mozart.
Giovanni Chiaramonte
Fattitaliani

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