La psichiatria attraverso la lente del cinema in apertura del Perugia Social Film Festival

Lanzaro: “Gli stereotipi dell’informazione sociale sulla patologia psichica sono un ostacolo ai processi innovativi della nostra disciplina”

“Non confondiamo il cinema con la realtà” è l’avvertenza del dottor Massimo Lanzaro, psichiatra, scrittore, dirigente medico presso l’Asl Na 2 Nord e già Primario del Royal Free Hospital di Londra. Autore di molti articoli sull’argomento, ha ideato le “cinepsicorecensioni”, molte delle quali sono confluite nel 2015 nel libro “DSM-V e i film che raccontano la psiche”, edito da Arpanet. Giovedì 20 Settembre il professor Lanzaro interverrà al convegno “Cinema e psiche: percorsi, suggestioni, racconti”, organizzato a quarant’anni della Legge Basaglia, che si terrà a Perugia (Cinema Méliès, Via della Viola 1; inizio lavori ore 9.45), in occasione del PerSo - Perugia Social Film Festival (www.persofilmfestival.it), la rassegna di cinema documentario a tematica sociale. Oltre al professor Lanzaro, all’incontro sono annunciati: Giovanni Piperno, presidente PerSo; Marco Casodi, responsabile progetti speciali Fondazione La Città del Sole Onlus e direttore organizzativo della rassegna; Stefano Rulli, sceneggiatore e regista; Giuseppe Cacace, direttore As Film Festival; e Raffaella Serra, Fondazione La Città del Sole Onlus. Seguirà un dibattito che s’incentrerà sui rapporti tra la settima arte e la psichiatria. Nel merito, l’intervento dello psichiatra e psicoterapeuta Lanzaro s’incentrerà su vizi e virtù del piccolo e grande schermo nel parlare di psichiatria, a partire dal film “Chi ha rubato la mia vita”, andato in onda su Rai2 sabato 9 giugno 2018 in prima serata. “Sarà anche un thriller intrigante, drammatico – osserva il professor Lanzaro -, però c’è una scena che è un fenomeno rivelatore di come la televisione può rappresentare la professione psichiatrica, e i malati e le persone con malattie mentali. In una scena si vede uno psichiatra che è un uomo, che è un po’ un cliché, ed una donna che diventa violenta: molti, infatti, ritengono i pazienti psichiatrici più violenti delle persone normali, quando in realtà le statistiche, ricordate di recente anche dalla Società Italiana di Psichiatria, rivelano che non c’è differenza, nelle percentuali, nel manifestarsi di episodi di violenza tra le persone con patologie e disturbi mentali, e le persone cosiddette normali. In questa scena, quindi, lo psichiatra è rappresentato come un uomo (invece di una donna, quando ci sono tantissime colleghe) ed ha una siringa con un sedativo e un fare minaccioso. Alla donna (paziente) non viene fatto un colloquio, quindi non si istaura una relazione terapeutica tra i due, nemmeno un tentativo di aggancio in tal senso. La scena di cui stiamo parlando finisce con gli infermieri che bloccano la persona ed il dottore che dice alla donna che dovrà rimanere in ospedale per molto tempo. Le persone che vedono cose del genere, e che per fortuna non sono mai state da uno psichiatra perché non ne hanno mai avuto bisogno, in questo modo si fanno l’idea che questo è il modo di procedere di uno psichiatra. È ovvio che quello è un contesto d’oltreoceano, si tratta in questo caso di un film girato in Canada, però lo vediamo anche noi in Italia e tante cose le mutuiamo. Scene di questo tipo finiscono per creare in gran parte del pubblico pregiudizi e stigma sia nei confronti dei malati mentali che di psichiatri e psicoterapeuti”, spiega il professor Lanzaro che aggiunge: “Non importa se il cinema sia di finzione o documentaristico, l’importante è che non distorca la realtà dei fatti, creando pregiudizi nei confronti del malato e dello psichiatra. Gli stereotipi in cui cade l’informazione sociale sulla patologia psichica, la lentissima modificazione delle ‘paure’ collettive a monte della stigmatizzazione sociale della follia, si confermano ancora come un forte ostacolo ai processi innovativi della nostra disciplina”.
Fattitaliani

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